Tracciamo dei brevi profili delle donne insignite delle Medaglie d’argento al valor militare. Poche righe per raccontare la loro vita ma soprattutto per tenerne vivo il ricordo non solo nei contesti in cui nacquero, vissero e operarono. Sarebbe auspicabile un riconoscimento odonomastico e toponomastico più diffuso. Iniziamo la rassegna con Norma Barbolini, nata a Sassuolo il 3 marzo del 1922. Alla morte del padre cominciò a lavorare come operaia ceramista per aiutare economicamente la famiglia, ma nel 1941 fu licenziata per aver aderito a uno sciopero in fabbrica per ottenere delle razioni di cibo sufficienti e dignitose. Nel 1943 insieme al fratello Giuseppe entrò nella Resistenza, diventando staffetta partigiana combattente. Fu al comando, durante un combattimento contro i nazifascisti, della Prima Divisione Partigiana “Ciro Menotti”. Per i suoi gesti valorosi, a fine guerra, oltre alla medaglia le fu riconosciuto il grado di Capitano dell’Esercito Italiano. Il suo impegno politico la portò a ricoprire il ruolo di assessora, nel 1946, nel comune di Sassuolo. Ha partecipato attivamente all’Udi ed è stata funzionaria del Sindacato Nazionale Ceramisti affiliato alla Cgil. È stata autrice di Donne montanare. Racconti di antifascismo e Resistenza. È morta a Modena il 14 aprile 1993 ed a Sassuolo le è stato intitolato un parco.
Maria Bartolotti era nata un anno dopo Norma: il 25 marzo 1923 a Fusignano. Fu esempio di “Resistenza al femminile” nei territori della Bassa Romagna e punto di riferimento per le mondine delle risaie nell’organizzazione di scioperi e proteste. Subì molte intimidazioni dal regime fascista. Durante la Resistenza creò ed organizzò una efficientissima rete di staffette partigiane. È morta a Ravenna il 6 dicembre del 1972. Una scuola primaria di Savarna (frazione del comune di Ravenna) oggi porta il suo nome come pure una via a Marina di Ravenna. «Spiccata figura di partigiana, alla determinazione e alla qualità di combattente, sapeva unire squisita sensibilità, dando ai commilitoni con il suo esempio grande conforto e forza d’animo. In venti mesi di ininterrotta attività offriva costante, alto contributo alla lotta di liberazione della Patria».
Anche Diana Sabbi fu una partigiana insignita della Medaglia d’argento. Era nata a Pianoro nella provincia bolognese. Figlia di una sarta e di un birrocciaio si nutrì sin dall’infanzia degli ideali antifascisti di tutto il suo nucleo familiare. Riuscì a frequentare la scuola fino alla classe quinta elementare ma poi, a causa delle ristrettezze economiche, intraprese il lavoro della madre e, dopo vari anni passati in una sartoria dove veniva sfruttata e pagata poco, riuscì, solo diciottenne, a creare un proprio laboratorio sartoriale. Con l’avvento della guerra aderì alla Resistenza svolgendo varie mansioni: staffetta di ordini e messaggi, di materiale sanitario e anche di armi e munizioni. Inoltre assolveva il compito di trovare rifugi sicuri e ben nascosti per i gruppi partigiani e di individuare i percorsi più agevoli per gli spostamenti. Sfruttando le sue conoscenze confezionava anche divise per i partigiani.
Nel 1944, durante un rastrellamento venne catturata da truppe tedesche insieme a un’altra partigiana, Rina Pezzoli, ma riuscì a fuggire. Dopo la guerra il suo impegno politico e civile continuò in svariati campi ma soprattutto fu attiva per migliorare le condizioni di lavoro delle donne. Diana vanta un primato: fu la prima donna a far parte della Segreteria della Camera del lavoro di Bologna. È morta il 2 febbraio del 2005: oltre alla Medaglia le fu conferito il grado di Capitano. Lo stesso anno della sua morte la città di Bologna le ha intitolato un Premio che viene assegnato alla migliore tesi di laurea avente come oggetto la storia delle donne e dei movimenti femminili. A Pianoro una Scuola primaria porta il suo nome, come pure un giardino pubblico a Bologna. Non abbiamo trovato vie o piazze a lei intitolate.
