Essere Padre della Patria e vivere da esule tutta la vita: Giuseppe Mazzini

Scrivere di Giuseppe Mazzini a 150 dalla morte significa confrontarsi con un mito del nostro Risorgimento il cui viso composto, minuto e severo è collocato a fianco di quelli dello stratega politico Camillo Benso conte di Cavour, dell’eroico generale Giuseppe Garibaldi e del primo re d’Italia, malgrado il nome, Vittorio Emanuele II.

Ritratto di Giuseppe Mazzini

Di miti il Risorgimento ne ha collezionati molti, ma quali idee, argomenti, concetti introdotti da Mazzini sono ancora attuali tanto da permetterci di comprenderci meglio e riconoscerci come comunità? Al di là del mito, cosa ha ancora da dirci dopo 150 anni Giuseppe Mazzini? Nato a Genova il 22 giugno 1805, contemporaneo di grandi pensatori come Alexis De Tocqueville, John Stuart Mill e Karl Marx, è stato scrittore e pensatore politico europeo, i suoi scritti però sono stati studiati meno e non sono entrati a far parte dei curricola universitari, alcuni sostengono per la sua preferenza a vivere lontano dai centri intellettualmente effervescenti dell’Ottocento, ma non solo.

L’infanzia e la prima giovinezza sono connotate da una rigida e severa educazione condizionata dalla profonda religiosità della madre Maria Drago che sceglie per lui come istitutori due abati la cui fede è intrisa di giansenismo; da loro il giovane viene formato soprattutto in alcuni aspetti: il concetto di predestinazione della salvezza che avviene mediante la grazia, l’idea che l’essere umano non possa compiere da solo il bene e il profondo rigorismo morale. Mazzini decide poi di orientarsi verso studi filosofici e verso le arti figurative per poi ripiegare sugli studi giuridici, laureandosi infine nel 1827. Nel biennio 1820-21 prende parte, insieme ad altri compagni d’università, ai moti organizzati da società segrete e chiede per la prima volta la Costituzione: di questo episodio giovanile non fa nessuna menzione nelle sue Note biografiche del 1861 e Gaetano Salvemini, che di Mazzini è stato un attento studioso e conoscitore restituendoci di lui luci ed ombre, lo definisce “una ragazzata”. Nel 1826 Mazzini scrive Dell’amor patrio di Dante, convinto che ci sia uno stretto legame tra politica e letteratura e che una letteratura nuova possa essere propedeutica al rinnovamento politico e morale del Paese. Egli vede in Dante la testimonianza di questo connubio oltre a considerarlo il più alto esempio dell’amor patrio, inteso come un amore infinito, immune da ogni pregiudizio e dominato dal pensiero di pace e d’amore.

Mazzini elabora precocemente la sua idea di patria che costruisce quasi contestualmente alla definizione della propria identità di persona. Per comprenderne le caratteristiche, è necessaria subito una premessa: per lui i termini patria e umanità sono inscindibili, non ci si può definire patrioti o patriote se innanzitutto non si riconosce sé stessi e gli altri come esseri umani. Prima degli obblighi verso la propria patria, vi sono quelli verso l’umanità intesa nella sua globalità, ecco perché il patriottismo di Mazzini è lontano anni luce dal nazionalismo.
Per lui, la patria è la casa dove viviamo con persone a noi care perché le sentiamo simili e vicine; ma la nostra non è una casa isolata, bensì vi sono tante altre case di ugual pregio, siamo quindi chiamate e chiamati ad assolvere i nostri obblighi non solo all’interno della nostra casa, ma anche nei confronti delle altre.
Nel 1861 Mazzini scrive: «la libertà di un popolo non può vincere e durare se non nella fede che dichiara il diritto di tutti alla libertà» e continua sostenendo che un Paese non ha bisogno di un «meschino nazionalismo», ma di un genuino patriottismo che veda nella patria non un aggregato, ma un’associazione di liberi ed uguali uniti nella concordia verso un unico fine; laddove non vi è un diritto uniforme  non si può parlare di patria. Oltre all’uniformità del diritto e all’uguaglianza politica, il pensatore genovese associa all’idea di patria i diritti all’educazione e al lavoro e crede che una vera patria non possa avere stranieri entro i propri confini in quanto è convinto che sia necessario garantire a tutti e tutte, a ciascuno e a ciascuna la dignità che viene dai diritti di cittadinanza, l’autorispetto e il rispetto che sono dunque assicurati dall’educazione e dal lavoro: il voto, l’educazione e il lavoro sono le fondamenta della nostra casa che tutti e tutte devono contribuire ad edificare.

