Madama Margarita. Un anniversario da celebrare degnamente. Parte seconda

Nel 1555, per problemi di salute, Carlo abdicò la corona di Fiandra e Spagna, consegnandola al figlio Filippo.

Margarita d’Austria duchessa di Parma e Piacenza

I rapporti tra Margarita e il fratellastro erano stati solo epistolari ma amichevoli, e con lui Madama trattò direttamente per la pace: nel 1556 Piacenza venne restituita ai due coniugi in cambio dell’infeudazione dei Farnese alla Spagna e l’obbligo di mandare Alessandro a Bruxelles per essere educato direttamente dallo zio Filippo. Sarà la stessa Margarita ad accompagnarlo, giungendo nella sua terra natia poco dopo la morte del padre. Dopo aver tutelato gli interessi e la sicurezza del figlio e aver strappato una vuota promessa a Filippo sul rimuovere il presidio spagnolo a Piacenza, Margarita tornò in Italia afflitta e in lutto.

Ritratto di Margarita quando venne eletta governatrice delle Fiandre

Si insediò a Piacenza, che amministrò di persona avviando importanti opere di restauro e architettoniche, ponendo la prima pietra del futuro Palazzo Farnese e abbellendo la città secondo il gusto rinascimentale.
Nel 1559, di fronte al crescente numero di protestanti calvinisti e alle tensioni religiose nei Paesi Bassi e dovendo riconoscere la propria impreparazione, Filippo II chiamò Margarita ad amministrare quei territori, come consigliato dal padre prima della morte. La duchessa accettò l’incarico, giungendo nelle sue amate Fiandre quello stesso anno e trovandosi davanti una situazione talmente disastrosa di fronte alla quale abbandonò ogni ottimismo iniziale.

Infatti i nobili locali detestavano la temuta Inquisizione spagnola e il conseguente strapotere del clero, la casse erano dissestate nonostante l’alta tassazione, il popolo – ormai diviso fra cattolici e calvinisti – era sempre più intollerante alla presenza di militari stranieri e del capo degli Stati generali olandesi, il cardinale francese Antoine Perrenot de Granvelle, la cui influenza sarà fonte dei principali problemi affrontati da Margarita. A ciò si aggiunse il doppio gioco di Filippo per tenersi fedele la sorella e i Farnese: non adempì alla promessa di ritirare l’esercito da Piacenza e non si interessò a trovare un buon partito per il nipote Alessandro.

Lo stress potrebbe averle causato un piccolo infarto nel 1561, come emerge da alcune lettere del cardinale Granvelle – il quale non nascose una certa compiacenza a riguardo – il primo segno di problemi al cuore che andranno sempre peggiorando da lì in poi. Margarita ce la mise tutta per mediare fra le tante fazioni ma con i limitati poteri che il fratellastro le aveva assegnato i suoi sforzi furono vani: nel 1563 scoppiarono le prima rivolte del popolo fiammingo contro i soldati spagnoli; tra il loro capo il conte d’Oranges e il Granvelle era ormai guerra aperta, e sempre più insistenti si fecero le richieste di cacciare il cardinale. Davanti all’inerzia di Filippo, nostalgica della sua Italia e preoccupata per il figlio, Margarita si giocò un’ultima carta: minacciò di andarsene, ben sapendo che non ci fosse nessuno che potesse sostituirla e che senza un rappresentante della corona le Fiandre sarebbero cadute nella guerra civile. Filippo cedette e acconsentì a togliere Granvelle.

Questo, tuttavia, aumentò il potere delle fazioni nazionalistiche. Impossibilitata ad agire come avrebbe voluto, Margarita lanciò un altro ultimatum al fratellastro: maggiori poteri o esonero dall’incarico. Filippo aggirò la questione trovando una sposa ad Alessandro, la principessa del Portogallo Maria d’Aviz, e dando il consenso a celebrare le nozze a Bruxelles nella primavera del 1565. Margarita fu felicissima e accolse a braccia aperte il figlio e la nuora, dimenticando per qualche giorno i gravosi affari di stato e approfittandone per riposarsi e riprendersi.

