Senza rossetto

Il primo comma dell’articolo 48 della Costituzione recita: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età». Un diritto acquisito nel 1945 e che le donne hanno potuto esercitare proprio in occasione del referendum del 2 giugno del 1946: sono passati 76 anni da quel giorno in cui l’Italia scelse di essere governata da uno Stato orientato ai principi di libertà, democrazia e coscienza civile e fu un traguardo importante, ma è bene ricordare che fu un doppio traguardo, perché oltre a comportare un cambiamento culturale, politico, storico e sociale, segnò l’ingresso ufficiale nella vita pubblica delle donne, fino ad allora istituzionalmente negato.

Il 2 giugno festeggiamo la Repubblica, ma noi donne festeggiamo anche la conquista del diritto di voto, il diritto di esprimere il nostro pensiero, le nostre scelte. Le nuove generazioni possono dare per scontata questa opportunità, ma è importante che le giovani donne del nostro Paese si ricordino di festeggiare questa giornata ricordando anche il momento in cui le loro nonne e le loro bisnonne hanno avuto per la prima volta lo stesso diritto degli uomini di scegliere liberamente. Il voto alle donne, o suffragio femminile, è una conquista recente della nostra storia. Il 30 gennaio del 1945, durante una riunione del Consiglio dei ministri, si discute del tema su proposta di Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi e il 1 febbraio 1945 viene emanato il decreto legislativo luogotenenziale n. 23 che conferisce il diritto di voto alle italiane con più di 21 anni. L’eleggibilità delle donne — quindi non solo la possibilità di andare a votare — viene stabilita, invece, con un decreto successivo, il numero 74 del 10 marzo del 1946, in occasione delle prime elezioni amministrative in 436 comuni: unico requisito, l’aver compiuto 21 anni (con la legge 8 marzo 1975, n. 39, il limite sarebbe poi sceso a 18). Le donne italiane votano quindi per la prima volta il 2 giugno del 1946, in occasione del referendum istituzionale Monarchia/Repubblica: certo, ai diritti politici conquistati nel 1946 non corrisponderà per lungo tempo la pienezza dei diritti civili, che saranno ottenuti molto lentamente e non ancora del tutto, ma quel 2 giugno di 76 anni fa iniziò finalmente il percorso delle donne italiane verso una piena cittadinanza e pari opportunità.

Alle urne senza rossetto
«Al seggio meglio andare senza rossetto alle labbra. Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto»,fu la raccomandazione apparsa sul Corriere della Sera in occasione del voto.
E Senza rossetto è anche un documentario, scritto dall’antropologa visuale Silvana Profeta e dall’archivista Emanuela Mazzina e diretto dalla stessa Profeta, che racconta l’immaginario femminile negli anni che precedono quella data storica, con particolare attenzione al ventennio fascista e alla Seconda guerra mondiale. «Io e la mia collega Emanuela – racconta la regista – lavoravamo già insieme alla documentazione del palinsesto di Rai Storia. Proprio da quel lavoro sui filmati d’epoca nacque nel 2016 l’idea di raccogliere le testimonianze delle donne che nel 1946 avevano votato per la prima volta». Un progetto che sottolinea l’importanza simbolica e politica che il voto, vissuto come concessione, conquista o semplice conseguenza dei tempi, come diritto o dovere, ebbe sulle storie di Elena, Marisa, delle gemelle Silvia e Monalda, di Luigina, di Angela e di altre ancora. Donne accomunate dal desiderio di lasciarsi alle spalle il ricordo della dittatura e del fascismo e desiderose di costruire e costruirsi un nuovo futuro, libero. Donne investite, all’improvviso, di una responsabilità sino ad allora estranea, quella del voto. Vite diverse, distanti per provenienza geografica e ideali, protagoniste del Novecento, raccontate in due cortometraggi e un documentario, che sono entrate a far parte di una banca dati (l’archivio delle registrazioni originali), con una scheda dedicata al singolo incontro, senza l’intervento delle intervistatrici e la possibilità di cercare i singoli interventi grazie alla ricerca per parole chiave, temi, luoghi. Arricchito di fonti storiche diverse – fotografie di famiglia, film di repertorio, manifesti, diari, lettere, registri di voto, il documentario è solo una parte del progetto cross-mediale ideato da Mazzina e Profeta e prodotto da Regesta in collaborazione con la Fondazione Aamod (Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico). Se il film è concluso, l’archivio digitale delle donne intervistate è sempre in costruzione.