G. Isola, Giuseppe Mazzini giovane,
(Genova, 1930)

Dal 1827 al 1830 Mazzini milita nella Carboneria partecipando ad azioni in Liguria, ma anche in Toscana per la qual cosa viene arrestato e poi assolto per insufficienza di prove; ormai compromesso, sceglie l’esilio a Ginevra, per spostarsi quindi a Lione e a Marsiglia. Il periodo della detenzione e poi quello dell’esilio gli servono per comprendere i limiti della Carboneria e per maturarne il doloroso distacco da cui nasce però un grande progetto: la Giovine Italia, un’associazione di affiliati che continuano a celare, come nell’uso carbonaro, le propria identità facendo ricorso a nomi di battaglia ispirati a personaggi della storia italiana (Filippo Strozzi, ad esempio, è uno di quelli scelti da Mazzini), ma con un programma chiaro e condiviso la cui divulgazione avviene attraverso la rivista omonima.

Mazzini affida la rivista Giovine Italia, gli statuti, i soldi dei primi finanziatori e le tante lettere, scritte e ricevute, alla cura di Giuditta Bellerio, milanese di nascita, ma reggiana d’adozione, fervente patriota, che sarebbe diventata per un certo periodo la sua compagna di vita, condividendone gli ideali e dandogli probabilmente anche un figlio, sopravvissuto pochi anni, anche se non tutti gli studiosi sono concordi su questa paternità. Il programma della Giovine Italia sta in pochi, ma granitici aggettivi: una, indipendente, libera e repubblicana; questa l’Italia sognata, pensata e voluta da Mazzini e da quanti si votano alla causa repubblicana unitaria. Per realizzare il suo sogno però è convinto che sia necessaria l’autonomia nell’azione: non ci si può più appoggiare ad altre potenze per ottenere l’indipendenza, la si deve raggiungere attraverso un’insurrezione popolare, attraverso una guerra di bande che lui stesso teorizza facendo scuola per lungo tempo in Italia e altrove.

Tra teoria e pratica però il divario è enorme e Mazzini se ne accorge sul campo con i primi drammatici fallimenti come la spedizione armata in Savoia del febbraio 1834 a cui seguono nuovi tentativi, nuove teorizzazioni che lo portano ad elaborare un progetto ancora più ambizioso: la Giovine Europa, una federazione di associazioni nazionali, fra cui la Giovine Germania, la Giovine Polonia, promotrice dell’indipendenza e dell’emancipazione dei popoli dalla subordinazione ai regimi assoluti e alle potenze straniere.
Il bando di Mazzini dalla Svizzera pone fine anche a questo progetto e inizia per lui un periodo di grande sconforto e isolamento definito come tempesta del dubbio il cui superamento avviene attraverso due profonde convinzioni: che la vita sia una missione e che essa risponda alla legge del dovere. Questo percorso di rinascita lo conduce e ci conduce verso un altro elemento di grande attualità del pensiero mazziniano e cioè l’affermazione della priorità dei doveri sui diritti in un momento storico in cui, allora come oggi, le più influenti teorie liberali, o neoliberali, dicono esattamente il contrario.
Nei Doveri dell’Uomo Mazzini scrive infatti: «E voi, dopo aver insegnato per cinquant’anni all’individuo che la società è costituita per assicurargli l’esercizio dei suoi diritti, vorreste dimandargli di sagrificarli tutti alla società, di sottomettersi, occorrendo, a continue fatiche, alla prigione, all’esilio, per migliorarla? Dopo avergli predicato per tutte le vie che lo scopo della vita è il ben essere, vorrete ad un tratto ordinargli di perdere il ben essere e la vita stessa per liberare il proprio paese dallo straniero, o per procacciare condizioni migliori a una classe che non è la sua?». Per Mazzini, non è chi crede solo nei diritti che può dar vita ad una patria libera ed essere in grado di difenderla, ma chi vive secondo il dovere. Non vi è in questo l’implicita richiesta di una rinuncia ai propri diritti, ma la consapevolezza che essi discendano dai doveri, senza i quali non si può parlare di emancipazione nazionale, politica e sociale.