Proprio in quel periodo, però, i calvinisti fiamminghi si prodigarono in ampie opere di proselitismo, usando la preparazione per il matrimonio di Alessandro e Maria come pretesto per denunciare sprechi e malgoverno, e per fare richieste importanti come l’abolizione dell’Inquisizione e una riforma delle tasse.
L’ennesimo tentativo di convincere Filippo a intervenire cadde nel vuoto, e quando Margarita si mostrò ferma nel rifiutare le loro istanze i calvinisti scesero in piazza e si scontrarono con l’esercito spagnolo e la popolazione cattolica.

La repressione delle ribellioni e la guerra civile che distrusse le Fiandre per i successivi due anni segnarono profondamente Margarita. Filippo, dopo la lunga ignavia, ringraziò l’impegno della sorellastra ma criticando la sua mano “poco ferma” – nonostante fosse stata Margarita a gestire e guidare gli sforzi per reprimere la rivolta calvinista e riprendere il controllo di una città importante come Anversa – e sostituendola di fatto con il duca d’Alba Francesco Alvarez de Toledo, rinomato per la sua ferocia. Amareggiata e umiliata, intuendo quali fossero le vere intenzioni del fratellastro e che per la sua terra non poteva fare molto altro, Margarita lo supplicò di andare nelle Fiandre di persona per assestare la situazione.
Il re continuò a dimostrarsi indolente di fronte alle richieste, lasciando che fosse il duca d’Alba a reprimere le proteste e ignorando la crescente insofferenza del popolo fiammingo; quando Margarita, tramite i suoi ambasciatori, gli rinfacciò tutto quanto aveva fatto e che se le Fiandre erano cadute nella guerra civile era solo colpa sua, Filippo la rispedì a casa senza troppe cerimonie.

La fontana farnesiana, fatta costruire da Margarita durante i restauri della città, con la chiesa dedicata a San Pietro sullo sfondo

Margarita tornò in Italia nel 1567 profondamente provata e amareggiata. L’esperienza nelle Fiandre l’aveva resa ancora più introversa e, dopo un breve periodo a Piacenza per riabbracciare la famiglia, decise di andare nelle sue amate terre abruzzesi per amministrarle di persona, lontana da un marito che nella lunga assenza aveva ampiamente goduto di compagnia femminile e avuto un figlio illegittimo. Fra i monti dell’Appennino centrale Margarita ritrovò pace e salute: si stabilì a Cittaducale, risiedendo nel palazzo della Comunità, e da lì si spostava di frequente fra i suoi territori per visionare il loro stato.

A Leonessa restaurò le mura urbane e abbellì gli edifici secondo il gusto rinascimentale, incoraggiando la produzione di lana e tessuti, costruendo dei mulini – “mole” nel dialetto locale – per portare grandi quantità di acqua, necessaria per pulire la lana.
Intrattenne una fitta corrispondenza con le autorità locali per risolvere questioni territoriali e riassestare i confini con le città di Rieti, Cascia, Antrodoco e Spoleto, e combattere il brigantaggio, un fenomeno favorito dall’essere una zona di confine fra lo Stato della Chiesa e il regno di Napoli. Patrocinò lavori architettonici e artistici, e si assicurò del buongoverno delle amministrazioni locali.
Acquisì terre su cui poi fece costruire strade per facilitare gli spostamenti e il commercio. Nel 1572 venne nominata governatrice dell’Aquila, dove si trasferì e dove continuò a finanziare le arti, la cultura e i restauri e ad amministrare in modo retto e imparziale sia la città che il resto dello Stato farnesiano.

Tornati vittoriosi dalla battaglia di Lepanto, la raggiunsero Alessandro assieme alla famiglia e don Giovanni d’Austria, uno degli ultimi figli naturali avuti da Carlo V e di lei molto più giovane, ma con cui instaurò subito un legame affettuoso e duraturo.
Nel 1576, dopo che Giovanni fu incaricato da Filippo II di andare ad amministrare le Fiandre dopo il disastroso governo del duca d’Alba, Margarita ebbe un grave malore al punto che per qualche giorno si sparse la voce della sua morte. I timori di essere richiamata a governare le Fiandre divennero concreti nel 1577; inizialmente voleva rifiutare, soprattutto per la salute precaria, ma la morte improvvisa di don Giovanni nel 1578 e l’assunzione temporanea del governo di Alessandro la costrinsero ad accettare.

