LE ORE E I RITI CHE SI RIPETONO

Dolores Prato nacque a Roma nel 1892 e morì ad Anzio, in una casa di cura, nel 1983. Se come dice Adriana Cavarero, femminista del pensiero della differenza, non nasciamo quando veniamo al mondo, ma nasciamo quando sentiamo parlare di noi, nasciamo nella considerazione altrui – pensiero centrale di molte sue ricerche – allora possiamo dire che Dolores Prato nacque veramente all’età di 88 anni, quando uscì il suo tormentato libro dal titolo Giù la piazza non c’è nessuno per Einaudi nel 1980, anche se non nella sua edizione integrale.

Quando nel 1997 lo pubblicò Mondadori, nella sua versione completa, non era più in vita. Il riconoscimento altrui le arrivò in ritardo. La raffinata casa Editrice Quodlibet riconobbe il suo talento e pubblicò i suoi libri.

Nel 2018 Giù la piazza non c’è nessuno fu tradotto in francese con il titolo Bas la place y’a personne. «Un’esplorazione meticolosa di una terra del cuore e del sogno» scrisse Libération. Sempre Quodlibet ne ha poi curato una edizione in lingua olandese e sta lavorando alla pubblicazione del libro anche in lingua inglese. Dolores Prato non ebbe certamente una vita facile. Fu del resto segnata dal dolore della separazione già dalla nascita. Non riconosciuta dal padre, la madre la fece crescere da lontani cugini marchigiani.

Il libro Le ore, insieme a Giù la piazza non c’è nessuno (Quodlibet, 2009, nella sua versione integrale) e a Scottature (Quodlibet, 1996, prima edizione), completa l’autobiografia della scrittrice. Le ore fu pubblicato la prima volta tra il 1987 e il 1988 dalla casa Editrice Scheiwiller, in due volumi: Le Ore I e Le Ore II. Parole, riuniti nell’Edizione Adelphi del 1994, sempre a cura di Giorgio Zampa. Se Giù la piazza non c’è nessuno racconta l’infanzia della scrittrice nella piccola città marchigiana, nel maceratese, nel libro Le ore viene riportata la triste vita della giovane Dolores Prato. È infatti un’adolescente quando la zia l’accompagna presso l’Educandato salesiano delle visitandine, a Treia.
Uscirà alla fine degli studi superiori per trasferirsi a Roma e laurearsi alla facoltà di Magistero nel 1918. L’amore di zio Domè non era riuscito a sottrarla al collegio, sua sorella si era fatta in quattro per collocarla nel prestigioso collegio accanto alla noblesse oblige del luogo. È anche vero che zia Paolina non aveva un grande istinto materno e di nascosto leggeva Madame Bovary. «Il monastero era un mondo che confinava solo con l’aldilà» (p. 21).

Dolores ragazzina usa queste parole per dirci la lontananza dal mondo reale ma anche la lontananza dagli affetti. Prima di uscire di casa Dolores aveva spezzato in due il pettine con il quale la zia tutti i giorni cercava di tenere a bada i suoi ricci: una ribellione che purtroppo non aveva dato nessun risultato. Nel collegio si sentì reclusa e cominciarono i guai, il dolore sempre uguale di chi è stato abbandonato per la seconda volta.
La particolarità del libro è la ricerca minuziosa di entrare negli anfratti, di scavare in profondità nella vita delle persone e delle cose. La descrizione dei luoghi chiusi tra mura reali e simboliche è un ricamo minuzioso di riti che si ripetono: i lunghi corridoi, le piante dell’orto e poi quel Tintoretto che lei conosce bene! Sembra subito che le cose siano più importanti, più vicine al suo cuore delle persone. Con le giovani e ricche compagne non stabilisce relazioni di amicizia, è troppo il dolore per essere rinchiusa in quel luogo, non si arriva mai alla condivisione e poi le sue compagne hanno una famiglia da cui poter tornare. I giorni nel collegio passano lenti e scadenzati da relazioni poco significative. Dolores ha il numero sette su tutte le sue cose. Quel numero le ricorda zio Domè, pittore oltre che prete. La scrittrice racconta la vita, la sua e quella del monastero, per fortuna alterna parole che sanno di dolore a parole spiritose che aiutano ad andare avanti nella lettura del libro. «Il nuovo ordine della Visitazione apriva le porte a tutte le età e a tutte le debolezze fisiche. Per servire Dio non era necessario come nei concorsi statali un limite d’età e avere le physique du rôle» (p. 81).
Nella seconda parte del libro la minuziosa ricerca descrittiva che caratterizza la scrittrice, diventa di natura linguistica. Quali parole usare per dire la vita, se le parole sono solo parole? «Cratilo, il filosofo maestro di Platone, diceva che nel nome sta il modello della cosa, nel contesto sta la rosa e tutto il Nilo nella parola Nilo» (p. 330). E allora ci sono parole che parlano di noi, della nostra appartenenza familiare e sociale come il dialetto che in collegio non si poteva usare. Dolores ragazzina, con tanto tempo inutile da riempire, si diverte a mettere in ordine le parole nei contenitori appropriati, parole che come dice quasi in poesia, mangiano la vita o sono parole stagionali o perdenti. In questi elenchi di parole che hanno un’anima, di cui occorre appropriarsi per essere accettate, c’è tutta la fatica della vita per crescere e diventare adulte, ma anche una ironia sana e intelligente. In poche pagine si condensano pensieri e riflessioni che come semi piantati diventeranno alberi.
C’è una consapevole adesione alla vita, un dolore superato che guarda al futuro. Forse l’amore più grande e duraturo le è arrivato proprio dalla città di Treia, che la vide piccola e indifesa ma che le fu sempre grata per la risonanza internazionale che le diede la scrittrice di Giù la piazza non c’è nessuno.
Il Centro Studi “Dolores Prato” ha infatti reso omaggio alla cittadina D.P. a 130 anni dalla nascita con un premio letterario e un convegno dal titolo Dolores Prato, la memoria è domani proprio nel mese di aprile di quest’anno. Il sindaco Franco Capponi ha sottolineato il ruolo importante della cultura nello sviluppo del territorio e della comunità locale. Se vi capita di passare da quelle parti sarete stupiti dalla bellezza della natura e il Monastero è visitabile. Dal 1987 il corpo di Dolores Prato riposa nel cimitero comunale di Treia.

In copertina: monastero di Treia.

***

Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...