Nelle campagne a Nord di Londra, Cicily Isabel Fairfield1, nota al pubblico come Dame Rebecca West, mi ha invitato a trascorrere una rigenerante giornata nella sua tenuta immersa nel verde brillante della provincia inglese. Quando le ho chiesto di poterla incontrare, mai avrei sperato in una tale cordiale accoglienza… Eccola! È venuta a prendermi alla stazione più vicina a bordo della sua Rolls-Royce, con un fazzoletto rosso legato intorno ai cotonati capelli grigi. Già mi è simpatica.
Le chiedo subito, per non fare figuracce: preferisce essere chiamata con il suo nome di nascita o quello d’arte?
Ormai sento più mio Rebecca West. L’ho scelto perché si chiamava così un’eroina ribelle di un’opera che amo molto: Rosmersholm di Henrik Ibsen.
Dame Rebecca, visto il suo indiscusso talento, è stato facile per lei entrare nell’ambiente giornalistico?
Ride di gusto, mentre gira la chiave nella maestosa porta della villa. Non sono sicura di star capendo…
Facile?! Ti racconto solo un piccolo aneddoto esemplificativo: si era liberato un posto nella redazione dove lavorava mio padre prima di morire, quindi, nella mia testa, la strada era pressoché spianata per me… Mi presentai al colloquio ma la sfortuna volle che nello stesso periodo anche un collega di papà morì e che anche suo figlio, con molta meno esperienza di me, volesse concorrere al posto libero in redazione. Indovina chi hanno scelto?
Lui, immagino.
Non mi hanno neanche guardata in faccia, mi hanno solo caldamente suggerito di cercare un’altra professione che fosse più adeguata al mio caso… Probabilmente erano anche molto intimiditi dalle mie posizioni politiche, non esattamente convenzionali per una donna di quegli anni.
Perché si era avvicinata al socialismo, intende?
Sì, ma non solo. Non avevo mai nascosto le mie simpatie per il socialismo, che ritenevo l’unica medicina possibile per la società profondamente malata in cui vivevo, questo è sicuro. Inoltre, e forse era questa la cosa che intimidiva maggiormente i miei colleghi, militavo con le suffragette londinesi.
Penso tra me e me, perché so che non ha alcun piacere a parlarne, che, a rendere ancora più scomoda la sua posizione, c’era anche la lunga relazione intrapresa con H.G. Wells, di 26 anni più grande di lei.
C’è da dire che — mi corregga se mi sbaglio — da che la militanza era un ostacolo per il successo, dopo poco l’hanno fortemente voluta in tutto il mondo proprio come portavoce della lotta socialista e femminista.
Sì, è vero. Ho iniziato con le riviste Freewoman e Clarion, poi hanno cominciato a chiamarmi sempre più frequentemente dagli Stati Uniti, dove ho passato molto tempo negli anni ’20. Sono riuscita a consacrarmi nel mondo giornalistico grazie a pubblicazioni su The New Republic, New York American e The Daily Telegraph.
Dame Rebecca, ciò che personalmente amo di più della sua vastissima produzione, è la fusione che riesce a mettere in campo tra scrittura di viaggio e scrittura politica, che attraversa sia il giornalismo che la saggistica e la narrativa. Me ne vuole parlare?
Ho sempre amato molto viaggiare, perché i luoghi che visitavo mi entravano dentro l’anima senza che io dessi loro nulla in cambio, spalancandomi gli occhi su realtà politiche e sociali diverse dalla mia. Ogni volta tornavo a casa profondamente arricchita nello spirito e, sempre più spesso, tutto ciò si è tradotto in entusiasmante lavoro.
Qual è stata l’esperienza di viaggio che più le ha cambiato la vita?
Oh, mamma mia! Non posso sceglierne una sola… Ogni luogo è stato così diverso e ricco di sorprese! Sono affezionata ai posti che ho visto per diverse ragioni: l’ex-Jugoslavia è dove è nato Black Lamb and Grey Falcon, uno dei miei romanzi più famosi… A Norimberga ho avuto l’onore di seguire i processi postbellici per The New Yorker: è stata un’esperienza dolorosa e stravolgente… In Sud-Africa sono stata una testimone dell’apartheid per The Sunday Times, e così via. Forse, se proprio devo scegliere, il paese a cui più mi sono appassionata è il Messico, dove ho passato molto tempo negli ultimi anni per tentare di scoprirne la meravigliosa cultura indigena.
Grazie Dame Rebecca, le faccio un’ultima domanda, poi non vedo l’ora di visitare la tenuta. Volevo chiederle solo una curiosità: lei che è stata una suffragetta, cosa pensa della lotta femminista oggi?
Ho sempre sostenuto il femminismo, sia nella sua ondata emancipazionista che nel movimento nato dagli anni ’60. Quando eravamo ragazze noi, un secolo fa, la prima urgenza era la parità dei diritti politici. Ora quelli, più o meno, li abbiamo conquistati ed è rimasta una battaglia ben più ardua da combattere: quella culturale. Il femminismo oggi deve avere come obiettivo primario di scardinare lo stereotipo che àncora una donna a un determinato tipo di percorso di vita… Care ragazze, avete il dovere verso voi stesse di lottare per ciò che vi rende soddisfatte e felici, non per quello che qualcun altro ha deciso per voi! Io, cent’anni fa, l’ho fatto e non me ne pentirò mai. Ora forza, metti la giacca che andiamo a fare un giro in macchina per la campagna, prima che faccia buio!

DAME REBECCA WEST1: nata Cicily Isabel Fairfield, è stata una giornalista e scrittrice britannica, vissuta dal 21 dicembre 1892 al 15 marzo 1983.
Autrice poliedrica, definita più volte “la reporter migliore del mondo”, si è occupata di critica letteraria, politica e narrativa: tra le sue collaborazioni spiccano quella con The New Yorker, The Sunday Telegraph e The Times, mentre tra i suoi romanzi ricordiamo Black Lamb and Gray Falcon, incentrato sulla storia dell’ex-Jugoslavia, e The Return of the Soldier, primo romanzo sulla Grande Guerra scritto da una donna.
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Articolo di Emma de Pasquale

Emma de Pasquale è nata a Roma nel 1997 ed è laureata in Lettere Moderne all’Università La Sapienza di Roma. Attualmente frequenta la magistrale in Italianistica all’Università Roma Tre. Ha interesse per il giornalismo e l’editoria, soprattutto se volti a mettere in evidenza le criticità dei nostri tempi in un’ottica di genere.