La Dea madre e altri tesori di Pèrfugas e dintorni

Nel nord della Sardegna, in provincia di Sassari, si trova un’area denominata Anglona, comprendente anche la bassa valle del fiume Coghinas, dove è possibile fare scoperte straordinarie e uniche, sia in ambito naturalistico sia in ambito artistico e archeologico. Questo percorso vede al centro Pèrfugas che offre diversi motivi di interesse, a cominciare da un piccolo prezioso manufatto: l’unica statuetta ritrovata nell’isola raffigurante la Dea madre con un figlio o una figlia, esposta al posto d’onore nel Museo Archeologico e Paleobotanico (Map). L’immagine della Dea madre, presente in tutto il bacino del Mediterraneo e oltre, ci riporta ad antichi culti e alla venerazione per la figura femminile, intesa come riproduttrice della specie, con i caratteri sessuali più o meno evidenti. La statuetta, appartenente al periodo detto “Bonu Ighinu”(IV millennio a. C.), fu rinvenuta nel 1975 nelle campagne casualmente da un contadino che stava arando in località Sos Baddulesos. La sua originalità sta nell’essere davvero “madre” perché, nonostante la manomissione, è evidente che le braccia cingono una creatura neonata; la donna, alta solo 11 cm., è tozza, abbozzata a grandi linee, con un volto squadrato, ma in testa ha una sorta di copricapo cilindrico da cui, dietro, scendono lunghi riccioli di capelli, una finezza da parte di chi la scolpì in epoca remota.

Dea Madre Festival

Il 16 e 17 luglio scorsi si è tenuto a Pèrfugas un festival all’insegna di archeologia, arte, natura, eno-gastronomia, intitolato proprio alla Dea madre e promosso dal comune, dal Map, dalla proloco e dalle associazioni culturali Sa Rundine, Ethnos, Pozzo sacro; si tratta dell’edizione “zero” nata con l’intento di promuovere e valorizzare il territorio e le sue rilevanze. Si sono svolti trekking urbani, laboratori per ragazzi/e, visite guidate, presentazione di libri, degustazioni di vini e prodotti locali. Le serate si sono concluse con la musica del duo composto dalle voci e dalle chitarre di Gavino Loche e Serenella Lunesu e con la cantadora Claudia Aru, poliedrica artista sarda. Il Map ospita altri resti di pregio, in particolare alcuni frammenti di dimensioni varie provenienti dalle “foreste pietrificate” dei dintorni, mentre i più grandi sono visibili nel cortile esterno; va ricordato che questi alberi, ad esempio quelli di Martis, risalgono a 20 milioni di anni fa e hanno subìto un processo di mineralizzazione, per cui oggi si vedono in vaste aree campestri curiose strutture forate al centro che potrebbero sembrare pietre lavorate, e invece sono opera del passaggio dei millenni.

Martis, foresta pietrificata. Foto Laura Candiani

A Pèrfugas, nella cattedrale dedicata a Santa Maria degli Angeli, viene conservato un vero capolavoro artistico: il Retablo di San Giorgio, un tempo situato nella omonima chiesa campestre. Un’opera che lascia senza fiato per la sua ardita composizione, per le dimensioni, per l’abilità creativa, per la ricchezza dei colori, dell’oro, delle rifiniture, “gemella” solo con quella di Ardara, anche se la tradizione, di evidente origine spagnola, è diffusa un po’ in tutta la Sardegna. Ma anche qui siamo di fronte ad un unicum, non solo per la grandezza (m. 6,60 x 8,40) e varietà delle 54 tavole in legno, ma per l’epoca che precede di quasi due secoli le simili e celebri opere visibili in Spagna; chi abbia realizzato questa meraviglia non si sa, tuttavia gli studi affermano che siano state più maestranze impegnate, e in un arco di tempo assai lungo. Ci saranno voluti falegnami, scalpellini, orafi, fabbri, scultori, pittori, tutti uomini naturalmente perché siamo alla fine del XVI secolo; evidente la funzione didascalica, in un’epoca di analfabetismo diffuso, grazie all’intervento di un generoso committente, probabilmente raffigurato nel margine destro, di fianco ai numerosi santi, agli evangelisti, ai riquadri riguardanti Cristo e la Vergine, agli episodi della vita di san Giorgio. Al centro una nicchia ospita una scultura più tarda di san Giorgio a cavallo, ma una certa sproporzione e lo sfondo azzurro hanno fatto pensare che vi fosse collocata in origine una statua della Madonna. Particolarmente commovente e rara la raffigurazione soprastante con la Sacra Famiglia insieme a sant’Anna, madre di Maria e nonna di Gesù, in una posa serena e affettuosa.

Dettaglio Sacra Famiglia con Sant’Anna. Foto Laura Candiani

In un campo sul retro della cattedrale si trova una chiesetta restaurata e di per sé non molto interessante, dedicata a Santa Maria della Concezione, ma preceduta da un arco che non ha subìto rimaneggiamenti; si tratta anche qui di qualcosa di unico: la lavorazione a scacchi rosa e rossi, di calcare e trachite, di epoca romanica, non si vede altrove, mentre prevalgono sulle facciate delle chiese sarde le strisce orizzontali in bicromia bianco-nero o bianco-verde. Molto nota ad esempio è Santissima Trinità di Saccargia, ma non è certo la sola: sempre nell’Anglona si ammira a Bulzi la bellissima chiesa di San Pietro delle immagini (o del Crocifisso), arricchita da agili archetti su tre ordini. 