Valentina Guidetti, staffetta partigiana, venne definita l’”Eroina di Pasqua” perché proprio in quella ricorrenza del 1945, dopo aver portato a termine un’importante missione, venne catturata da soldati tedeschi che la torturano per estorcerle informazioni utili all’arresto di altri partigiani. Dalle sue labbra non uscì alcun nome e per punizione venne uccisa a colpi di pugnale. Era nata a Sant’Ilario d’Enza in provincia di Reggio Emilia il 22 novembre del 1922 e aveva avuto un’infanzia difficile in quanto, dopo la prematura morte della madre, suo padre emigrò affidandola a una famiglia amica. A 14 anni fu costretta ad abbandonare gli studi per provvedere al sostentamento proprio e dei suoi quattro fratelli e si trasferì a Genova dove trovò lavoro come donna di servizio. Scoppiata la guerra rientrò nei suoi luoghi d’origine e a Toano iniziò subito a collaborare con le forze partigiane diventando una staffetta con il nome di battaglia “Nadia”. Nel 1981, nella valle di Toano, è stato inaugurato alla sua memoria un monumento dedicato alla Resistenza dove è stata impressa la sua effigie. A Reggio Emilia una strada porta il suo nome.
Spostandoci in Umbria troviamo Walkiria Terradura, nata a Gubbio il 9 gennaio 1924. Figlia di un avvocato cattolico antifascista arrestato perché non gradito al regime, ereditò dal padre l’avversione verso la dittatura. Ancora studente venne portata più volte in questura e aspramente redarguita per il suo atteggiamento ostile alle imposizioni del duce. L’accusarono di far circolare notizie false e tendenziose. Durante l’occupazione tedesca fu proprio lei che riuscì a salvarlo dai nazifascisti e, sempre insieme a lui ed alla sorella Lionella, si nascose tra le montagne dell’Appennino umbro-marchigiano aderendo alle formazioni partigiane di quella zona. Walkiria assunse il pericoloso compito di minare e far saltare i ponti di collegamento. Sulla sua testa i nazifascisti spiccarono ben otto mandati di cattura e giravano di paese in paese con una sua fotografia per rintracciarla. Non ci riuscirono mai. Al termine della guerra oltre a essere decorata al valore con la medaglia, le fu conferita la nomina di Sottotenente. È definita la “partigiana di Gubbio dagli occhi cerulei” che ancora oggi si batte per l’amore per il prossimo e il grande valore della libertà. Bellissime le sue interviste che troverete sul web. E molto bello il ricordo che tratteggia della sorella Lionella, nome di battaglia “Furia”: la partigiana dai capelli rossi che si adoperava nelle missioni per andare a sequestrare il grano nei silos prima che venisse trafugato dai tedeschi e lo distribuiva alla popolazione oppressa da fame e miseria.
Jole De Cillia era nata a Nord, fra le montagne, a Cortina D’Ampezzo, il 23 gennaio del 1921, in una famiglia operaia che tre anni dopo la sua nascita emigrò in Francia. Jole frequentò le scuole francesi fino al conseguimento del diploma di infermiera. Allo scoppio delle Seconda guerra mondiale rientrò in Italia insieme alla famiglia e trovò lavoro all’Ospedale di Udine. Proprio lì conobbe la partigiana Fidalma Garosi che collaborava con un gruppo antifascista per sottrarre le medicine e inviarle alle/ai componenti della Resistenza slovena. Jole iniziò ad aiutare l’amica in quel compito e poi si unì a un gruppo partigiano con il compito di prestare assistenza sanitaria. Durante un’operazione furono intercettati dalla X Mas. Nello scontro, il suo fidanzato rimase ferito e pregò sia lei che i compagni di abbandonarlo e fuggire per salvarsi la vita. Jole non volle sentir ragione e gli restò accanto combattendo contro il nemico. Quando si resero conto di non avere più scampo, entrambi si tolsero la vita: era l’alba del 9 dicembre 1944.
A Udine una via porta il suo nome (in copertina).
A Mereto di Tomba (frazione di Savalons) una piazza e una targa ricordano il suo sacrificio. «Negli occhi la luce della Libertà, Nel cuore l’amore dei Giusti».
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Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Istituto Superiore di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) di Licata per il corso di Letteratura al femminile. Collabora con testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Per Navarra edit. ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici e Donne disobbedienti.