Sono stata invitata a un evento su un tema molto particolare, di quelli che la nostra cultura moderna, dai costumi consumistici e festaioli, non ama certo affrontare: l’accompagnamento al fine vita. Anzi, se solo si dovesse accennare a qualcosa di simile, in conversazioni comuni in piacevole amicizia, ci sarebbe sicuramente chi farebbe gli occhi strani, come a esorcizzare un argomento poco gradevole, oppure si allargherebbe in scongiuri o addirittura in eclatanti gesti apotropaici.
Ho aderito molto volentieri all’invito, anche perché proveniente da una cara ex alunna con cui, nelle discussioni filosofiche o antropologiche in classe, abbiamo avuto modo di affrontare il significato del timore o meglio, negazione della morte che caratterizza la società occidentale contemporanea, che ne parla sempre solo come morte di altre/i, in episodi di violenza o eccezionali, ma non come momento intrecciato alla vita, da pensare, accogliere e a cui accompagnare con serenità e consapevolezza le persone care.
Mi è venuto quindi il desiderio di conoscere meglio il percorso che Danila Zuffetti ha compiuto, una volta diplomata al Liceo delle Scienze sociali, perché possa essere di esempio anche a tante altre giovani studenti.

Cara Danila (mia omonima), nella locandina sei definita “esperta di medicina narrativa”: quale percorso universitario ti ha portata a questo interesse?
Gli anni del liceo sono stati per me molto formativi sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista umano. Credo che questo interesse per l’altra/o e per la persona nella sua totalità arrivino proprio da lì.
Ho intrapreso un percorso universitario di formazione pedagogica e, successivamente, mi sono avvicinata al mondo della medicina narrativa e mi sono specializzata in Medical humanities e in Cure palliative, conseguendo dei master in tali ambiti.

Parallelamente ho seguito molti corsi della Società italiana di medicina narrativa, di cui faccio parte, diventando formatrice e facilitatrice di laboratori in tale ambito. Ho seguito per due anni i laboratori della Columbia University di New York, che mi hanno aiutato ad affrontare e a crescere come persona e come professionista. Ho avuto l’onore, insieme ad altri professionisti/e, di partecipare a un tavolo di lavoro sullo stato dell’arte della medicina narrativa in Italia presso l’Università Bicocca, condotto dalla prof.a Rita Charon. Prendo costantemente parte a congressi sia come partecipante sia come relatrice e questo mi aiuta a crescere continuamente e a portare avanti la mia professione. Sono in apprendimento costante, ritengo che ci sia sempre da imparare per migliorarsi e aprirsi a nuove opportunità.
In che cosa consiste, più nel dettaglio, la medicina narrativa?
La medicina narrativa è una metodologia di intervento clinico–assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura).
La prof.a Rita Charon, che ne è fondatrice, la definisce come la capacità di riconoscere, assimilare e interpretare le storie di malattia e di cura, per reagirvi adeguatamente. Occorre immergersi nella storia dell’altra/o per comprenderne la sofferenza, coglierne i cambiamenti, il senso, la speranza, la consapevolezza, la fiducia.
La medicina narrativa è una pratica che pone attenzione all’unicità, riconosce e valorizza la dignità della persona, creando connessioni, reciprocità ed eticità. Fondamentali sono le medical humanities che ci aiutano ad allenare e a sviluppare quelle abilità che ci permettono di cogliere la singolarità e la particolarità.
Come hai conosciuto il prof. Sandro Spinsanti?
Ho conosciuto il prof. Spinsanti molti anni fa a un incontro sulle cure palliative e abbiamo scambiato idee e opinioni in merito all’importanza della medicina narrativa in quell’ambito. Successivamente ci siamo rivisti in varie occasioni formative e di recente ho avuto il piacere e l’onore di condurre un workshop proprio in collaborazione con lui.
È una di quelle persone che ascolteresti per ore, intelligente, disponibile e con un’umiltà pazzesca.

