La donna nel Settecento. Scienziate alla riscossa

Il Settecento è il secolo di Newton, delle scienze fisiche e matematiche, del progresso e della ricerca. Proliferano le istituzioni scientifiche: accademie, laboratori privati, gabinetti, nasce l’editoria scientifica.

Stampa XVII secolo, La scienza personificata da una donna illumina la Natura con la sua luce

Nel 1766 la chimica francese Geneviève Thiroux d’Arconville (1720-1805) pubblica il Saggio sulla storia della putrefazione, nel quale espone il risultato di oltre trecento esperimenti condotti nell’arco di dieci anni, durante i quali prova a scoprire come conservare la carne, le uova e altri alimenti, ritardandone la decomposizione.
Un’altra transalpina, la mineralogista Claudine Picardet (1735-1820), traduce in francese tre libri e migliaia di pagine di articoli scientifici scritti dai maggiori scienziati del tempo, svedesi, tedeschi, inglesi e italiani. Col suo minuzioso lavoro di traduttrice dà un prezioso e indispensabile contributo alla ricerca internazionale in chimica, mineralogia e astronomia.
Nel 1794 la scozzese Elizabeth Fulhame, la prima donna ricercatrice in proprio di chimica moderna, pubblica Un saggio sulla combustione in vista di una nuova arte del morire e della pittura, in cui le ipotesi flogistiche e antiflogistiche sono dimostrate errate. Nel trattato riporta i risultati di 127 esperimenti di catalisi, eseguiti con molteplici reazioni per la tintura dei tessuti.

La francese Marie Anne Pierrette Paulze (1758-1836) nel 1771, a soli tredici anni, sposa un chimico già famoso, Antoine Lavoisier. Grazie alla sua vivace intelligenza, in breve diviene sua assistente di laboratorio. Marie impara il latino e l’inglese per comprendere e tradurre i più importanti trattati di chimica dell’epoca. È credenza diffusa che i materiali sottoposti al calore della fiamma perdano qualcosa, un principio invisibile che viene chiamato “flogisto”, termine di origine greca che vuol dire “arso, bruciato”. Nel 1774 i Lavoisier scoprono che il flogisto non esiste e che, bruciando, i metalli e gli altri materiali si combinano con un elemento, responsabile della combustione, che è un gas presente nell’atmosfera, che essi nel 1777 chiamano ossigeno, dal greco oxys “acido”. Quindi, nella trasformazione della materia la massa non si perde ma si conserva. È la famosa legge della conservazione della massa secondo la quale in una reazione chimica «nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma».
Tale principio viene presto accolto dalla comunità scientifica internazionale. Marie dimostra che anche la respirazione è un processo di combustione: assunzione di ossigeno e liberazione di anidride carbonica. Disegna tredici incisioni su rame per illustrare il celebre Traité élémentaire de chimie del 1789, e le firma Paulze Lavoisier Sculpsit. Rimasta vedova quando suo marito, esattore delle imposte per conto del re, viene ghigliottinato nel 1794, sposa in seconde nozze un altro uomo di scienza, l’inglese Benjamin Thompson, conte di Rumford.
La scrittrice inglese Maria Edgeworth nel suo libro del 1795 Letters for Literary Ladies definisce la chimica «una scienza particolarmente adatta alle donne». La storia le dà ragione.

Comincia nel XVIII secolo anche la lista delle grandi fisiche. L’Italia vanta le prime lauree rosa della storia. La bolognese Laura Bassi (1711-1778) a ventun anni, il 12 maggio 1732, si laurea in filosofia a Bologna. All’epoca la filosofia comprende la fisica, detta “filosofia naturale”, ovvero scienza della natura. Come leggiamo nell’Enciclopedia Treccani «con il termine fisica gli antichi designavano la riflessione filosofica sui fenomeni della natura, e quindi il suo ambito era strettamente connesso al concetto di natura cui di volta in volta ci si riferiva». Nel 1776 Laura riceve la cattedra di fisica all’università di Bologna, e diventa la prima docente universitaria di scienze al mondo. Fa conoscere in Italia la legge della gravitazione universale esposta da Isaac Newton nel celeberrimo trattato del 1687 Philosophiae naturalis Principia Mathematica. A Bassi sono dedicati un asteroide e un cratere su Venere.

