Uno degli aspetti emerso in seguito alla tragica e tristissima cronaca internazionale è la relazione, dal sapore un po’ ottocentesco, tra linguaggio e nazione. Non si tratta certo di una novità: la condivisione di stirpe, costumi e religione, con il collante di una lingua comune standardizzata che sia l’espressione e il fondamento dell’identità di una comunità, è un concetto ben presente e ricorrente nella storia. Legare lingua e patria comporta che quando, purtroppo, si arriva a una situazione in cui esistono oppressori e oppressi, la politica linguistica gioca un ruolo politico importante su entrambi i fronti. Gli oppressi si aggrappano alla difesa della lingua come forma di resistenza: esisterò fino a quando parlerò la mia lingua. Gli oppressori, al contrario, costringono gli oppressi ad adottare la loro lingua e vedono nell’espansione e imposizione linguistica un modo per rafforzare la conquista territoriale. Qualche anno fa conobbi un anziano signore croato che masticava un po’ di italiano. Come l’aveva appreso? Gli era stato imposto da bambino dall’oggi al domani, dai dominatori di turno. Nel corso degli anni conoscere le lingue e in particolare l’italiano, gli aveva giovato e l’aveva aiutato a creare una piccola impresa familiare che si occupava di turismo nel periodo post-jugoslavo, ma il racconto di come fu obbligato ad adottare la lingua dei conquistatori, in modo repentino e sotto minaccia, fece emergere tutta la violenza di quell’atto.
Rimanendo in quella parte d’Europa, non si può dimenticare che la disgregazione di una nazione come la Jugoslavia ha dato inizio a una serie di tensioni linguistiche che sono sfociate nella divisione del serbo-croato in serbo, croato, bosniaco e montenegrino, anche se, in realtà, queste lingue sono tra loro simili e mutuamente intelligibili (almeno per ora, poi in futuro si vedrà). Certo, ci sono alcune differenze grafiche (il croato è scritto in alfabeto latino, il serbo in cirillico), di struttura morfologica, di genere, di lessico, ma queste non sono tali da impedire la comprensione reciproca. Ma poi c’è la politica, la storia, il vissuto della gente e tutti questi fattori hanno un peso nell’identità linguistica e nella differenziazione nazionale.
Tornando al presente e all’invasione russa, una delle motivazioni fornite dalla propaganda putiniana a giustificazione dell’“operazione speciale” si fonda sulla difesa della russofonia in Ucraina (e contro la presunta russofobia) e questa si appoggia all’idea “una nazione, una patria, una lingua”: in altre parole, i russi in Russia, gli ucraini in Ucraina. La lingua – e con essa l’identità di questa comunità di parlanti – viene dunque percepita, a torto o a ragione (ma questo saranno probabilmente i tribunali e la storia a stabilirlo), come elemento distintivo da salvaguardare. Ma non solo. C’è anche chi, ritenendo che l’ucraino non esista davvero e che sia una variante del russo, adotta in modo ancora più drastico questo concetto ottocentesco fino a giustificare e ad auspicare un’annessione completa dell’Ucraina alla Russia.
A questo punto dovrebbero sorgere alcune domande: ucraino e russo sono lingue diverse? L’ucraino è una lingua o, come sostengono altri, un dialetto del russo? E ancora: cosa distingue una lingua ufficiale da un dialetto? Per rispondere a queste domande e avere un antidoto alla manipolazione, alla propaganda e alle bufale, ho ritenuto opportuno, in primo luogo per me stessa, approfondire la storia di queste lingue. Per far questo ho rispolverato un libro che ho sul mio scaffale, il profilo storico e tipologico delle lingue europee di Alberto Nocentini, ma mi sono anche avvalsa della testimonianza di qualche informatore e di alcuni scritti di Salvatore Del Gaudio (indicazioni in calce).
Dunque lasciamo per una volta la famiglia romanza ed entriamo in quella slava (per me piuttosto sconosciuta), che è una famiglia piuttosto affollata e ha diversi rami: quello meridionale (bulgaro, macedone, serbo, croato, sloveno), quello occidentale (ceco, slovacco, alto e basso sòrabo, polacco, casciubo) e quello orientale (bielorusso, ucraino, russo). Da un punto di vista tipologico russo e ucraino sono sì imparentati ma anche distinti: un po’ come lo sono il danese e lo svedese (famiglia germanica, ramo settentrionale) o il tedesco e il lussemburghese (stessa famiglia ma ramo occidentale). Secondo alcuni studi di mutua comprensione, i danesi possono capire mediamente circa il 45% dello svedese parlato e gli svedesi circa il 25% del danese parlato. Diverse le percentuali relative allo scritto: la quota di mutua comprensione sale al 70-90%.
