Attiviste per l’8 marzo

In occasione della Giornata Internazionale della Donna, il settimanale di informazione The Economist ha condiviso sulla sua piattaforma online i saggi brevi di cinque attiviste provenienti da diverse zone del mondo.
La Premio Nobel per la pace e attivista per i diritti delle donne e delle bambine Malala Yousafzai è una ragazza pakistana sopravvissuta a un attentato dei talebani che disprezzavano il suo impegno in favore dell’emancipazione femminile.

Malala Yousafzai

Nel 2013, insieme al padre, ha fondato l’associazione Malala Fund che si occupa di garantire il diritto all’istruzione a bambine e ragazze in diversi Paesi del mondo.
Nel suo saggio ricorda che a quasi 130 milioni di ragazze non è permesso frequentare la scuola e la pandemia da Covid19 ha esacerbato le disuguaglianze di genere in materia di diritto allo studio. Due terzi dei Paesi in via di sviluppo ha tagliato i fondi per l’istruzione e sempre più studenti hanno dovuto abbandonare le aule per occuparsi della propria famiglia oppure perché cedute in sposa. Durante la pandemia molte discenti non hanno avuto accesso ai dispositivi per seguire le lezioni da casa. Nel solo Pakistan le ragazze hanno il 40% di possibilità in meno di avere uno smartphone rispetto ai compagni. L’incapacità di connettersi e di seguire le lezioni online impedisce a molte di loro di terminare gli studi.
Una ricerca condotta dal Malala Fund stima che le donne che completano gli studi primari guadagnano il 19% in più rispetto alle non istruite, mentre chi ha concluso il ciclo di istruzione secondaria arriva a guadagnare fino al 50% in più.

Freshta Karim è una giovane femminista afghana fuggita in Inghilterra ed è proprio dall’Università di Oxford che scrive il suo pezzo per l’Economist, sottolineando come quasi il 97% della popolazione afghana viva al di sotto della soglia di povertà. Le donne, a cui i talebani hanno vietato l’istruzione secondaria, sono le più colpite dall’indigenza, poiché molte di loro sono state obbligate anche a lasciare il lavoro. Ogni giorno le afghane protestano nelle strade, ma questi atti di coraggio possono costare loro la vita: alcune sono scomparse e altre sono state uccise.
Freshta elenca quattro punti fondamentali per assicurare un futuro all’Afghanistan e alla sua popolazione. Come prima azione, la comunità internazionale dovrebbe assicurarsi che i talebani mantengano la promessa di garantire il diritto allo studio delle donne, in quanto attualmente viene loro negata l’istruzione secondaria e l’iscrizione all’università.

Freshta Karim

In secondo luogo, l’economia locale ha bisogno di immediato sostentamento e liquidità. Diversi beni sono stati congelati, come sanzione contro i talebani, ma a farne le spese è la cittadinanza tutta. L’apertura di un dialogo tra i talebani e le Nazioni Unite è il terzo punto indicato nel saggio. Questo non significa riconoscere il regime dei talebani, ma l’Onu può sfruttare la sua influenza morale e finanziaria per facilitare la diplomazia e aprire un varco verso il rispetto dei diritti umani e la fine dei conflitti. Ultimo tassello, ma non meno importante, è la ricerca della giustizia. Dal 2001 più di 150mila afghane/i sono stati uccisi, tra questi molti civili. Rompere il ciclo della violenza condannando i colpevoli e ascoltando le voci delle vittime è un passo importante per affossare la cultura dell’impunità e costruire una società stabile e pacifica.

Vanessa Nakate è una ricercatrice ugandese il cui impegno è volto a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. Il suo scritto offre un importante spunto di riflessione: le inondazioni hanno causato la distruzione di diverse scuole nel suo Paese d’origine e si stima che entro il 2025 almeno 12,5 milioni di ragazze nel mondo non potranno completare gli studi a causa dei danni alle infrastrutture. In molti edifici i bagni sono diventati inagibili e manca del tutto l’acqua, quindi diverse studenti preferiscono rimanere a casa quando hanno le mestruazioni, per evitare ulteriori stigmatizzazioni. Nella sola Africa sub-sahariana 9 milioni di bambine tra i 6 e gli 11 anni non avranno mai l’opportunità di istruirsi. La stessa autrice si ritiene molto fortunata ad aver ricevuto un’istruzione secondaria e aver potuto accedere all’università.

