Sui social da qualche giorno è in atto una forte polemica su una statua commissionata dal Comune di Sapri (Salerno) allo scultore Emanuele Stifano. Raffigura una giovane donna voluttuosa, coperta solo da un abito succinto e trasparente, in stile camicia bagnata vedo/non vedo che mette in risalto seni e glutei. Ricordo una polemica simile per la statua discinta della Violata ad Ancona, commissionata per portare l’attenzione sulla violenza maschile sulle donne.
Il riferimento stavolta è alla spigolatrice protagonista di una notissima poesia di Luigi Mercantini ispirata a un tragico episodio del Risorgimento italiano: la spedizione del socialista Carlo Pisacane, che aveva lo scopo di innescare una rivoluzione antiborbonica nel Regno delle Due Sicilie, ma al posto delle masse rivoluzionarie trovò una popolazione ostile che si unì alla gendarmeria borbonica per trucidarli. La contadina immaginata dal poeta assiste allo sbarco, affascinata da una speranza di libertà lascia il lavoro per seguirli e inorridita e incredula piange i trecento giovani morti.
Siamo in presenza di un’opera a destinazione pubblica, esposta in pubblico, pagata con fondi pubblici, che ha una dichiarata funzione celebrativa. Poteva essere il simbolo della presenza femminile nelle battaglie, nella storia, nella letteratura. È diventata l’ennesimo triste ammiccante tributo non alla rappresentazione artistica del nudo femminile, ma agli stereotipi che l’accompagnano.
Giunta e scultore ovviamente difendono l’iniziativa. La perversione è nell’occhio di chi guarda, dicono.
L’inaugurazione avviene alla presenza delle autorità locali e del presidente M5s Giuseppe Conte in tour elettorale nella zona. Uomini con responsabilità di governo, noti e applauditi, si fanno fotografare compunti, con la mano sul cuore, di fronte a una statua di donna che stimola reazioni pruriginose e a noi pare ridicola per la storia, per la dignità, per il buonsenso e per il buon gusto.
Non si pongono alcun problema, sembra che la banalità di questa iconografia non li riguardi.
Le intenzioni non bastano quando il messaggio è sbagliato.
No, Prassitele o Canova non c’entrano. Non c’entrano «le fattezze fisiche delle donne meridionali», come sostiene un arguto senatore. Figuriamoci se pensiamo che il nudo in sé rechi offesa. Non è la presenza di modelle più o meno vestite a determinare una lesione alla persona, ma l’uso del loro corpo e il senso della posa e dell’atteggiamento, troppo spesso evidentemente allusivi a una disponibilità sul piano sessuale.
Dietro alla statua bronzea di Sapri c’è la plastica rappresentazione non della forza femminile o del risveglio della coscienza popolare (come pretende l’autore) ma dei più scontati sogni erotici maschili.
Non c’entrano la censura né la cancel culture, né il puritanesimo. Le opere d’arte non devono per forza essere “politicamente corrette”, né pudiche, né rappresentare fedelmente una scena storica. Tuttavia per un’opera pubblica il problema del contesto culturale è importante (già Facebook sta riportando autoscatti orgogliosi di maschietti che palpano il sedere della statua. E ve le immaginate le gite scolastiche con ragazzini in pieno tumulto ormonale?).
Lo scultore afferma di «prescindere dal sesso», ma eroi risorgimentali in perizoma nelle piazze italiane o nei parchi io non ne ho visti mai.
Rompere l’assuefazione.
Si possono raccontare le donne senza spogliarle, senza ridurle allo stereotipo della fanciulla sexy offerta agli sguardi, inchiodata al ruolo-gabbia di oggetto di piacere che i maschi hanno costruito per lei? Si può prescindere dalla ricca elaborazione che studiose di molte discipline hanno prodotto sulla mercificazione a scopi promozionali e pubblicitari dei corpi femminili? Può chi ha responsabilità pubbliche non interrogarsi sulle condizioni del discorso, ignorare il risultato sull’immaginario collettivo di decenni di offerte di immagini scollacciate?
Oppure la rappresentazione stereotipata della donna è considerata in Italia un tratto antropologico così radicato che non si pensa valga la pena di contrastarlo con politiche evolutive?
I commentatori si appiattiscono su quell’altro cliché, “che noia queste femministe”. Nessuno sa o comprende che molte delle voci che si levano sono di persone che sul tema riflettono da anni. Probabilmente ben pochi leggono, molti rifuggono da firme femminili. L’importante è ridurre tutto a un quadro di donne frustrate che polemizzano su qualsiasi cosa.
Il sessismo: c’è chi lo riconosce e chi no. C’è chi pensa, parla e agisce per contrastarlo e chi per preservarlo. C’è chi fa l’indifferente, perché gli va bene così.
In copertina, Jean-François Millet, Le spigolatrici (Des glaneuses), 1857, Parigi, Musée d’Orsay.
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Articolo di Graziella Priulla

Già docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nella Facoltà di Scienze Politiche di Catania, lavora alla formazione docenti, nello sforzo di introdurre l’identità di genere nelle istituzioni formative. Ha pubblicato numerosi volumi tra cui: C’è differenza. Identità di genere e linguaggi, Parole tossiche, cronache di ordinario sessismo, Viaggio nel paese degli stereotipi.
Brava Graziella Priulla! Parole sacrosante e di una chiarezza da manuale. Mi piacerebbe farne un manifesto e tappezzare le vie di Sarno. Mi sono affacciata a leggere chi amministra la cittadina: bene ci sono in Consiglio comunale 7 donne tutte laureate (meno una non indicata), e nella Giunta 4 donne con vari assessorati: possibile che nessuna di loro abbia svergognato gli uomini presenti quando è stato presentato il progetto della “onorevole” statua??
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