Le catene del Brasile. La salvezza nelle mani delle donne

Cosa succederà il 2 ottobre in Brasile? Vincerà Luis Inaciào Lula da Silva, detto brevemente Lula, o rimarrà Jair Bolsonaro? Il sondaggio sostiene che al primo turno, nelle elezioni del prossimo 2 ottobre, Lula avrà il 40,2% di fronte al 36,4% di Bolsonaro. Con un margine di errore di 2,2 punti percentuali, tra i due sarebbe pareggio tecnico. Mentre a fine agosto – dicono i sondaggi – li separavano più di quattro punti.
Purtroppo più di una volta il presidente in carica Bolsonaro ha voluto screditare le elezioni in sé, tanto che più di una/un opinionista parla di possibilità, in caso di una sua sconfitta, di un colpo di Stato. «Ha criticato il ruolo del Tribunale supremo brasiliano e ha sollevato dubbi sulla trasparenza del processo elettorale. Ricordando l’amico e alleato, Donald Trump, ha dichiarato che non accetterà altro risultato che la vittoria».
Un Paese enorme, non facile da governare, diviso da troppi poteri, poco o mal conosciuto qui in Europa se non attraverso gli stereotipi classici del Carnevale. Ma il Brasile è tante cose ancora. Soprattutto è l’Amazzonia, che sta man mano scomparendo, portando danno a tutto il pianeta. Poi è un Paese dove i nativi sono sempre meno rappresentati e a questo, oltre allo sfruttamento e alle conversioni religiose forzate, si è aggiunto il Covid-19 che ha decimato la popolazione, non messa al riparo dal virus da politiche a dir poco stolte.

Di queste problematiche tratta il bel libro Le catene del Brasile. Un paese ostaggio delle religioni scritto da Claudiléia Lemes Dias, avvocata e scrittrice di origine brasiliana ormai affermata nella letteratura in lingua italiana con romanzi e altri saggi. Il titolo è significativo e indica tutta la complessità del Paese di origine di Claudiléia. Leggendo si rivive con l’autrice la storia del Brasile alle soglie delle elezioni che forse porteranno di nuovo al potere il Presidente Lula, oggi quasi ottantenne, leader di quel Partito dei lavoratori che era stato alla guida del governo dal 2003 al 2011.

Si comincia, nell’introduzione, praticamente da una favola, seppure amara: la storia della vita di un nativo, il signor Arukà Juma che è morto il 17 febbraio 2021, proprio a causa del Covid-19, in un ospedale di Pôrto Velho, la capitale della Rondônia. Si stima che avesse tra gli 86 e i 90 anni. La sua storia è stata raccontata anche dal New York Times. In più, come è scritto sempre nell’introduzione, con la morte dell’ultimo individuo che parlava correntemente la lingua della tribù, molte delle tradizioni e dei rituali sono scomparsi. «All’inizio pensai che stavo combattendo per salvare gli alberi della gomma, poi ho pensato che stavo combattendo per salvare la foresta pluviale dell’Amazzonia. Ora capisco che sto lottando per l’umanità» diceva Chico Mendes, il sindacalista che si batté contro il disboscamento della Grande foresta e che per questo fu assassinato nel 1988.

Ecco come inizia la storia: «Si stima che nel XVIII secolo la popolazione Juma fosse di almeno 15.000 persone. Dopo un feroce massacro avvenuto alla fine degli anni Settanta per mano dei bianchi, che uccisero oltre 60 persone, gli Juma rimasero in 6. Tra i superstiti c’era Arukà Juma. La storia del popolo Juma ricalca la stessa triste sceneggiatura di altre popolazioni indigene in Brasile. Inizialmente decimate dai portoghesi, sono state poi aggredite dalle malattie portate dall’uomo bianco, infine dai raccoglitori di caucciù, dai cercatori d’oro e dai ladri di terra. Un massacro continuo per il quale non c’è mai stata condanna da parte delle autorità».
«In pericolo – continua – non c’è solo il grande polmone verde del pianeta, una immensa biodiversità e il più prezioso ecosistema al mondo. A rischiare lo sterminio ci sono le popolazioni indigene che questo tesoro hanno contribuito a preservare trasmettendo di generazione in generazione il loro sapere. Una straordinaria ricchezza culturale che il presidente Bolsonaro vorrebbe cancellare dalla storia, completando l’opera di conquistadores, dittatori e multinazionali affamate di profitto a ogni costo».
Bolsonaro è stato definito in un’inchiesta del settimanale The Economist «il capo di Stato più pericoloso al mondo per l’ambiente». Cioè per tutti noi. E conosciamo l’atteggiamento che Bolsonaro ha mantenuto durante la pandemia, in linea, se non ancora in modo più esasperante, con i suoi corrispondenti, sovranisti e negazionisti.