Perfugas, Arco a scacchi. Foto di Laura Candiani
Bulzi, Chiesa di S. Pietro delle immagini. Foto Laura Candiani

Non si può lasciare Pèrfugas senza soffermarsi su un sito archeologico, non raro in Sardegna: stiamo parlando di un pozzo sacro, databile fra fine del Bronzo medio ed età del Ferro, pregevole per la raffinata architettura. Intorno resti di altre costruzioni, fra cui muretti, abitazioni, canali, segno di una presenza umana stabile e di una vita comunitaria allargata a più gruppi, vista la funzione stessa di questi pozzi: non solo acqua da bere, per l’allevamento, per l’agricoltura, ma anche luogo di ritrovo, di discussione, di preghiera collettiva, di riti (come testimonia una pietra centrale con il foro per far defluire il sangue degli animali sacrificati).

Uscendo dal paese e andando verso la costa, su un colle compare una torre solitaria: si tratta di quanto rimane del Castello della famiglia genovese dei Doria, realizzato intorno al XII secolo, come punto strategico per il controllo del territorio. A questo luogo un po’ magico, ammantato di leggende, si legano due figure di donna onnipresenti nell’isola: da un lato Grazia Deledda che lo ha inserito in alcune sue narrazioni, dall’altro la giudicessa Eleonora d’Arborea. La sua famiglia ne era entrata in possesso nel 1361, come di tutta l’area, ma pochi anni più tardi, per motivi politici, le due nobili casate cercarono la pace e si imparentarono proprio con le nozze fra Eleonora e Brancaleone Doria; fino ai primi del Quattrocento la giudicessa ne fu dunque la signora. Ci troviamo nel territorio del piccolo comune di Santa Maria Coghinas che deve il nome al fiume; di lì a poco, infatti, in prossimità di Valledoria il corso si allarga e forma una foce, che però non finisce in mare. Questa zona umida è un paradiso per il bird-watching e si può percorrere con barche, canoe e lenti battelli che risalgono per 7 km. il fiume, alla scoperta di angoli incontaminati e protetti, dove ammirare nei canneti e a pelo d’acqua molte specie di uccelli.

La lunga spiaggia di Badesi e Valledoria in estate è un richiamo irresistibile, ma, dopo un bagno ristoratore, c’è sempre tempo per altre soste alla scoperta di ulteriori tesori dell’Anglona. Se si procede verso ovest si trova su una vasta piana un edificio imponente, davvero magnifico: la chiesa di Nostra Signora di Tergu, di epoca altomedievale, in stile romanico-pisano, con all’interno un pregevole altare ligneo e una Madonna in alabastro. Naturalmente non mancano nei pressi tombe dei giganti, betili [pietre cilindriche o coniche, dalla punta ogivale, infisse nel terreno], ipogei preistorici, strutture megalitiche, fra cui la muraglia in blocchi di trachite, sul Monte Elias, di cui si conservano ben 120 metri di lunghezza, con un’altezza fino a 5 metri. In uno dei numerosi nuraghi della zona [quelli censiti sono in totale circa 8000] nel comune di Èrula è stata ritrovata la splendida navicella votiva in bronzo, con una stilizzata testa di cervo, fra le più grandi e meglio conservate dell’isola, un vero gioiello assai conosciuto e riprodotto in tanti libri di storia, in mostra al Museo Archeologico di Cagliari.

Tergu, chiesa di Nostra Signora. Foto di Laura Candiani

Sèdini rappresenta un caso particolare perché, nel centro del paese, ha una “rocca” realizzata in un unico enorme masso calcareo, che nei secoli ha avuto diversi usi e trasformazioni, anche carcere durante l’inquisizione spagnola, che qui processò numerose donne accusate di stregoneria. Oggi è un Museo delle Tradizioni etnografiche, ma si tratta in realtà di una vasta domus de janas, ovvero casa delle fate (o delle streghe) scavata nel Neolitico recente per farne una necropoli, utilizzata poi come abitazione fino a pochi anni fa, come si può vedere dai diversi ambienti.

Bastano pochi chilometri fra luoghi disabitati, boschi con alberi d’alto fusto e macchia mediterranea, campi coltivati con somma cura, ripide pareti di calcare e di trachite, massi modellati dal vento e dalla pioggia per attraversare atmosfere diverse e contrastanti, in cui la natura è ancora la padrona assoluta; alle opere artistiche create dagli esseri umani nel susseguirsi dei millenni si affiancano dunque cascatelle, grotte, corsi d’acqua, sorgenti termali che offrono ristoro e opportunità affascinanti a visitatori e visitatrici in cerca di silenzio e di riposo assoluto. Anche questa è la Sardegna.

In copertina: Perfugas, Dea madre. Foto di Laura Candiani.

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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.

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