È l’autore del libro che ha dato poi nome all’incontro, La cura in modalità palliativa. Ovviamente tu lo avrai letto: quale aspetto trattato ti ha particolarmente colpita?
L’evento è nato da un lavoro di rete tra la casa editrice, l’autore e la sottoscritta. L’editrice Giulia Dapero stava lavorando alla stesura del libro insieme al prof. Spinsanti e mi ha chiesto di collaborare, intervenendo e organizzando la presentazione in una struttura significativa per me. Ho subito pensato alla Fondazione Santa Chiara e alle Cure palliative di Lodi, chiedendo il patrocinio del Comune, al fine di lanciare un forte messaggio di unione e di obiettivi condivisi.
Il libro affronta tematiche a me note e care, ma che è sempre bene approfondire e conoscere sotto altre prospettive, che possono darti nuovi spunti di riflessione. Mi è particolarmente piaciuta la parte del libro che parla delle parole oneste pronunciate da professionisti seri, ossia da tutti coloro che nascondono la diagnosi e la prognosi, come se la mancanza di verità fosse una questione doverosa ed etica. Questo aspetto si ricollega a un’altra parte del libro che parla della speranza, da non confondere con l’illusione. Non togliere la speranza è fondamentale, ma lo è altrettanto non alimentare le false speranze. È necessario trovare un equilibrio tra la verità e la speranza, permettere loro di coesistere.
Stiamo parlando di argomenti delicati e attuali, che coinvolgono ogni giorno noi operatori/trici della salute, ma che in realtà riguardano tutte e tutti indistintamente. Nel libro se ne parla molto bene!
Ci puoi raccontare il tuo intervento, in dialogo con l’autore?
Sono stata chiamata a dare il mio contributo in qualità di esperta di medicina narrativa in particolar modo nell’ambito delle cure palliative. Nel 2017 ho, infatti, creato un modello innovativo e pionieristico che prevede la mia figura impegnata non solo come formatrice in ambito medico, infermieristico ed educativo, o volto ad altre figure professionali, ma anche con la pratica quotidiana con i/le pazienti, al fine di facilitare le scelte etiche, consapevoli, libere, dando voce ai desideri, alle volontà e alle emozioni.
Il mio intervento ha posto il focus sulla sinergia armonica tra la medicina narrativa e le cure palliative e su quanto questo sia fondamentale per umanizzare la cura, valorizzare l’unicità e superare le divergenze. Inoltre, ho voluto sottolineare l’importanza di acquisire le competenze narrative per creare connessioni, essere da ponte tra noi e il/la paziente, per comprendersi a vicenda e affrontare e condividere le conoscenze sulla malattia.
Noi professioniste/i della salute dovremmo essere in prima persona capaci di dare coraggio per affrontare con serenità la morte, essere consapevoli della finitezza umana e avere l’onestà di desistere da false speranze.
Ho parlato, poi, di quanto sia importante divulgare la cultura delle cure palliative in diversi ambiti, perché è fondamentale conoscerle e perché cure palliative non è sinonimo di fine vita. La conoscenza vuol dire libertà.
Sei mai stata invitata a parlare di questo in qualche scuola? Hai esperienze da presentarci o suggerimenti da indicare per chi lavora nell’ambito?
Ho avuto diverse occasioni per parlare di queste tematiche anche con studenti, ma sempre in ambito congressuale o formativo.
L’anno scolastico scorso ho lavorato su un progetto di educazione civica incentrato sulla medicina narrativa e le cure palliative con una classe di bambine e bambini della scuola primaria, è stata un’esperienza unica.
Sono convinta che ci sia sempre più bisogno di affrontare nelle scuole la tematica della morte e di utilizzare la creatività per farlo. La parola è sempre trasformativa e generativa di qualcosa di bello, soprattutto con le giovani generazioni.
Grazie per queste considerazioni, che possono guidare per affrontare meglio momenti della vita ineluttabili per tutte e tutti, non eccezionali, non per forza devastanti, ma anzi… in grado di far apprezzare di più l’importanza della parola che dona ricchezza e forza interiore.
In copertina: relatori/relatrici all’incontro del 19 settembre 2022, presso la Fondazione S. Chiara Onlus, da sinistra Sandro Spinsanti, Giulia Dapero, Danila Zuffetti, Diego Taveggia. Foto di Danila Baldo.
***
Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.