C’era una volta un tempo in cui le donne impegnate in politica anteponevano l’interesse dei cittadini e delle cittadine e l’emancipazione del loro genere all’interesse del partito a cui appartenevano. Un bell’esempio fu quello della Madre costituente Teresa Mattei che pubblicamente strappò la tessera del Partito comunista a cui era iscritta. Altre donne si sono dissociate dalla linea del partito ma di loro, ovviamente, si è persa la memoria troppo scomoda da tramandare. Quasi completamente sconosciuta è la storia di Gina Mare Poni, parlamentare siciliana comunista che abbandonò il partito e la politica rifiutando sdegnosamente un ruolo di ripiego.
Gina era nata a Messina il 20 giugno 1912 e nel 1947, a soli 34 anni, fu eletta all’Assemblea regionale siciliana, diventando così la prima donna comunista a farne parte.
Prima di intraprendere l’attività politica aveva lavorato come inserviente in un Istituto di Palermo dove venivano ricoverate bambine e bambini ammalati di tubercolosi. E di quella sua esperienza fatta di fatica e di dolore fece sempre tesoro. Nata in una famiglia povera, aveva potuto frequentare solo le scuole elementari ma studiò in seguito da autodidatta. Quando si tesserò nel Partito comunista italiano, iniziò a girare per i quartieri palermitani, parlando con grande abilità oratoria di antifascismo. «Predicava il rifiuto alla rassegnazione, illustrava alle donne i diritti da rivendicare».
Come scrive Simona Mafai nel profilo che la ritrae nel dizionario biografico Siciliane «non si limitava a parlare: si interessava dei bambini e della loro salute, dava una mano per portarli in ospedale, guidava le donne in Municipio a chiedere la riparazione delle strade, l’apertura di asili e colonie estive». I compagni di partito le dicevano che sembrava più una dama di San Vincenzo che una comunista.
Durante la sua carriera politica entrò in contatto con migliaia di lavoratrici siciliane: con le gelsominaie di Milazzo sfruttate e sottopagate, con le incartatrici agrumarie di Lentini, nel Siracusano, con le vedove dei minatori di Caltanissetta: la voce di queste donne entrava tramite Gina Mare direttamente nelle stanze dell’Assemblea Regionale Siciliana. Nel verbale della seduta del 20 novembre 1950 si legge un suo intervento in merito all’occupazione delle terre: «… le nostre donne sono uscite dai casolari e si sono messe alla testa del movimento… donne di tutti i colori politici sono uscite dalle loro case. Spinte da cosa? Spinte dai bambini che chiedevano pane, spinte dalla fame e dalla miseria, spinte anche, lo dico con orgoglio di donna siciliana, dalla volontà di difendere concretamente, sul piano della lotta, l’autonomia siciliana».
Ma questo suo carattere indomito e forte non fu tollerato all’interno del partito che dopo due legislature decise di non candidarla più all’Ars e le propose un incarico nell’organizzazione sindacale.
Gina rifiutò sdegnosamente e abbandonò il Pci.
Fortemente delusa non si interessò più di politica, riprese il suo lavoro di assistente sanitaria conseguendo varie specializzazioni e si dedicò alla cura ed al sostegno di persone anziane e bisognose.
Così questa donna dal carattere d’acciaio «con un bellissimo viso e straordinari occhi celesti» morì, nell’agosto del 2000, nell’ombra in cui era stata relegata, come quasi sempre accade per le ribelli e le disobbedienti. Pensiamo sia arrivato il tempo di ridare luce a quegli occhi, alla sua grande dignità ed alla sua coerenza.
Pensiamo sia arrivato il tempo di raccontare il sogno di uguaglianza di una donna che naufragò tra gli interessi di una classe politica miope e grigia.
***
Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Istituto Superiore di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) di Licata per il corso di Letteratura al femminile. Collabora con testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Per Navarra edit. ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici e Donne disobbedienti.