Le medaglie al valore delle donne

I premi ed i riconoscimenti ufficiali, in qualsiasi ambito, sono sempre stati, per le donne, una meta difficile da raggiungere. La ricerca che abbiamo effettuato ce lo ha confermato: liste interminabili di nominativi maschili, pochissimi quelli femminili.

Ci siamo soffermate su alcune delle donne che per la prima volta, in Italia, sono state insignite con delle medaglie al valore.

Caterina Scarpellini e Luigia Picech sono state tra le prime a ottenere delle medaglie: Caterina è stata la prima ad ottenere dallo Stato italiano una Medaglia d’oro per il valore delle sue ricerche e Luigia, centralinista di Tarvisio, la prima donna della Resistenza ad essere decorata con la Medaglia d’argento al Valor Militare.

Caterina Scarpellini era nata a Foligno nel 1808 e, trasferitasi a Roma, nel 1826 era già assistente del direttore dell’Osservatorio Astronomico della Romana Università sul Campidoglio. Lì conobbe Erasmo Fabri con cui in seguito convolò a nozze e, raro se non unico caso, suo marito aggiunse al proprio cognome quello della moglie. Le sue osservazioni sui movimenti dei pianeti, sugli sciami di stelle cadenti, su piogge di sabbia e terremoti la portarono a importanti pubblicazioni scientifiche. Inoltre, istituì una stazione ozonometrica e metereologica nella capitale. L’astronoma si occupò anche di rilevazioni idrometriche e idrotermiche del fiume Tevere. Ricevette la Medaglia d’oro del Regno d’Italia nel 1872 per il suo “alto contributo scientifico”. Oggi un cratere del pianeta Venere ne porta il nome.

Caterina Scarpellini              

Luigia Picech era nata a Cormons, piccolo comune del Friuli-Venezia Giulia, nel 1904. La sua storia, collegata alla Resistenza, ci riporta a Tarvisio l’8 settembre del 1943 al centralino del telefono pubblico dove stava lavorando in sostituzione della sorella Rosa. Quella sera, esattamente alle ore 19:42, Badoglio aveva diffuso per radio la dichiarazione di armistizio unilaterale dell’Italia. Le parole suscitarono perplessità e confusione nell’ambiente militare e nella caserma di Tarvisio i soldati subirono un’aggressione da parte di un reggimento tedesco, fino a poco prima alleato.

La caserma non era dotata di linea telefonica autonoma ma dipendeva da quella pubblica. Per organizzare la difesa, capire le posizioni e la strategia da adottare c’era bisogno assoluto che la centralinista Luigia restasse al suo posto nonostante l’attacco tedesco. La donna continuò a lavorare tra i calcinacci delle pareti sventrate dalle bombe e il sibilo delle pallottole. Venne ferita alla testa e ad un piede ma imperterrita continuò a svolgere le sue mansioni. Venne fatta prigioniera dai tedeschi ma per fortuna un amico di famiglia riuscì a liberarla e a farla fuggire. A guerra finita verrà decorata con una Medaglia d’argento al Valor Militare. Oggi a Tarvisio una via è a lei intitolata.

Tarvisio. Via Luigia Picech

Maria Avegno fu la prima donna a ricevere la Medaglia d’oro al Valor Civile, onoreficenza istituita dal re Vittorio Emanuele II nel 1851. Ancora oggi viene assegnata a cittadini e cittadine che hanno compiuto atti di coraggio rischiando la propria vita per salvarne altre o il cui comportamento ha evitato disastri. Si conferisce tra l’altro anche a chi, ad esempio, ha contribuito ad arresti “eccellenti”, a chi ha compiuto gesti o atti per il bene dell’umanità o per tenere alto il nome ed il prestigio dell’Italia.

San Fruttuoso. Targa in memoria delle sorelle Avegno

Ma veniamo alla vicenda di Maria. La mattina del 24 aprile del 1855, Cavour e Rattazzi assistettero nel porto di Genova alla partenza di un reparto di circa duecentosettanta soldati dell’esercito piemontese sul piroscafo inglese “Croesus” diretto in Crimea. Dopo due ore di navigazione scoppiò un incendio a bordo, all’altezza della costa di Camogli. Nella piccola baia di San Fruttuoso due sorelle, Caterina e Maria Avegno, assistettero a quell’inferno di fuoco e udirono le grida d’aiuto dell’equipaggio. Senza esitare presero un grosso gozzo ed iniziarono ad effettuare innumerevoli viaggi per trasportare a riva i naufraghi. Purtroppo, durante uno di questi tragitti il gozzo si rovesciò a causa delle troppe persone che volevano salirvi. Anche Maria e Caterina caddero in acqua e alle loro vesti si aggrapparono disperati i sopravvissuti. Maria, trascinata in fondo al mare, perse la vita. Venne sepolta prima a Camogli e poi traslata nell’abbazia di San Fruttuoso, per volere dei principi Doria Pamphili. Il governo del Regno di Sardegna, nel 1855, concesse a Maria la Medaglia d’oro al Valor Civile. Nel belvedere di Camogli, oggi, è apposta una lapide che ricorda le due eroiche sorelle.

Maria Boni Brighenti

Maria Boni Brighenti è stata la prima donna a essere decorata con la Medaglia d’oro al Valor Militare. Era un’infermiera nata il 3 settembre del 1868 a Roma. Appena sposata si recò in Libia con il marito tenente. Nel 1915, durante un combattimento, anche se ferita, corse in aiuto dei soldati e perse la vita. Questa la motivazione del conferimento: «Durante il lungo blocco di Tarhuna, fu incitatrice ed esempio di virtù militari, con animo elevatissimo e forte prodigò sue cure a feriti e morenti, confortandoli con infinite risorse della sua dolce femminilità. Il 18 giugno del 1915, seguendo il presidio che ripiegava su Tripoli, rifiutò risolutamente di porsi in salvo, volendo seguire le sorti delle truppe, più volte colpita da proiettili nemici mentre soccorreva i feriti e incuorava alla lotta, morì eroicamente in mezzo ai combattenti».

Furono 19 le donne italiane decorate con la Medaglia d’oro al Valor Militare per le azioni compiute durante la Resistenza, fra il 1943 e il 1945, di cui 15 alla memoria. Tra di loro Irma Bandiera, Norma Parenti Pratelli e Carla Capponi, le più conosciute.

I nomi delle altre: Cecilia Deganutti, Tina Lorenzoni, Ines Bedeschi, Anna Maria Enriques Agnoletti, Livia Bianchi, Gabriella Degli Esposti in Reverberi, Ancilla Marighetto, Clorinda Menguzzato, Irma Marchiani, Rita Rosani, Modesta Rossi Palletti, Virginia Tonelli, Iris Versari, Paola Del Din, Gina Borellini e Vera Vassalle.

Tutte subirono la violenza del regime nazifascista. Alcune, oltre ad essere torturate, furono stuprate. Nei luoghi in cui videro la luce e in quelli dove si spense la loro coraggiosa vita la toponomastica le ricorda. Anche a Roma e altrove sono state a loro intitolate delle vie ma sarebbe auspicabile una più diffusa presenza nell’odonomastica.

In copertina. Savona, foto di Loretta Junck.

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Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Istituto Superiore di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) di Licata per il corso di Letteratura al femminile. Collabora con testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Per Navarra edit. ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzoLe Ricamatrici e Donne disobbedienti.

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