Ma come è nata l’idea? «Avevamo la curiosità di ascoltare chi aveva vissuto quel giorno e di farci raccontare come lo ricordasse. Non volevamo conferme o smentite a interpretazioni già note sul voto, volevamo solo ascoltare la loro storia, sapere come la ricordavano e la ricostruivano oggi», raccontano Mazzina e Profeta. «L’inizio di un bel sodalizio e di una scommessa: il progetto si è orientato fin dalla nascita verso la creazione di un archivio delle fonti della memoria popolare e del discorso orale sulla storia del ‘900, da costruire e da far fruire in rete e, al tempo stesso, verso la narrazione filmica, anzi le narrazioni, delle testimonianze raccolte», aggiungono. Come sono state raccolte le prime testimonianze? «Abbiamo contattato le donne da intervistare grazie a conoscenti e amici che a loro volta conoscevano o erano parenti di donne ultranovantenni. Avevamo come obiettivo quello di raccogliere tanti punti di vista, cercavamo voci e volti di donne provenienti da classi sociali e comunità territoriali diverse, ma non siamo ricorse a una ricerca sistematica presso le sedi anagrafiche locali o presso le associazioni», spiegano. Donne di estrazione sociale elevata, donne di condizioni sociali più modeste, donne che in famiglia hanno o non hanno ricevuto una formazione politica: donne diverse, accomunate dall’aver votato insieme per la prima volta, e dal sentire di aver vissuto quegli anni con la forza della giovinezza che dava loro la capacità di affrontare le cose, anche tragiche, con spensieratezza.

«Le protagoniste della storia sono state contattate prevalentemente attraverso i familiari, che hanno accolto le nostre richieste di ascolto e spesso si sono mostrati sorpresi, ma compiaciuti, del ruolo che la loro madre o nonna o zia, rivestivano in quel momento» sottolineano Mazzina e Profeta. «Tutte le donne incontrate sono state disponibili e accoglienti, si è creato un rapporto di fiducia, uno scambio emotivo tra loro e noi pronte a raccogliere i loro ricordi che, se offuscati dal tempo, inducevano le anziane signore a esprimere rammarico e a scusarsi». A colpire è la grande diversità delle memorie personali raccolte, la possibilità di arricchire la rappresentazione ufficiale della storia anche con narrazioni individuali. Quando Senza Rossetto era ancora agli inizi e, come cortometraggio, fu proiettato al Festival internazionale di cinema e donne di Firenze, una giuria di studenti assegnò il premio Anna Magnani al documentario che «rendeva l’anima di una generazione così straordinaria nella sua energia e forza di sopravvivere alla guerra, fondare la Repubblica»; quella generazione, continuava la giuria, «seppe essere progressista, nonostante le differenti idee politiche». «Il progetto – concludono le autrici – è anche occasione d’incontro e di dialogo inter/intra generazionale, non mera trasmissione meccanica della memoria, ma processo dialettico su un terreno di condivisione dell’esperienza individuale e collettiva che fa della memoria e delle sue afasie, dell’oblio inteso non come perdita ma come forza viva e necessaria della memoria stessa (riadattata, rielaborata, risignificata) il luogo di conservazione della storia, di quegli elementi del passato capaci di restituire senso nel presente».

