TRACCE FEMMINILI LUNGO LE VIE DI BRESCIA: Ermengarda, la sposa ripudiata

Il complesso di San Salvatore e Santa Giulia, di origine longobarda, dal 1998 ospita il Museo della Città. 

All’entrata del Museo, Santa Giulia Crocifissa. scultore Giovanni Cara XVII secolo

Intorno al 753, nel nucleo più antico di Brescia è fondata l’abbazia femminile di San Salvatore. In realtà l’istituzione del cenobio benedettino risale alla metà dell’VII secolo; l’intitolazione al Salvatore è documentata già nel 760, mentre solo a partire dal 915 compare la dedicazione a Santa Giulia. Fino alla metà del secolo scorso la maggioranza degli studi riteneva che il monastero fosse stato fatto erigere dalle fondamenta nel 753 da Ansa e Desiderio, non ancora regnanti, su un’area loro donata dal re Astolfo. Successivamente, diversi/e studiosi/e concordano invece nel ritenere che la chiesa a una navata sia quella fatta erigere dalle fondamenta da Desiderio nel 753, mentre il pavimento a lastre marmoree e la cripta testimonierebbero i mutamenti apportati tra il 760 e il 762, in occasione della traslazione delle reliquie di santa Giulia dalla Gorgona e, infine, che la chiesa a tre navate sia da collegare con la denominazione di Monasterium Novum, costantemente presente nei documenti dall’814 in poi. 

Le reliquie di Santa Giulia

Il cenobio è un’importante fondazione claustrale sia per le monache che ci vivono, provenienti dall’alta aristocrazia longobarda, sia per il suo ingente patrimonio; è un centro di potere in grado di assumere compiti strategici nella politica del tempo e «prendere i voti ed entrare nel monastero bresciano significava assumere un ruolo di prestigio all’interno della società, condizione che per una donna difficilmente si sarebbe potuta realizzare allo stesso modo fuori dal chiostro». Formidabile instrumentum regni per i Longobardi, il monastero continua a esserlo per i Franchi, che lo affidano alle donne della dinastia regnante, ed entra in una rete di relazioni internazionali con gli altri cenobi imperiali. 

Importante centro di potere economico, al tempo del regno di Carlo Magno (774-814) il monastero di Santa Giulia dà lavoro a oltre seimila persone, ma, con la fine dell’impero carolingio, il suo profilo si fa via via meno internazionale e più regionale. Il complesso è oggetto di numerose trasformazioni, che creano una struttura articolata e in costante evoluzione; il nucleo centrale è organizzato intorno alla basilica di San Salvatore, nella quale dal 763 le reliquie di santa Giulia sono custodite all’interno di arche collocate nella cripta. Paolo Diacono (tra 720 e 724-799) attesta il flusso di pellegrini nordici che vi sostano, sulla via per Roma o la “sacra rupe garganica”, luogo di culto di san Michele, nel ducato longobardo di Benevento, sul Gargano. Inizialmente sulla rupe esisteva un tempio pagano scavato nella roccia, dedicato al culto di Diomede e poi a san Michele Arcangelo, una sorta di “santo nazionale” del “popolo esercito” dei Longobardi, che condivide con Wotan tre caratteristiche: è un guerriero, svolge la funzione di psicopompo, in altre parole di traghettatore di anime nel regno dei morti, e domina i fenomeni atmosferici. Questo continuo e ininterrotto flusso sembrerebbe, tra l’altro, attestare la buona manutenzione della rete viaria che collega l’Europa centrosettentrionale con l’Italia. Per secoli, oltre ai pellegrini, anche ammalati e poveri senzatetto sono accolti nello xenodochio, chiamato hospitale dal 900 in poi. Di fronte all’ingresso principale si trovano le antichissime strutture della foresteria, con l’annessa cappella di San Remigio; tra Duecento e Trecento il monastero è ulteriormente ampliato. 

