«In Africa avevo una fattoria ai piedi degli altipiani del Ngong. A un centocinquanta chilometri più a nord su quegli altipiani passava l’equatore; eravamo a milleottocento metri sul livello del mare. Di giorno si sentiva di essere in alto, vicino al sole, ma i mattini, come la sera, erano limpidi e calmi, e di notte faceva freddo».
Le riconoscete? Sono le prime parole di un libro indimenticabile: La mia Africa di Karen Blixen. Da questo incipit, che mi rapì all’età di 18 anni, si dipana il racconto denso ed emozionante degli anni vissuti dalla baronessa Blixen in Kenya, a gestire una fattoria alle pendici delle colline Ngong, nei pressi di Nairobi. Ci si perde in estatica meraviglia nelle pagine di questo romanzo autobiografico, in cui la scrittrice e protagonista racconta la sua Africa e inevitabilmente te ne fa innamorare, come è accaduto a me (un viaggio in Africa resta uno dei miei desideri più profondi).
Moriva sessant’anni fa Karen Christentze Dinesen, baronessa von Blixen-Finecke. La sua vita è nota: nata nel 1885 a Rungsted, in Danimarca, in una famiglia benestante, aveva vissuto da sempre quel senso di soffocamento che devono aver conosciuto quasi tutte le donne della sua epoca, specie di buona famiglia. Una sensazione dovuta alla claustrofobica educazione impartitale dalla madre, che — dopo il tragico suicidio del marito — dovette crescere lei, le due sorelle e i due fratelli: un’educazione basata su una disciplina morale priva «del gusto di divertirsi — o, per dirla con simboli, di godere il vino della vita — e tendeva a credere che la felicità umana consistesse in una dieta di pane e latte», influenzata dall’appartenenza alla Congregazione religiosa unitaria alla quale Karen ben presto si ribellò (da Karen Blixen, Lettere dall’Africa, Milano, Adelphi, 1987).
Fu anche per sfuggire da questa realtà che Karen accettò di fidanzarsi con suo cugino, il barone svedese Bror von Blixen-Finecke, e con lui partire nel 1913 alla volta dell’Africa, dove — grazie all’aiuto della stessa madre — aveva acquistato una fattoria con annessa piantagione di caffè «ai piedi degli altipiani del Ngong», nei pressi di Nairobi. In Africa si sposarono in assenza di sentimenti di fondo che li legassero: del resto, quante donne all’epoca avevano pieno diritto a provarne se non fuori dal matrimonio contrattato dalle famiglie? Non solo: il consorte si rivelò subitaneamente fedifrago e trasmise a Karen la sifilide, compromettendo pesantemente e irrimediabilmente la sua salute. Conobbe l’amore con Denis Finch-Hatton, conosciuto in Africa, appassionato di safari, di caccia e di letteratura, e quando questi morì tragicamente in un incidente aereo nel 1931, constatato anche il fallimento degli affari della piantagione, Karen lasciò l’Africa per ritornare nel suo paese natale. Gli anni dal 1931 fino alla sua dipartita furono dedicati alla scrittura e alla collaborazione con la rivista Heretica e con il giornale di sinistra Politiken.
Oltre al celeberrimo La mia Africa, da cui nel 1985 è stato tratto un bellissimo film, diretto da Sydney Pollack con Meryl Streep e Robert Redford nei panni di Karen e Finch, numerose sono le opere della scrittrice danese che meritano attenzione e per le quali fu più volte candidata al Premio Nobel per la Letteratura. Avrebbe dovuto vincerlo, lo disse nientemeno che lo scrittore di Addio alle armi: «Sul risvolto di The Sun Also Rises di Ernest Hemingway [Blixen] ha scritto un elenco di pietanze: frittata, risotto, pasta… E non era certo per disprezzo. Lo scrittore americano era stato compagno di safari di suo marito e nel 1954, quando gli fu assegnato il premio Nobel, disse pubblicamente che avrebbe dovuto vincerlo lei» (da Sandra Petrignani, La scrittrice abita qui, Neri Pozza, Vicenza 2002).
In ottica di genere sono interessanti le opere Dagherrotipi e Il matrimonio moderno, entrambi editi da Adelphi. Il primo volume è una raccolta della trascrizione di alcuni interventi radiofonici di Blixen trasmessi su Danmarks Radio l’1 e il 7 gennaio 1951. Il titolo viene dall’idea della scrittrice di esporre le attitudini delle generazioni precedenti come fossero fotografie del passato.
Nel primo dagherrotipo, in particolare, Blixen suddivide le donne del passato in tre categorie, ovvero l’angelo custode, la casalinga e la baiadera, nel senso di prostituta, in base al loro ruolo definito in funzione del sesso maschile. Esiste, poi, la categoria delle donne strega, che vivono la loro vita indipendentemente dalla relazione con gli uomini, autodeterminandosi.
Nel pamphlet Il matrimonio moderno l’autrice espone, invece, le sue idee sull’istituzione del matrimonio, tanto emancipate per l’epoca: è il 1924, ma viene dato alle stampe solo nel 1977! Delusa dal barone suo consorte e coinvolta nella relazione passionale con Finch, Karen è spietatamente sarcastica e lucidamente moderna. La sua condanna alla società è netta: il matrimonio è stato assoggettato a una serie di regole e leggi sociali e religiose diventando un mero rapporto giuridico privato della sua natura di relazione d’amore.