Il valore eterno della testimonianza
«Sino ad oggi abbiamo intervistato 31 donne – prosegue Silvana Profeta – ma il documentario è parte di un progetto più ampio perché stiamo continuando a raccogliere dichiarazioni per costruire una banca dati che conservi le testimonianze orali in versione integrale e le fonti materiali restituiteci dalle intervistate, come foto, lettere, filmati. Il documentario è insomma una delle possibilità narrative di un progetto più esteso». Le due autrici incontrano ogni donna una sola volta trascorrendo con questa più o meno tre ore. «Ogni volta arriviamo con una grandissima tensione perché non le conosciamo, ma devo dire che siamo sempre state accolte da grandi sorrisi e da un immenso desiderio di raccontare. Anzi, sono spesso meravigliate dal fatto che si trovi interessante la loro vita passata: non solo nessun estraneo/a si è mai interessata a loro, ma spesso nemmeno i/le figlie o i/le nipoti sanno nulla di questa storia e solo quando vengono a sapere che videocamere e operatori/trici arriveranno per intervistarle, cominciano a fare domande». Senza rossetto non si limita insomma a valorizzare fonti orali e memoria storica, ma intende riattivare anche un dialogo intergenerazionale. Il 2 giugno 1946 le donne italiane affluirono in massa alle urne: per loro era la fine della lunga e faticosa marcia verso i pieni diritti politici. «Quel giorno ci svegliammo prestissimo, ci preparammo e uscimmo. Si doveva stare lì alle 5 di mattina per mettersi in fila». Ad ascoltarle oggi, in tempi di disincanto e astensionismo, queste parole, fanno un certo effetto. Eppure, se ci si cala nei panni di una donna italiana in quel 2 giugno del 1946, diventano parole immediatamente comprensibili. Era da tanto tempo che le donne italiane aspettavano quel momento, e finalmente quel momento era arrivato. Le donne italiane avevano già votato per le amministrative qualche mese prima, ma quel 2 giugno erano chiamate a far parte pienamente della cittadinanza italiana: l’Italia voleva la loro opinione sulla nuova forma di Stato e voleva che scegliessero la loro rappresentanza politica.

C’era dunque molta emozione in quelle donne e c’era molta curiosità nel capire come avrebbero espresso il loro voto: la partecipazione a quella giornata elettorale fu enorme, anche grazie alle donne che accorsero in massa per esercitare, finalmente in pienezza, i propri pieni diritti politici. D’altronde, tenerle ancora fuori dalla gestione della cosa pubblica, sarebbe stata un’assurdità. Già da anni le donne, anche in Italia, avevano assunto un rilevante ruolo pubblico perché le tragiche circostanze di due guerre mondiali le avevano spinte fuori casa, nei campi e nelle fabbriche a mandare avanti l’economia mentre i loro uomini erano al fronte a fare la guerra ma, nonostante il tentativo del regime di ricacciarle tra le quattro mura domestiche, ormai i tempi erano cambiati. Durante la lotta di Liberazione e dopo la caduta del fascismo le donne ebbero un ruolo chiave nella Resistenza e nella quotidianità ed era una strada che si poteva percorrere ormai solo in avanti, non certo indietro, una strada lunga, che nei decenni che erano passati dall’Unità, era stata tutta in salita. Lo Statuto albertino del 1848 prevedeva delle eccezioni, previste per legge al diritto di voto e tra queste eccezioni, anche se non esplicite, c’era quella che negava il voto alle donne. Mentre il suffragio maschile si allargava lentamente ma inesorabilmente, non c’erano spiragli per il voto femminile.