Vanessa Nakate

La distruzione degli edifici scolastici, impedendo alle ragazze di frequentare le lezioni, le mette a rischio di essere date in sposa molto giovani e di subire pratiche come le mutilazioni genitali, assai diffuse in contesti di disagio e scarsa sensibilizzazione. L’istruzione è in grado invece di fornire alle future adulte l’opportunità di conoscere i loro diritti e renderle consapevoli del loro talento anche in campo scientifico. Se più donne avessero la facoltà di studiare ci sarebbero anche molte più ricercatrici in grado di offrire il loro importante contributo per risolvere l’enorme criticità rappresentata dal cambiamento climatico.

Tigindakay TK” Saccoh è originaria della Sierra Leone e ha conosciuto presto il significato del razzismo e della discriminazione di genere all’interno degli ambienti scolastici. Nel 2005 è fuggita dal suo Paese e si è stabilita a Seattle con la famiglia: ricorda assai bene come i suoi compagni di classe la portassero a sentirsi inferiore in quanto musulmana e di colore. Ogni commento a sfondo razzista le impediva di applicarsi negli studi, andando a scapito del suo rendimento scolastico. Quando si è trasferita a Philadelphia nel 2008 ha iniziato a frequentare una scuola in cui buona parte delle/gli studenti erano di colore. E lì ha conosciuto una nuova forma di discriminazione chiamata colourism che consiste nel favorire una persona con la pelle più chiara rispetto ad una con la pelle scura, pur all’interno della stessa etnia di appartenenza.

Tigindakay “TK” Saccoh

In seguito a questi episodi traumatici vissuti proprio all’interno della scuola, TK ha deciso di creare una piattaforma online chiamata The darkest hue, in cui chiunque può raccontare le esperienze avute con il razzismo, il bullismo e appunto il colourism. Lo scopo è quello di estirpare le discriminazioni che impediscono di realizzarsi ed esprimersi totalmente, in quanto la scuola deve fornire gli strumenti per liberarsi dai pregiudizi e non favorire un clima di tensione e disparità. La stessa autrice sottolinea l’importanza della formazione dei/lle docenti sul tema e ribadisce che se non avesse ricevuto il sostegno della sua insegnante non avrebbe mai avuto il coraggio di iscriversi alla Columbia University e aprire la sua piattaforma online.

Kiara Nirghin è un’inventrice sudafricana che ha sviluppato un nuovo polimero superassorbente, biodegradabile, economico e privo di sostanze chimiche tossiche, per supplire alla grave siccità che colpisce da anni il suo Paese. Il polimero è in grado di trattenere acqua per 300 volte il suo peso. Grazie alla sua creazione ha vinto la competizione Google Science Fair nel 2016.

Kiara Nirghin

L’articolo si focalizza sulla mancanza di ragazze che decidono di dedicarsi alle materie scientifiche e tecnologiche (Stem – Science, technology, engineering and mathematics), evidenziando come solo il 28% delle persone addette ai lavori in tali discipline sia di sesso femminile. Negli ultimi anni ha partecipato a campagne di sensibilizzazione riguardanti la tematica, ponendo l’accento sull’importanza di una più elevata partecipazione delle donne in questi campi. Una ricerca del 2017 ha evidenziato che le studenti iniziano a mostrare interesse per le materie Stem verso gli 11 anni ma, se non supportate, entro i 15 anni decidono di cambiare disciplina: questo accade in misura molto minore per i ragazzi, poiché vengono fin da subito stimolati e incitati a intraprendere carriere in ambito tecnico-scientifico. L’eccezione è rappresentata dal settore medico-sanitario: è infatti l’unico in cui le donne costituiscono il 70% della forza lavoro, ma le posizioni di comando sono comunque occupate da uomini nel 73% dei casi. Se più donne assumessero ruoli apicali, la differenza salariale tra i due sessi potrebbe finalmente appianarsi, andando a vantaggio del riconoscimento delle capacità di leadership femminili, e costituirebbe un enorme passo avanti verso l’uguaglianza retributiva.

In conclusione, l’istruzione è di certo l’arma più potente per cambiare il mondo e questo è ancora più vero quando si parla di emancipazione e libertà femminile. Il contributo che le giovani donne possono donare al pianeta non può più essere accantonato o ignorato.

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Articolo di Elisabetta Uboldi

Laureata in Ostetricia, con un master in Ostetricia Legale e Forense, vive in provincia di Como. Ha collaborato per quattro anni con il Soccorso Violenza Sessuale e Domestica della Clinica Mangiagalli di Milano. Ora è una libera professionista, lavora in ambulatorio e presta servizio a domicilio. Ama gli animali e il suo hobby preferito è la pasticceria.

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