Giuseppe Mazzini

Nel 1837 Mazzini è a Londra, una delle sue tante patrie, fatica a mantenersi e per farlo si dedica all’attività giornalistica che gli consente di approfondire anche la sua cultura filosofica e letteraria; nel 1839 fonda quella che è stata definita la Seconda Giovine Italia, ancora più aperta e rivolta soprattutto alla classe operaia in un’ottica interclassista che rimarrà una costante del suo pensiero.

Ciò lo porterà ad un’aspra polemica con il padre del comunismo Karl Marx che poco tempo dopo avrebbe teorizzato la lotta di classe.
Gli anni Quaranta sono ricchi di tentativi insurrezionali che fanno capo al mazzinianesimo, ma non sempre sono appoggiati e sostenuti dallo stesso Mazzini, sta di fatto comunque che i ripetuti insuccessi, a volte drammatici come quello dei fratelli Bandiera braccati sia dalla polizia locale che da quella popolazione civile che li avrebbe dovuti sostenere, gettano discredito sul movimento a tal punto da metterne in discussione le effettive capacità politiche.
Nel 1848 Mazzini è a Parigi dove fonda l’Associazione Nazionale italiana nel cui programma inserisce al primo posto la guerra all’Austria e la proposta di un’assemblea costituente eletta a suffragio universale. Come abbiamo già visto, il voto è uno dei cardini del suo pensiero e va inteso nell’accezione più larga possibile tanto da non escluderne l’estensione alle donne. Attorno al mazzinianesimo, infatti, si raccolgono le patriote, gruppi ancora ristretti e spesso isolati di donne che sostengono la causa nazionale e allo stesso tempo si guadagnano spazi pubblici fino a quel momento negati.
Per Mazzini, vi è diversità tra uomo e donna, ma ciò non implica una subordinazione dell’una rispetto all’altro, anzi è convinto del loro essere complementari. Per lui le donne devono educarsi per essere in grado di trasmettere i valori civici ai figli e alle figlie; devono associarsi per rendere ancora più incisivo il loro impegno e, infine, già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, negli ambienti mazziniani si comincia a parlare di suffragio femminile inserendolo in un più ampio progetto di emancipazione delle donne che abbia come obiettivo non solo l’esercizio della cittadinanza attiva, ma sia la base di un rinnovamento sociale fondato sul riconoscimento dei diritti civili e politici alle donne. Non è un caso che il periodico che diventerà la voce del movimento emancipazionista femminile, La Donna, deve le sue origini a Gualberta Alaide Beccari, fervente mazziniana, la cui casa si apre alle donne che dibattono e scrivono sul suo giornale; fra di loro c’è anche Anna Maria Mozzoni.