Si legge in alcuni interessanti passaggi: «Quando un’istituzione viene chiamata santa di per sé, senza il sostegno di un’idea o di una qualsiasi motivazione, allora è veramente giunta l’ora di aprire gli occhi e di esprimere un giudizio obiettivo»; «in un rapporto d’amore la persona amata è tutto, è il principio e la fine […] nel matrimonio invece le due personalità si incontrano in un’idea, e nessuna delle due rappresenta per l’altra il più alto significato dell’esistenza, mentre questo, per entrambe è rappresentato dal matrimonio»; «Succede spesso che di una istituzione venerabile resti in vita soltanto il nome, perché per molte persone la parola ha più sostanza dell’idea»; «Ma è ipocrita, superficiale e immorale, è un atteggiamento del tutto sbagliato e assurdo quello di cercar di rendere ideale un rapporto d’amore per mezzo di leggi e di forme derivate da ideali che ora non sono più tali, e che non sono più neppure vivi. Sono come il sale che ha perso il suo sapore, e anche se l’ortodossia lo usa in buona fede per salare, non può scongiurare il marciume».

Del resto, lei stessa aveva sperimentato quanto deleterio potesse essere contrarre matrimonio per convenzione: aveva sposato Bror, ma in realtà era innamorata (non corrisposta) del fratello gemello Hans. Solo in Africa ritrova la possibilità di vivere l’amore spontaneamente, senza costrizioni o diktat sociali. E sono proprio gli anni trascorsi in Africa che rappresentano per Blixen il cuore della sua esperienza di donna, scrittrice, amante, imprenditrice. Non sarà più lo stesso al suo rientro in Danimarca: gli affari mai decollati e la morte tragica del suo diletto amante Finch la riporteranno fisicamente in patria, ma il suo cuore resterà per sempre «ai piedi degli altipiani del Ngong». La mia Africa, infatti, è una rielaborazione postuma di quegli anni difficili ma meravigliosi e intensi per lei, la cui nostalgia può essere rielaborata solo a distanza fisica e temporale. Visse con responsabilità i suoi impegni, nonostante il matrimonio inevitabilmente naufragato e la fragilità dovuta alla malattia. Fece suo il motto della casata di Denys Finch. Le sue parole sono attuali e segno di una esistenza testarda, anticonvenzionale, contraddittoria e appassionata: «La famiglia inglese dei Finch Hatton ha nel suo stemma la divisa “Je responderay”. Credo lo abbia da molto tempo, visto che è scritto in francese antico […] Questo vecchio motto mi piaceva tanto che chiesi a Denys, che era sbarcato in Africa prima di me, […] se potevo farlo mio. Lui me lo regalò generosamente e me lo fece incidere persino su un sigillo. Quella divisa mi era cara e per me significava molto, per diversi motivi, di cui uno in particolare. Il primo era il grande valore che dava alla risposta in sé. Perché una risposta è una cosa molto più rara di quanto in genere si creda. Ci sono molte persone estremamente intelligenti che non hanno nemmeno una risposta. Una conversazione o una corrispondenza con loro non è altro che un doppio monologo; sia che tu le accarezzi appena, sia che le colpisca con forza, non manderanno un’eco più sonora di un ciocco di legno. E allora come si fa a continuare a parlare? In secondo luogo, amavo il motto dei Finch Hatton per il suo contenuto etico. Io risponderò di quello che dico o faccio; corrisponderò all’impressione che do. Sarò responsabile» (da Karen Blixen, Dagherrotipi. I miei motti, discorso pronunciato al Dinner Meeting Address del 28 gennaio 1959, traduzione di Bruno Berni, Adelphi, 1995).
Nel 1959 Karen riuscì a programmare e realizzare finalmente un viaggio in America, negli Usa, e nell’occasione incontrò Marylin Monroe a un pranzo a casa della scrittrice Carson McCullers a base di ostriche, uva e champagne. Due donne diverse ma facce della stessa medaglia, inquiete, malinconiche ma dalla volontà di ferro di bere a pieni sorsi ogni attimo della vita: morirono entrambe nello stesso anno, il 1962.
In copertina: Karen Blixen con Marilyn Monroe.
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Articolo di Valeria Pilone

Già collaboratrice della cattedra di Letteratura italiana e lettrice madrelingua per gli e le studenti Erasmus presso l’università di Foggia, è docente di Lettere al liceo Benini di Melegnano. È appassionata lettrice e studiosa di Dante e del Novecento e nella sua scuola si dedica all’approfondimento della parità di genere, dell’antimafia e della Costituzione.
Grazie per il garbato ritratto di una scrittrice che anch’io ho amato molto. Anche se la narratrice a mio parere supera di gran lunga la saggista. Sono del parere, infatti, che il matrimonio sia nato come contratto e solo in epoca moderna si sia preteso che fosse anche un patto d’amore.
Oggi forse questo è più chiaro, e non è un caso che molte persone cui non interessa stipulare un contratto non si sposino.
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Grazie mille per l’apprezzamento, Loretta! concordo con quanto dici
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