Dal XIII secolo, tuttavia, inizia per il convento un lungo periodo di crisi economica, religiosa e istituzionale, comune agli enti monastici in generale, cui s’intreccia una crisi economica, tra il XII e il XIII secolo, determinata dal fatto che i debiti superano notevolmente i crediti. Un altro fattore che concorre a ridimensionare il cenobio è l’ingerenza, talora pesante, delle grandi famiglie feudali; il capitolo ormai è espressione delle più potenti casate cittadine e di quelle provenienti dalle località con maggiori possedimenti del monastero. Non meno travagliata è la vita religiosa e comunitaria del cenobio: una bolla papale del 1229 proibisce l’accompagnamento di strumenti musicali durante la celebrazione degli uffici liturgici, vieta alle monache di allontanarsi dal capitolo senza il consenso della badessa, richiama il rispetto della clausura, vieta a chiunque di accedere allo spazio del claustrum, a eccezione di vescovo, abate, priore o qualunque altro religioso venuto per predicare. Le porte del monastero si aprono al clero e al popolo de* fedeli solamente in occasione della festa di Santa Giulia e le monache devono abbandonare la chiesa maggiore e ritirarsi nei luoghi più riservati del cenobio. Nonostante il deciso intervento del Papa, la vita religiosa del cenobio continua nel disordine e la crisi del monastero si risolve solo nel XV secolo, con il passaggio di Brescia sotto la repubblica di Venezia.

Il chiostro rinascimentale

Nella seconda metà del Quattrocento, durante il periodo in cui regge il cenobio Elena Masperoni, ha inizio, non senza contrasti, l’avvicinamento alla congregazione di Santa Giustina, sancito da Sisto IV nel 1481 e confermato da Alessandro VI Borgia (tra 1430 e 1432-1503) nel 1497. Con il passaggio a Santa Giustina la carica abbaziale diviene annuale e la cura del monastero riformato è affidata materialmente ai monaci di Sant’Eufemia. Nel XVI secolo il cenobio ritorna all’osservanza della Regola benedettina, aumenta il numero delle monache e si assiste a un miglioramento del livello culturale. Agli inizi del Seicento il governo bresciano prova ad assoggettarlo al dominio del vescovo, sottraendolo al controllo dei benedettini e privandolo dell’autonomia dall’autorità episcopale di cui godeva fin dalle origini; le monache tuttavia riescono a sventare il tentativo. Il direttorio esecutivo della Repubblica Cisalpina decreta nel 1798 la soppressione del monastero di Santa Giulia, il suo passaggio al Demanio militare della Repubblica e il suo utilizzo come caserma. Alle circa novantacinque monache presenti nel cenobio sono concessi venti giorni di tempo per abbandonarlo. L’arredo e le proprietà sono venduti, l’archivio disperso e il tesoro messo al sicuro presso la Biblioteca Queriniana. 

Biblioteca Queriniana

Dopo l’unificazione, il comune di Brescia acquista l’immobile, destinando gli ambienti della chiesa di Santa Giulia, del coro delle monache e di San Salvatore a ospitare il primo allestimento museale dell’età cristiana, inaugurato nel 1882; risale al 1966 il passaggio definitivo dell’intero complesso al comune di Brescia, che negli anni Settanta del Novecento affida all’architetto Andrea Emiliani (1931-2019) la redazione di un piano complessivo per la realizzazione di un Museo della Città. 

Il museo è finalmente aperto nel 1998, dopo intense campagne di scavo e un radicale restauro, nel complesso di San Salvatore e Santa Giulia, che fa parte del sito seriale “Longobardi in Italia: i luoghi del potere”, nel 2011 dichiarato dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità. 

         

Veduta prospettica del complesso  

A questo luogo si lega anche il ricordo della figlia di Desiderio e Ansa, immortalata come Ermengarda dai versi dell’Adelchi di Alessandro Manzoni, sulla quale si hanno notizie storiche davvero scarne. Pare appurato che una delle figlie dell’ultimo re longobardo sia data in sposa a Carlo Magno, allo scopo di rinsaldare l’amicizia con il popolo franco nel momento di massima precarietà del regno, minacciato a sud dal Papa e a nord dagli stessi Franchi. Tuttavia, non ne conosciamo il nome; l’appellativo di Ermengarda compare per la prima volta settecento anni dopo, in un testo del Quattrocento, mentre fonti più antiche nominano una Desiderata, figlia di Desiderio e di Ansa e sorella di Anselperga, badessa del convento di Santa Giulia. 

