Il 2022 è stato un anno difficile per gli educatori e le educatrici italiane. Abbiamo perso, in pochi mesi, una favolosa interprete ed uno straordinario innovatore del pensiero pedagogico nazionale ed europeo, quali Egle Becchi, scomparsa il 3 gennaio a Milano, e Andrea Canevaro, che ci ha lasciati il 26 maggio a Ravenna. Storica dell’infanzia lei, padre della didattica inclusiva lui, entrambi docenti universitari, entrambi capaci di illuminare le menti e i cuori di migliaia di studenti, rispettivamente negli atenei di Pavia e Bologna. A Becchi si deve la nascita di un paradigma epistemico oggi fondamentale sia nella ricerca che nella sperimentazione pedagogica quale quello di “cultura dell’infanzia”. Le sue lezioni, sempre affollate e interessanti, alle quali io ho avuto la fortuna di poter partecipare molti anni fa, avevano come valore aggiunto la capacità di allenare lo sguardo, rendere in grado chiunque l’ascoltasse di leggere situazioni comuni, familiari, scolastiche, quotidiane in chiave educativa.
Cosa c’è di pedagogicamente interessante in un parco pubblico semideserto in cui magari ti trovi a passare per caso? A un primo sguardo nulla. Ma poi, ascoltando le indicazioni di questa preparatissima docente, ti accorgevi che in realtà quello era un mondo pieno di segni, di informazioni della cultura dell’infanzia di quella società, di quel quartiere. E allora osservavi se i giochi fossero adatti a tutte le età o meno, se ci fossero giostre utilizzabili anche da genitori insieme a bambini e bambine, se il bisogno di garantire sicurezza prevalesse sulla possibilità di libera sperimentazione dell’ambiente da parte dei/lle più piccoli/e, se le panchine fossero solo a misura di adulto o anche dell’infanzia, se ci fossero tracce di giocattoli abbandonati nel prato, utili a comprendere il tipo di utenza abituale, se nel parco ci fossero o meno bagni e, in quel caso, se fossero dotati di fasciatoi, se il parco fosse curato e pulito, se ci fossero cartelli con regole particolari, magari anche in braille o con disegni comprensibili ai/lle piccoli/e ospiti, ecc. Insomma, un mondo da esplorare con l’occhio analitico del/la pedagogista esperto/a. Se l’esempio vi pare banale, provate a pensare se siete mai stati in un parco giochi di Quarto Oggiaro e in uno di qualsiasi cittadina olandese o tedesca. Le evidenze di una diversa cultura dell’infanzia, ma anche di una differente concezione dello spazio pubblico e del bene comune saranno disarmanti. Per me lo sono sempre state. Perdere una pedagogista come Egle Becchi significa, per noi che ne siamo state in qualche modo discepole ed eredi, portare avanti quello sguardo intelligente e attento, continuare a interrogarsi, fare in modo che il suo insegnamento continui a vivere e a crescere nel nostro modo di lavorare, di vivere, di sperimentare forme nuove di approccio ai contesti, che siano esplicitamente educativi o meno.
E, a proposito di eredità importanti, la notizia della scomparsa di Andrea Canevaro mi ha fatto sentire come Tommy, il secondo porcellino della celebre storiella, quello che costruisce la casetta di legno pensando che sia sicura, ma che poi si accorge che il lupo è in grado di abbatterla con un semplice soffio. Da chi andrò a rifugiarmi, ora che il mio fratello maggiore Jimmy, con la sua solida casa di mattoni, non c’è più? In tutti questi anni in cui mi sono occupata di inclusione scolastica, ogni singola volta che qualche dubbio mi assaliva o che non ero del tutto certa dei passi da fare, ho sempre avuto una scorta immensa di video su YouTube, articoli, interviste, libri di Canevaro da consultare. E vi ho sempre trovato, se non proprio la risposta definitiva, per lo meno qualche utile indicazione sulla direzione da prendere. Il Maestro dei maestri, così era chiamato. E lui, un maestro elementare lo è stato davvero all’inizio della sua carriera. Forse per questo non ha mai perso la capacità di parlare con semplicità, con il cuore oltre che con la testa, snocciolando una serie immensa di insegnamenti importantissimi con parole comprensibili, esempi intuitivi e del tutto evidenti. Spesso ho mostrato qualche suo intervento in conferenze o lezioni alle mie classi (santa Lim!) e le alunne generalmente commentavano il suo stile da papà affettuoso, da Babbo Natale (cui un pochino somigliava pure, per la verità), pieno di doni gratuiti per tutte noi.
Bellissime le lezioni sul corpo infantile e giovanile, ingabbiato per ore dietro al banco, un abominio contro il quale Canevaro si scagliava con decisione, accusando la scuola italiana di non considerare minimamente la persona, ma solo la mente di alunne, alunni e studenti, quindi una parte minima rispetto al tutto. Una tortura legalizzata per chi soffre di iperattività, ma anche per chi ha un sanissimo e naturale bisogno, in fase evolutiva, di sperimentare il corpo, la coordinazione, il movimento, la corsa. Durante la pandemia, Canevaro aveva scritto: «Dovremmo superare l’idea che il tempo-scuola equivalga al tempo-aula. E questo significa pensare la scuola anche come biblioteca, laboratori, mensa, palestra, e pure come spazi esterni». Ha sempre sostenuto con forza che un’altra didattica era possibile, che è sempre possibile. E la perseguiva. E ancora, puntando il dito sulla scuola figlia del solo cognitivismo, scriveva: «È necessario tener conto dell’immagine largamente diffusa di una scuola che deve procedere con una logica simultanea. Tutti imparerebbero nello stesso modo, con lo stesso ritmo. Non è così, come può osservare ciascuna persona che abbia a che fare con chi cresce». Semplice, evidente, eppure ancora lontanissimo dalla pratica della didattica italiana. Che ne sarà ora dell’inclusione? Siamo già abbastanza pronti/e a far da soli/e senza il Maestro a guidarci? L’abbiamo fatto davvero e bene il passaggio che dagli anni Settanta a oggi ci ha portato ad attraversare prima l’inserimento, poi l’integrazione e, in tempi più recenti, l’inclusione di alunne e alunni con disabilità? Ho dubbi ogni giorno. E oggi sento ancora più forte la responsabilità di portare avanti un modello, un pensiero “altro” sulla scuola di tutti e per tutte, ora che non c’è più Andrea Canevaro a far da faro in questa traballante navigazione verso una meta che a tratti mi appare ancora lontanissima.
In copertina: citazione di Andrea Canevaro.
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Articolo di Chiara Baldini

Classe 1978. Laureata in filosofia, specializzata in psicopedagogia, insegnante di sostegno. Consulente filosofica, da venti anni mi occupo di educazione.