Ritratto di Laura Caterina Bassi, 1732
Laura Maria Caterina Bassi incoronata con foglie di alloro

Il 5 maggio 1751, a diciannove anni, sempre presso l’università di Bologna, si laurea in filosofia Cristina Roccati (1732-1797), terza donna in assoluto a conseguire un titolo accademico in Italia. Subito dopo la laurea, insegna Fisica presso l’Accademia dei Concordi di Rovigo fino al 1777 e nel 1754, ventiduenne, ne diventa anche presidente. Si conservano 51 delle sue lezioni.

Gabrielle Émilie du Châtelet, musa ispiratrice di Voltaire

La prima scienziata francese è la parigina Gabrielle Émilie Le Tonnelier de Breteuil (1706-1749). Matematica e fisica, diviene marchesa du Châtelet quando a diciannove anni sposa il trentenne marchese Florent Claude du Châtelet. Hanno tre figli, ma lei frivola e mondana com’è passa da un amante all’altro. L’amore più grande della sua vita è Voltaire. Pubblica nel 1737 gli Elementi della filosofia di Newton, tre anni dopo, nel 1740 le Istituzioni di fisica, un’esposizione delle teorie del filosofo Leibniz, corredata da una sezione in cui illustra gli sviluppi delle teorie newtoniane a opera degli scienziati francesi. Traduce, inoltre, dal latino in francese i Principia mathematica philosophiae naturalis di Newton. L’opera uscirà postuma nel 1759.


Émilie, musa di Voltaire, ripete e descrive un esperimento originariamente ideato dall’olandese Willem’s Gravesande: l’impatto degli oggetti in caduta libera è proporzionale non alla loro velocità, bensì alla velocità al quadrato. È uno dei contributi più profondi alla meccanica classica newtoniana. Nel 1746, lascia Voltaire e si innamora del poeta Jean-François Saint Lambert, che ha dieci anni meno di lei. Incinta a 43 anni, un’età avanzatissima per i suoi tempi, partorisce una bambina che muore subito dopo la nascita: lei la segue nella tomba sei giorni dopo.

Rappresentazione di Gabrielle Émilie du Châtelet nell’opera di Voltaire Elementi della filosofia di Newton, 1738
Maurice Quentin De La Tour,
Émilie du Châtelet

È italiana una delle più grandi matematiche di tutti i tempi, la milanese Maria Gaetana Agnesi (1718-1799), prima donna al mondo a scrivere un libro di matematica e, dall’alto della cattedra ottenuta all’ateneo di Bologna, la prima donna al mondo a insegnare matematica all’università. Bambina prodigio, Maria Gaetana apprende perfettamente l’italiano, il latino, il greco, l’ebraico, il francese, lo spagnolo e il tedesco, tanto da essere chiamata Oracolo Settilingue. Già a nove anni discute di filosofia e matematica con grandi studiosi, e risponde a ognuno nella sua lingua. Nel 1748, a trent’anni, pubblica le Instituzioni Analitiche ad uso della Gioventù Italiana in due volumi, dedicate all’imperatrice Maria Teresa d’Austria che le regala un anello di brillanti. Il papa Benedetto XIV le invia una corona di pietre preziose legate in oro. È un manuale d’introduzione all’algebra, alla geometria cartesiana e al calcolo infinitesimale, un testo completo e dettagliato, semplice e chiaro. Alla signora Agnesi arrivano plausi da tutta Europa, in primis dai dotti dell’Accademia Reale di Francia. Il libro è tradotto in francese nel 1775, e in inglese nel 1801. Un cratere di 42 km. di diametro su Venere porta il nome di Maria Gaetana Agnesi. L’Italia la ricorda con busti e strade. In Germania, Dorothea Christiane Erxleben (1715-1762) si laurea in medicina all’università di Halle il 12 giugno 1754.