Anche l’Italia ebbe le sue suffragette, a partire da Anna Maria Mozzoni, che nel 1877 presentò la prima di una lunga serie di petizioni al Governo per chiedere il suffragio femminile, e a battersi strenuamente per il voto alle donne agli inizi del ‘900 fu anche Maria Montessori. Nel 1912 in Italia si arriva al suffragio universale maschile, ma le donne? A casa ad occuparsi della famiglia, salvo poi chiedere loro di lavorare fuori casa mentre gli uomini erano al fronte. Nel frattempo, però, le donne si confrontavano, parlavano, e si organizzavano: dopo la tragedia di un’altra guerra e la caduta di un regime che aveva tentato di riportarle alla dimensione unica di angeli del focolare, le donne possono riscuotere il credito di tante battaglie e sacrifici. Il decreto che riconosce il voto alle donne italiane è emanato nel 1945, con l’Europa ancora infiammata dalla guerra e il nord Italia occupato, ma mancava ancora un tassello. Per la prima volta nella storia vengono elette due sindache (Ada Natali a Massa Fermana, prov. di Fermo e Ninetta Bartoli a Borutta, in prov. di Sassari), ma il primo vero giorno dell’entrata delle donne italiane nei pieni diritti politici fu il 2 giugno 1946, quando si recarono in massa alle urne ed elessero anche 21 di loro in seno all’Assemblea Costituente. «Obiettivo della nostra ricerca è quello di scoprire che valore ha avuto quel momento per donne di diversa estrazione sociale e geografica», continuano le autrici di Senza rossetto. «Considerando che il diritto di voto si acquisiva a partire dai 21 anni, abbiamo cominciato una ricerca tra le donne che avevano più di 91 anni. Ben presto però abbiamo dovuto realizzare che le nostre intervistate ricordavano poco di quel momento o della campagna pro-voto che lo precedette». Inizia così un lavoro di recupero dei ricordi basato sulla memoria pregressa e sulla rivalorizzazione del significato attribuito a quel 2 giugno del 1946. «Abbiamo iniziato a parlare della loro infanzia, chiedendogli quanti membri componessero la loro famiglia, quali fossero i loro giochi, o come vivevano la scuola. Riemergevano così i ricordi del fascismo che si era mescolato alle loro esistenze e nei confronti del quale queste donne avevano assunto posizioni differenti e certo i ricordi più nitidi erano soprattutto quelli legati alla guerra». Se le intervistate hanno espresso, infatti, posizioni diverse nei confronti del regime, della Monarchia o della Repubblica, tutte sono concordi nel descrivere la guerra come un’esperienza drammatica che le ha private di un pasto dignitoso, di una sorella, che le ha prematuramente strappate alla spensieratezza giovanile. «Nel raccontare la guerra ho voluto mescolare un po’ i tempi – prosegue la regista – la voce di Mussolini che pronuncia la dichiarazione di guerra si sovrappone alle riprese delle abitazioni delle intervistate per ricordare che la guerra può insinuarsi nella nostra vita in ogni momento e dobbiamo impegnarci per evitare che questa possibilità possa farsi realtà. Ho costruito il documentario in termini dialogici ma non ho mai pensato di dimenticare l’unicità di ciascuna esperienza. Ogni donna ha una storia, io le ho mescolate immaginando un dialogo fantastico che includesse me ed Emanuela, ma anche lo spettatore e la spettatrice».

Tra ricordi personali e grande storia
Il 2 giugno del 1946 le donne andarono quindi a votare Senza rossetto: il risultato delle urne era troppo importante e non ci si poteva permettere di fare annullare le schede. Le elettrici erano spaventate perché, nei tantissimi comizi che precedettero le elezioni, i monarchici spiegavano che votare per la Repubblica sarebbe stato come compiere un salto nel vuoto, ma le cose andarono come sappiamo e questo salto fu compiuto. Non appena i seggi aprirono, la gente si catapultò. Era una domenica e le donne a votare ci andarono con la gioia nel cuore, una doppia gioia: l’emozione della prima volta e quella di poter contare, non solo come mogli o madri, ma come cittadine finalmente in grado di incidere sul futuro del proprio Paese. Era un cambiamento di mentalità che avrebbe segnato la storia, e proprio per questo le donne parteciparono in grande numero superando il numero degli uomini aventi diritto. Quanto entusiasmo e quanta paura di sbagliare! Alcune donne avevano combattuto per la Resistenza ed erano già culturalmente pronte, ma non era così per tutte, molte casalinghe non avevano nemmeno i documenti di identità e furono i mariti a garantire per loro. Il risultato è atteso: l’Italia è una Repubblica, con circa 2 milioni di voti di vantaggio, ma quello era solo l’inizio di un processo di cambiamento che via via segnerà l’uguale diritto delle donne a essere protagoniste insieme agli uomini della vita del Paese e che dopo 76 anni rappresenta ancora oggi una questione viva. «E le italiane – come scrisse Tina Anselmi, ricordando quel 2 giugno – fin dalle prime elezioni parteciparono in numero maggiore degli uomini, spazzando via le tante paure di chi temeva che fosse rischioso dare a noi il diritto di voto perché non eravamo sufficientemente emancipate». Senza dubbio, fu davvero un giorno bellissimo. Buona festa della Repubblica e buon anniversario del diritto di voto a tutte le donne!

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Articolo di Serena Del Vecchio

Laureata in Giurisprudenza e specializzata nelle attività didattiche di sostegno a studenti con disabilità, è stata docente di discipline economiche e giuridiche e ora svolge con passione la professione di insegnante di sostegno. Ama cantare, leggere, camminare, pensare, suonare la chitarra e ha da poco intrapreso lo studio dell’arpa celtica, strumento che la aiuta a ritrovare pace e serenità interiore.

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