E cosa pensa la gente ucraina delle differenze tra la propria lingua e il russo? Secondo una mia amica ucraina, russo e ucraino sono proprio varietà diverse. A conferma di ciò, lei sostiene che se un parlante ucraino che non ha mai imparato il russo si trovasse a discorrere con un parlante russo, i due non si capirebbero. Un po’ come svedesi e danesi, dunque. Qualche parola è comune, ma non di più. Inoltre, anche se entrambe le lingue utilizzano l’alfabeto cirillico, alcune lettere sono diverse: alcune sono presenti in ucraino e non in russo, e viceversa. Basti vedere a questo proposito come si scrive Kiev rispettivamente in ucraino (Київ) e in russo (Киев). A livello lessicale la differenza si fa più marcata e l’ucraino si avvicina, secondo i parlanti, maggiormente al bielorusso (e ciò non sorprende, trattandosi di un’altra lingua slava orientale) e anche al polacco. I polonismi sono in effetti molti, tanto da far dire agli ucraini stessi che il polacco è più vicino all’ucraino di quanto non lo sia il russo. La loro presenza è antica ed è da ricondurre all’influsso polacco dei sec. XVI e XVII.
Ecco, entra in gioco la storia: similitudini e diversità tra sistemi linguistici non bastano però a far sì che una varietà linguistica sia riconosciuta come una lingua e non un dialetto e vanno osservati anche gli accadimenti storici che ne hanno modellato la società, la cultura e la struttura politica. E sono proprio questi aspetti extralinguistici che vengono messi in evidenza da una frase resa celebre da Max Weinreich, studioso di yiddish: «Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina». E con i libri, aggiungerei: ma esiste una lingua letteraria ucraina?
Nel XIV secolo l’Ucraina cade sotto il dominio lituano e due secoli più tardi sotto quello polacco. Sebbene la linguistica sovietica attribuisca a questo periodo la separazione tra russo e ucraino, ci sono delle fonti del XIII secolo che indicano che a quell’epoca l’ucraino aveva assunto alcuni tratti peculiari che lo distinguevano dal russo. Con il poeta e scrittore Tarás Ševčenko (1814-1861) la lingua ucraina inizia ad avere anche una forma letteraria, ma a partire dalla metà dell’Ottocento la repressione zarista proibisce l’uso scritto della lingua e dunque la produzione letteraria viene bloccata e l’ucraino viene considerato un vernacolo chiamato ‘piccolo russo’. Mi ha raccontato un’amica ucraina che Ševčenko scriveva le sue poesie in piccoli libri e poi le nascondeva negli stivali. Verità o “leggenda metropolitana”? Una cosa è certa: scrivere in ucraino era un mestiere rischioso, un atto sovversivo.
Tuttavia a questo livello cronologico si dovrebbe parlare di dialetti ucraini piuttosto che di lingua ucraina ed è nel 1923 che l’Accademia delle Scienze di Kiev fissa definitivamente la lingua ucraina di koinè, vale a dire quella lingua comunemente accettata, con caratteri uniformi e adottata da una comunità nazionale e su un territorio piuttosto esteso. Il primo processo di standardizzazione della lingua, passo imprescindibile per il riconoscimento dello status di lingua, non avviene dunque nel periodo della Russia imperiale ma in quello dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche. Il prestigio della lingua russa va però, in questi anni, di pari passo con il centralismo sovietico e il suo insegnamento viene di fatto imposto ai non russofoni, andando a minare lo status dell’ucraino. Con la caduta dei regimi comunisti e l’indipendenza del 1991, nasce la necessità di rivalutare l’ucraino e di adottarlo come lingua ufficiale dello Stato. Dall’inizio degli anni Novanta l’ucraino ha dunque la marina, l’esercito, ma anche una letteratura: chi parla di dialetto nega le specificità linguistiche di una varietà linguistica, ma anche la realtà e la storia di una comunità linguistica che nel corso dei secoli è riuscita a mantenere una propria identità.
Per approfondire:
Salvatore Del Gaudio, L’ucraino tra le lingue slave, (2015).
Salvatore Del Gaudio, Per una descrizione linguistica dell’ucraino, (2016).
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Articolo di Lorenza Pescia De Lellis

Nata e cresciuta nel Canton ticino, sono stata assistente al Romanisches Seminar di Zurigo e ho collaborato all’edizione degli Scritti linguistici di Carlo Salvioni. Attualmente vivo negli Stati Uniti e sono visiting scholar all’Institute for Advanced Study di Princeton. Tra i miei interessi di ricerca ci sono il linguaggio di genere, il multilinguismo e la politica linguistica, l’analisi del discorso, la storia della linguistica.