Il fischio del vento della primavera del 1848 è un richiamo a cui Mazzini non può resistere tanto che ad aprile è a Milano, coinvolto nelle dispute tra moderati e repubblicani e sorprendentemente non si schiera nettamente a favore dell’opzione repubblicana, come tutti si sarebbero aspettati, ma considera prioritaria l’unità del fronte antiaustriaco e questo genera una frattura incolmabile con il movimento repubblicano federale guidato da Carlo Cattaneo.
Dopo il ritorno degli austriaci, Mazzini ripara prima a Lugano, poi a Marsiglia e, infine, passando per Livorno, giunge a Roma il 5 marzo 1849, chiamato da un dispaccio di Mameli che lo invita alla guida della neonata repubblica. Insieme a Carlo Armellini e Aurelio Saffi, Giuseppe Mazzini è nominato triumviro. È un’occasione straordinaria per sperimentare le proprie idee, le teorie, le proposte di rinnovamento; i problemi sono tanti: dalle frange estreme che vorrebbero provvedimenti radicali alle potenze della Santa Alleanza che a briglie sciolte accorrono per reprimere il nuovo progetto. Mazzini guida, coordina e procede con ordine, moralità e temperanza; la sua è una corsa contro un tempo che gli è avverso; c’è però la perseveranza che lo sostiene e gli permette di redigere, insieme ai membri di una commissione dell’Assemblea Costituente, una Costituzione che andrebbe letta insieme alla nostra Costituzione: la prima, approvata nel luglio 1849, quando ormai neppure l’astro nascente Giuseppe Garibaldi riesce più a fermare gli eserciti restauratori e la Repubblica Romana è ormai destinata a soccombere; la seconda, scritta in mezzo alla macerie di un Paese sconfitto che deve ricostruirsi fisicamente, moralmente, eticamente, politicamente e socialmente dopo una lunga dittatura ed una disastrosa guerra. «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1 della Costituzione italiana); «La sovranità è per diritto eterno nel popolo. Il popolo dello Stato Romano è costituito in repubblica democratica» (art. 1 della Costituzione della Repubblica Romana): leggere e confrontare questi due testi è, secondo me, di estrema importanza per la costruzione della nostra identità di cittadine e di cittadini e forse per convincersi che, anche se con un po’ di ritardo, pure i grandi progetti si possono realizzare.
Comunque, Mazzini persevera; anche quando ormai tutto è perduto, tenta di convincere l’assemblea ad uscire da Roma insieme all’esercito e a portare in altre province l’insurrezione, ma viene votata la resa.

I triumviri della Repubblica Romana
(Armellini, Mazzini e Saffi)

Gli anni Cinquanta sono per lui ancora ricchi di esperienze e nuovi tentativi insurrezionali che culminano con la tragica morte, affine a quella dei fratelli Bandiera, di Carlo Pisacane, nel 1857, durante la spedizione di Sapri. Dopo la vittoriosa impresa dei Mille, Mazzini rientra in Italia tentando una nuova insurrezione nelle regioni centrali che fallisce, allora lascia il Paese rifugiandosi a Lugano e poi a Londra dove critica la piemontizzazione operata indiscriminatamente dai nuovi organismi governativi e vi contrappone l’italianizzazione del Piemonte che avrebbe dovuto, secondo lui, approvare una nuova Costituzione e non estendere lo Statuto Albertino.
I contrasti aumentano anche con persone con cui aveva condiviso molto, fra di loro Garibaldi di cui critica la spedizione in Aspromonte e l’appoggio alla monarchia; la solitudine diventa una costante degli ultimi anni di vita trascorsi tra Lugano e Londra, con qualche breve soggiorno a Genova e a Milano.
Per lui, Roma continua ad essere ossessione, sogno sfiorato, ma mai completamente raggiunto, per questo tenta di organizzare l’ennesima insurrezione per liberarla, ma è l’ultimo atto che lo porta all’arresto, alla prigionia e ad un nuovo esilio ancora a Londra e poi a Lugano; il ritorno in Italia, a Pisa, gli è consentito solo per morirvi, il 10 marzo 1872.

Carbonaro, repubblicano impenitente, idealista, sognatore, triumviro, scrittore, filosofo politico, giornalista, uomo consumato dal dubbio e dal fallimento, solitario e incompreso, Mazzini è stato questo e molto altro. C’è chi ne ha distorto il pensiero servendosene come bandiera e chi ha tentato di restituirci ciò che di più alto ha teorizzato e desiderato: una repubblica democratica. Tutte e tutti riconoscono in lui l’essere stato un Padre della Patria che ha però vissuto la maggior parte della sua vita da esule.

Silvestro Lega, Giuseppe Mazzini morente, 1873

***

Articolo di Alice Vergnaghi

Docente di Lettere presso il Liceo Artistico Callisto Piazza di Lodi. Si occupata di storia di genere fin dagli studi universitari presso l’Università degli Studi di Pavia. Ha pubblicato il volume La condizione femminile e minorile nel Lodigiano durante il XX secolo e vari articoli su riviste specializzate.

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