Maria Gaetana Agnesi, Frontespizio di Instituzioni analitiche ad uso
della gioventù italiana
Anonimo, Ritratto di Maria Gaetana Agnesi
Cesare Bettini, Anna Morandi Manzolini

Nel Settecento, dopo una lunga parentesi, le donne si riaffacciano timidamente nel mondo della medicina, anche se, ancora ben lontane dalla parità di genere, restano a lungo una esigua minoranza. Nel secolo dei lumi, dei salotti e dell’amore per la scienza, una studiosa di Bologna, una delle città italiane più aperte alle donne, Anna Morandi Manzolini (1714-1774), moglie dell’insigne anatomista Giovanni Manzolini, scolpisce modelli anatomici in cera di varie parti del corpo, tra cui l’apparato genitale femminile e l’utero della donna incinta. L’insigne ceroplasta diventa famosa in tutta Europa. Nel 1755, alla morte del marito, viene nominata modellatrice in cera presso la cattedra di Anatomia dell’università.

Charles Jervas, Mary Wortley Montagu

Mary Wortley Montagu (1689-1762), una coraggiosa nobildonna inglese, conduce importanti esperimenti sul vaiolo, la malattia che miete decine di milioni di persone nel mondo. Vivendo a Costantinopoli come moglie di un diplomatico, apprende la tecnica usata dalle donne turche per immunizzarsi dal vaiolo attraverso l’inoculazione del pus vaioloso. Pur non essendo dottoressa, Wortley Montagu con la sua pratica immunologica dà un contributo notevolissimo per debellare uno dei più grandi flagelli dell’umanità. Con la diffusione del telescopio, cresce il numero di donne che, raccogliendo l’eredità delle studiose che le hanno precedute, osservano il cielo con occhio sempre più attento e scrupoloso.

Jean Louis Toquè, ritratto allegorico
di Urania

Un’illustre figlia della Germania, Maria Margaretha Kirch (1670-1720), è la prima al mondo a scoprire una cometa, il 21 aprile 1702, chiamata appunto “Cometa del 1702”. Alla morte del marito chiede di poter insegnare all’Accademia delle Scienze di Berlino, ma non le è permesso perché è una donna, per di più senza laurea.
La parigina Nicole-Reine Lepaute (1723-1788), espertissima di effemeridi e di calcoli astronomici, in collaborazione con i matematici Alexis Clairaut e Joseph Lalande, nel 1757 calcola con precisione il prossimo arrivo della cometa di Halley nel 1758, e successivamente, nel 1762, la durata e le dimensioni di un’eclissi solare anulare che si sarebbe verificata in Europa nel 1764. Stabilisce anche l’esatta posizione dei pianeti, del sole e della luna in ogni giorno dell’anno dal 1774 al 1792. Alla sua memoria sono dedicati un cratere lunare e l’asteroide 7720 Lepaute.
Nel 1789, l’anno della Rivoluzione, Louise du Pierry (1746-1807), autrice di importanti tabelle astronomiche, passa alla storia per essere la prima professoressa alla celeberrima Sorbona di Parigi, dove tiene il Cours d’astronomie ouvert pour les dames et mis à leur portée, il primo corso universitario di astronomia al mondo specificamente indirizzato alle donne. Il seminario accademico, superando qualsiasi aspettativa, riscuote un enorme successo e appassiona enormemente le giovani allieve.
L’astronoma britannica di origine tedesca Caroline Lucretia Herschel (1750-1848), che lavora con il fratello William, scopre sei comete tra il 1786 e il 1797.

