Una targa sul muro della casa in cui era nata e l’intitolazione della strada dove è ubicato l’edificio: così l’associazione Ondedonneinmovimento di Caltanissetta, associata di Toponomastica femminile, ha ridato dignità e ricordo a Giuseppina Panzica che, sprezzante del pericolo, aiutò, dal settembre del 1943, centinaia di persone ebree e di perseguitati politici ad espatriare.
Giuseppina era nata a Caltanissetta il 1° agosto del 1905. Dopo il matrimonio, nel 1929, già madre del primogenito Ignazio, con il figlioletto piccolo tra le braccia, si recò alla stazione e prese il treno che la portò a Legnano dove l’attendeva il marito Salvatore Luca. Insieme si stabilirono a Ponte Chiasso al confine con la Svizzera. In quel paesino presero in affitto una casa con un giardino e proprio sfruttando quel giardino Giuseppina riuscì a costruire una via di salvezza creando uno squarcio nel reticolato. I coniugi aderirono al Gruppo Fra.Ma e, collaborando con il finanziere Gavino Tolis e il maresciallo Paolo Boetti, la loro casa divenne un rifugio per chi era in pericolo. Quel piccolo spazio si trovava infatti a ridosso della rete del confine italo-svizzero e Giuseppina lo utilizzò anche come punto di smistamento per pacchi e lettere che dovevano “uscire dall’Italia”. Scoperti lei e il marito dalla Milizia fascista confinaria e dalla Guardia nazionale della Repubblica di Salò in questa attività, i due furono arrestati . Giuseppina fu tradotta prima nel carcere comasco di San Donnino, poi nel carcere di San Vittore a Milano e in seguito in un lager a Bolzano. L’ultimo trasferimento la portò nel lager femminile di Ravensbruck. Qui subì innumerevoli violenze e torture ma la profonda fede e la speranza di poter riabbracciare i suoi figli furono la fonte di forza necessaria per sopportare le atrocità. Fu tra le poche che riuscirono a sopravvivere a quelle condizioni disumane. In quello stesso periodo sia il marito che i due figli maggiori accettarono di essere espatriati come “lavoratori volontari”, in Germania, mentre le due figlie piccole furono affidate a delle suore di un collegio della zona. Nell’ottobre del 1945, dopo essere stata ricoverata in vari ospedali militari, riuscì finalmente a ricongiungersi con i suoi familiari. È morta a Como il 15 febbraio del 1976.
Il Presidente della Repubblica, nel 2018, le ha conferito, alla memoria, una Medaglia d’oro al Merito civile per essere ancora oggi «splendido esempio di straordinario coraggio e di incrollabile fede nel valore della libertà». Una foto ce la riconsegna con i capelli raccolti, un viso pulito in cui spicca uno sguardo fiero e determinato.
La storia di Giuseppina rappresenta una delle tante vicende femminili silenti che hanno contribuito a raffigurare il quadro complessivo della Storia. Adesso la sua città natale la ricorda e l’intitolazione della strada in cui nacque è l’omaggio che altre donne hanno faticosamente perseguito. Donne che hanno ricercato negli archivi polverosi le tracce di Giuseppina Panzica, che hanno chiesto ed ottenuto collaborazione, che hanno fatto opera di persuasione sulle persone residenti di quella che prima era denominata via Piazza Armerina al fine di giungere ad una sorta di “opera risarcitoria” per una memoria che era rimasta impantanata nei meandri silenziosi e ingiusti dell’oblio. La cittadinanza e l’Amministrazione Comunale hanno compreso come un piccolo disagio può essere sopportato per ricordare una donna che ha dovuto sopportare ben altre sofferenze per donare a noi tutte e tutti il valore inestimabile della libertà.
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Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) nel corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici, Donne disobbedienti e Il labirinto delle perdute.