Particolari della Croce di Desiderio, VIII secolo, in legno con lamina metallica, pietre dure e pasta vitrea. Nel medaglione, a destra, la regina Ansa, con i figli Adelchi e Anselperga

Secondo la tradizione – o la leggenda? – la giovane, sposatasi con Carlo Magno (742-814) nel 770, ne sarebbe stata ripudiata l’anno successivo, col pretesto di non essere in grado di procreare eredi, si sarebbe ritirata a Brescia, nel monastero guidato dalla sorella, morendovi lo stesso anno 771, dopo essere venuta al corrente del nuovo matrimonio di Carlo con la sveva Ildegarda (758-783), e vi sarebbe stata seppellita. La sua figura tragica è riscoperta e riproposta dal movimento romantico con una narrazione che la vede come incarnazione sia della devozione e della pienezza della passione femminile, sia della sconfitta delle ragioni del cuore da parte della ragion di stato. Per altri versi la principessa longobarda, sposa e poi donna innamorata nonostante il ripudio, rappresenterebbe una sorta di allegoria del suo popolo, che, nel 774, passa dalla condizione di vincitore a quella di vinto, sconfitto dai Carolingi, dopo oltre due secoli di dominio in Italia. 

L’invasione di Roma da parte di Desiderio (710-post 774) nel 772 induce il papa Adriano I a richiedere l’aiuto franco. Carlo Magno varca le Alpi e stringe d’assedio Pavia, la capitale del regno; dopo la resa della città, si svolge un’ultima battaglia a Susa, dalla quale Desiderio e l’esercito longobardo escono definitivamente sconfitti. Il re è tenuto prigioniero in un monastero francese, fino alla morte, mentre Adelchi, il figlio, si arrende a Verona. 

La morte di Ermengarda 

La morte di Ermengarda nell’Adelchi, di Alessandro Manzoni. Il coro:
«Sparsa le trecce morbide
Sull’affannoso petto,
Lenta le palme, e rorida
Di morte il bianco aspetto,
Giace la pia, col tremolo
Sguardo cercando il ciel.
Cessa il compianto: unanime
S’innalza una preghiera:
Calata in su la gelida
Fronte, una man leggiera
Sulla pupilla cerula
Stende l’estremo vel.»

Secondo la lettura manzoniana la principessa longobarda, che discende dagli oppressori e si purifica attraverso la sofferenza, tematizzerebbe la «provvida sventura», mentre agli studi storici offre uno spunto d’indagine sul ruolo delle donne vicine a Desiderio: la moglie Ansa, donna colta e capace di intuizioni politiche, le figlie Anselperga, carismatica badessa, e Adelperga, moglie del duca di Benevento e animatrice della rinascita culturale nel Meridione, incarnano un protagonismo politico e sociale dai tratti quasi moderni.

***

Articolo di Claudia Speziali

mbmWJiPdNata a Brescia, si è laureata con lode in Storia contemporanea all’Università di Bologna e ha studiato Translation Studies all’Università di Canberra (Australia). Ha insegnato lingua e letteratura italiana, storia, filosofia nella scuola superiore, lingua e cultura italiana alle Università di Canberra e di Heidelberg; attualmente insegna lettere in un liceo artistico a Brescia.

Un commento

  1. La curiosità di saperne di più di Ermengarda, che i versi imparati a memoria (obbligatoriamente) al ginnasio, mi avevano fatta amare, mi ha portato a Santa Giulia, di cui porto il nome non perché i miei ne conoscessero la storia e i suoi tanti meriti, ma perché per tradizione io portavo il nome di mia nonna. E ho quindi riletto con più attenzione l’articolo precedente. Due articoli densi di storia e aneddoti raccontati con chiarezza e le giuste connessioni.Voglio ringraziare l’autrice che ho l’onore e il piacere di avere come amica nell’Associazione Toponomastica Femminile e mandarle un abbraccio virtuale, in attesa di futuri incontri di fatto..

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