Durante il Settecento, le donne hanno una grande importanza nell’arte botanica e nel giardinaggio. Nel 1762, Jean-Jacques Rousseau in Émile o De l’éducation consiglia alle donne di studiare botanica, l’unica disciplina scientifica che ritiene alla portata della mente femminile: «La ricerca di verità astratte e speculative, principi, assiomi nelle scienze, tutto ciò che tende a generalizzare le idee non è responsabilità di donne, i loro studi devono riguardare tutti quelli che hanno a che fare con la pratica; sta a loro applicare i principi che l’uomo ha trovato, e sta a loro fare le osservazioni che portano l’uomo alla fissazione dei principi».
Nel 1702, la francese Catherine Jérémie (1664-1744), la prima vera naturalista dell’era moderna, si stabilisce a Montréal, in Canada, con il marito Michel LePailleur dove prosegue gli studi e le ricerche in botanica. Particolarmente interessata alla flora locale e alle pratiche mediche delle popolazioni indigene, raccoglie campioni di piante medicinali mai viste prima, ne studia le proprietà e invia gli esemplari e i suoi dettagliati resoconti agli scienziati che lavorano al Jardin des Plantes di Parigi. Poiché è esperta anche di ostetricia, adopera i suoi preparati per curare i disturbi delle donne.
«Lampeggia il fiore color oro/Una bella fiamma elettrica»: due versi del poeta inglese Coleridge, ispirati a un fiore rosso-arancio lampeggiante, il Tropaeolum majus che conosciamo come nasturzio. Lo scopre in un tramonto d’estate del 1762, tranquillamente seduta nel giardino di famiglia, una ragazza di 19 anni, Elisabeth Christina von Linné, la figlia di Linneo (1743–1782), il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi ai quali dà un nome proprio secondo il genere e la specie, pressappoco come il nostro nome e cognome. Lo dice al padre, ma nemmeno lui sa spiegarsi quegli strani lampi. Impressionato dalla piccola grande scoperta, Goethe lo chiama fenomeno Elisabetta Linneo. Il mistero sarà risolto solo nel 1914 da un botanico tedesco: le minuscole scintille non sono una magia del fiore, dipendono semplicemente da come i nostri occhi percepiscono i colori dei fiori al crepuscolo.

Tra il 1737 e il 1739 la scozzese Elizabeth Blackwell (1707-1758) pubblica A Curious Herbal (Un curioso erbario), un libro ricchissimo di illustrazioni di piante strane e sconosciute. Oltre alle tavole, realizza anche le lastre da stampa in rame per le 500 immagini e il testo. È la prima donna a dare il nome a un genere di piante, Blackwellia, con sei sottospecie originarie di Réunion, Mauritius, Nepal, Madagascar, Perù e Cina.

Elisabeth Blackwell, Frontespizio di Un curioso Erbario
Illustrazione tratta da Herbarium Blackwellianum
Jeanne Baret vestita da marinaio, 1817

La curiosità è tutto per la francese Jeanne Baret (1740-1807), prima donna al mondo a circumnavigare il globo. Appassionata di botanica, si traveste da uomo e si fa chiamare Jean, Giovanni. Alla fine di dicembre del 1766, si imbarca insieme al naturalista Philibert Commerson sulla nave Étoile della spedizione guidata da Louis Antoine de Bougainville. Quando nel 1768 le navi arrivano a Rio de Janeiro, Jeanne raccoglie campioni di una pianta ornamentale destinata a grande avvenire in Europa. La chiamano Bougainvillea in onore del comandante. In Patagonia, sempre fianco a fianco di Commerson nell’aspro territorio, raccoglie piante, pietre e conchiglie. La principessa russa Caterina Dashkov, amica e confidente della zarina Caterina la Grande, nel 1783 è nominata Direttrice dell’Accademia Imperiale delle Scienze e delle Belle Lettere: è la prima volta che una donna viene chiamata a capo di un’istituzione scientifica di così alto livello.