Nel 1580 giunse nella sua terra natale, e subito si trovò di fronte a una questione dolorosa: Filippo II aveva imposto che Margarita si occupasse del governò civile mentre Alessandro si sarebbe occupato dell’esercito, ma Alessandro vide in questa decisione un affronto e incolpò la madre di stargli intralciando la strada e la carriera.
Combattuta fra l’esaudire la volontà del re e la rabbia del figlio, Margarita si vide nuovamente umiliata quando Filippo preferì accogliere le istanze di Alessandro e mettere nelle sue mani tutti i poteri, costringendola però a rimanere per non dare l’impressione che si stesse sbarazzando nuovamente di lei.
Solo dopo innumerevoli suppliche e appelli a considerare il danno che il clima umido delle Fiandre le stava causando Filippo, stizzito, acconsentì al suo ritorno. Mai la ringraziò per i suoi servigi.

Cartolina del Palazzo Farnese ad Ortona del 1936. Margarita risiedeva qui

Margarita tornò in Abruzzo con l’animo appesantito dall’umiliazione e dalle complicate vicende familiari. Acquistò la città di Ortona a Mare, facendone la sua sede invernale per il clima mite, e spostandosi all’Aquila durante l’estate; viaggiava spesso fra le sue terre, e ovunque fu accolta in trionfo, con i magisteri che le giuravano fedeltà assoluta e le classi popolari colme di gratitudine e devozione.
Anni di tensioni e stress, tuttavia, fecero precipitare la sua salute, al punto che nel 1586 fece redigere un testamento, dove indicava come intendeva essere sepolta e le spartizioni dei beni che non sarebbero andati al figlio Alessandro.
Appena in tempo, perché Madama spirò il 18 gennaio di quello stesso anno a Ortona, lontana da tutti gli affetti che le erano rimasti. I funerali si tennero all’Aquila, e solo suo nipote Ranuccio poté parteciparvi; la salma venne poi portata nella chiesa di San Sisto a Piacenza, ormai libera da qualunque influenza spagnola, una delle poche consolazioni degli ultimi mesi di Margarita.

Tomba della duchessa Margherita nella Chiesa di San Sisto di Piacenza

Si concluse così la vita di una delle più importanti dame del Rinascimento, di una principessa figlia del suo tempo e che ancora oggi in quelle terre d’Abruzzo è ricordata con amore e rispetto. A lei è dedicata la riserva regionale Montagne della Duchessa, un’area naturale protetta in provincia di Rieti.

Umanisti come Cornelio Agrippa di Nettensheim e Francesco Serdonati la annoverano tra le più encomiabili delle sovrane; in onore di “Madama” numerosi palazzi si chiamano ancora oggi con quel titolo che tanto le piaceva: Palazzo Madama, Villa Madama, Castel Madama a Roma, e Palazzo Madama (o Margherita) all’Aquila. Quest’anno si susseguono convegni di studio sulla sua figura e al momento risultano due strade a lei dedicate, a Ortona e a Sulmona.
Per renderle degno omaggio l’associazione Toponomastica femminile chiede formalmente all’amministrazione comunale di Leonessa, uno dei luoghi da lei più amati, di intitolarle la rotonda all’entrata della città, come atto ultimo dei festeggiamenti per i cinquecento anni dalla nascita.

Riproduzione degli abiti di Margarita ricrearti per il Palio del Velluto di Leonessa

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Articolo di Maria Chiara Pulcini

Ha vissuto la maggior parte dei suoi primi anni fuori dall’Italia, entrando in contatto con culture diverse. Consegue la laurea triennale in Scienze storiche del territorio e della cooperazione internazionale e la laurea magistrale in Storia e società, presso l’Università degli Studi Roma Tre. Si è specializzata in Relazioni internazionali e studi di genere. Attualmente frequenta il Master in Comunicazione storica.

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