Compaiono le prime agronome. Sono tutte e tre svedesi. Nel 1741 l’Accademia reale svedese delle Scienze pubblica tre libri di agraria di Charlotta Frölich (1698-1770), nei quali espone le sue esperienze dirette e nuove invenzioni. Nel 1748 Eva Ekeblad (1724-1786), che sposa la vocazione salottiera con la passione per la campagna, è la prima donna a essere ammessa alla prestigiosa Accademia in virtù della sua scoperta più famosa, del 1746, che consente di ricavare farina e alcol dalle patate. Grazie a lei, la patata, pianta introdotta in Svezia nel 1658 ma fino ad allora coltivata esclusivamente nelle serre dell’aristocrazia, entra nella dieta base del paese, sicché la Svezia riduce le importazioni di grano e scongiura la carestia.
Elsa Beata Bunge (1734-1819) nel 1806 scrive il libro Sulla natura dell’uva da vite per indicazione della natura stessa, corredato da tabelle.
All’altro capo dell’Oceano, in America, Martha Daniell Logan( 1704-1779) possiede una piantagione di specie endemiche della Carolina, e scambia piante e semi col botanico reale John Bartram. La Carolina del Sud cambia volto grazie alla coltivazione dell’indaco, introdotta da Eliza Lucas (1722-1793), una coltura così redditizia che in poco tempo arriva a coprire un terzo delle esportazioni della colonia prima della guerra d’indipendenza scoppiata nel 1775.
In Inghilterra, dove il culto delle piante è particolarmente sentito, alcune studiose prendono carta e penna e mettono mano a importanti saggi di divulgazione botanica. Lady Anne Monson (1726-1776), riverita come una “straordinaria signora botanica”, assiste James Lee nella traduzione in inglese della Philosophia Botanica di Linneo. Maria Elizabetha Jacson (1755–1829) è tra le prime donne dell’epoca moderna a scrivere libri di botanica, che riscuotono un grande favore.
Lydia Byam, affascinata dalle piante dei Caraibi e dalle loro proprietà terapeutiche, pubblica due opere, Una raccolta di esotici dell’isola di Antigua (1797) e Frutti delle Indie Occidentali (1800).
Appassionate giardiniere sono due tra le sovrane più grandi del Settecento, Caterina II di Russia, che passeggia tra le sue amate rose e cura con amore il suo parco di Tsarkoe Selo, la magnifica residenza reale di campagna a 26 chilometri da San Pietroburgo, e Maria Antonietta di Francia, che fa del Petit Trianon la sua prediletta oasi idilliaca e arcadica all’interno del parco di Versailles.
I giardini di Maria Antonietta sono passati alla storia per la loro indescrivibile bellezza. Nel 1779 scrive alla madre Maria Teresa: «Il verde è affascinante e la quiete è perfetta. Ho fatto piantare molte piante rare. Quelle che mi avete mandato sono fiorite al di là di ogni aspettativa. Ho dei crisantemi di una bellezza abbagliante e innumerevoli varietà di rose così belle che la gente viene a studiarle».

Giardino inglese del Petit Trianon

Come testimonia il botanico e naturalista Pierre-Joseph Buchoz nel libro illustrato Il giardino dell’Eden, tra il 1783 e il 1785 «è il giardino dell’Eden, il paradiso terrestre che rivive nel giardino della Regina». Tra i fiori preferiti della sovrana il Delphinium ajacis o Delphinette, dalle corolle blu, viola, azzurre, bianche, rosa, rosse e gialle, ma soprattutto le rose, che diventano nel Settecento le protagoniste assolute del floreale reame. Prima fra tutte le centifolia dai petali rosa brillante. E poi la indica e le rose antiche o galliche, varietà per le quali vanno pazze le migliori aristocratiche del tempo, la marchesa di Pompadour, la principessa di Lamballe, amica del cuore di Maria Antonietta, e più tardi Madame Royale, duchessa d’Angoulême.
Per rivaleggiare con la sorella, Maria Carolina d’Asburgo, moglie del re di Napoli Ferdinando IV, incarica il giardiniere tedesco John Andrea Graefer di creare un giardino che oscuri il Petit Trianon e faccia invidia ai più bei parchi reali d’Europa. Ci riesce con il Giardino inglese, uno spazio di 23 ettari realizzato all’interno del Parco della Reggia di Caserta dove laghetti con ninfee, ruscelli, tempietti e finte rovine creano un’atmosfera romantica e suggestiva. Tra le tante botaniche sorprese del giardino elencate da Graefer nel catalogo Synopsis plantarum regii viridarii Caserti, nel mostrare ai suoi illustri ospiti il primo esemplare di camelia venuto in Europa dal Giappone e, alzando gli occhi al cielo, un maestoso cedro del Libano, Maria Carolina può ben dire con orgoglio: «Questi sono i miei gioielli!»

In copertina: Ritratto di Monsieur et Madame Lavoisier di Jacques-Louis David (particolare), 1788, Metropolitan Museum of Art, New York.

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Articolo di Florindo Di Monaco

Florindo foto 200x200

Docente di Lettere nei licei, poeta, storico, conferenziere, incentra tutta la sua opera sulla Donna, esplorando l’universo femminile nei suoi molteplici aspetti con saggi e raccolte di poesie. Tra i suoi ultimi lavori, il libro La storia è donna e le collane audiovisive di Storia universale dell’arte al femminile e di Storia universale della musica al femminile.

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