Ma nel libro di Claudiléia Lemes Dias colpisce la minuziosa e provata denuncia del legame tra religione e politica, con l’importanza di questi due aspetti nell’ordine dato. L’ingerenza dei pentecostali e dello Stato di Israele, su tutta la vita, sociale e politica, della Nazione è palese. Al centro grandi interessi economici. La povertà è giudicata dal clero come un castigo divino, una colpa che deve pesare su chi non si riscatta donando la propria ricchezza, anche la più esigua, su chi non se ne affranca: «Insomma in nome di Dio e della Bibbia si perpetrano i delitti più efferati, si obbliga il popolo, i nativi del Brasile, a considerarsi falliti se non colpevoli del disastro, di tutti i disastri planetari».
Giustamente si è detto che quello che si legge pagina dopo pagina sorprende ancora di più delle aspettative. C’è da dirlo sottovoce, quasi a pochi intimi fidati, o piuttosto è da gridare a pieni polmoni al mondo intero per far conoscere a chiunque ascolti questo assurdo che si ripercuote sulla pelle dei poveri in disagio di questo enorme Paese. La povertà è una vergogna e i poveri sono colpevoli della situazione del pianeta: è un assioma crudele che in Brasile è praticamente una legge». C’è purtroppo un netto scollamento tra il Parlamento brasiliano e il Paese reale. «Oltre l’85% della Camera e del Senato brasiliani – scrive l’autrice – è costituito da uomini bianchi e ricchi sulla sessantina, profili in netto contrasto con quanto tracciato nel rapporto del 2020 dell’Istituto Brasileiro de Geografia e Estatística (Ibge), nel quale la popolazione brasiliana si presenta molto più giovane: età media al di sotto dei 35 anni, costituita maggiormente da donne, nere o meticce (in buon portoghese brasiliano, di carnagione parda). In Brasile – ci informa ancora il libro – si inizia a votare presto, appena compiuti i 16 anni; a 18 il voto diventa obbligatorio. Chi non si presenta alle urne è multato e gli viene tolta la possibilità di iscriversi a qualsiasi concorso pubblico. In più, sul passaporto del cittadino brasiliano poco interessato alla politica e che intende migrare altrove, viene posto un timbro, per ricordargli l’assenza di senso civico: Cittadino non in regola con gli obblighi elettorali».

La salvezza, dunque, è in mano alle donne brasiliane, come già è successo in passato e come si spera accada oggi per creare un Paese che si evolva con i tempi e si allontani dalla corruzione e dalla sudditanza al clero. Le donne rappresentano il 52,49% dei circa 159 milioni di elettori che hanno il diritto/dovere di recarsi alle urne a ogni elezione, consapevoli delle eventuali sanzioni del Código Eleitoral (legge 15 luglio 1965, n. 4.737), emanato nel pieno della dittatura militare. Soprattutto saranno le donne di sinistra e native, secondo Claudileia Lemes Dias, a salvare il Brasile. Le donne, tra l’altro, si sono preparate a queste elezioni e molto bene.
«Nella Escola da Política, nata nel 2017 per iniziativa di un gruppo di sociologhe, avvocate, filosofe, fotografe e giornaliste, le donne hanno l’opportunità di formarsi in vista del loro ingresso in politica, anche in una prospettiva femminista particolare, tra le altre, che collega la lotta per la parità di diritti e di opportunità tra uomini.
Secondo i dati pubblicati dal Tse, raccolti tra gennaio 2018 e novembre 2021, relativi all’incremento del numero di iscritti ai partiti, il Psol e la Rede Sustentabilidade, due formazioni fondate da donne di sinistra, sono gli unici schieramenti ad aver raddoppiato il numero di tesserati nel periodo analizzato.
Fondato dall’ex senatrice per Pt Heloísa Helena, il Psol ha registrato un incremento del 47% negli ultimi tre anni, arrivando a oltre 220.000 tesserati a dicembre 2021. Il Psol è l’unico partito in Brasile – ci informa ancora l’autrice – con un quadro dirigenziale composto da quarantenni, provenienti dai movimenti nero, studentesco, sindacalista, Lgbt+ o femminista, come l’attivista Marielle Franco, barbaramente uccisa dalle milizie di Rio de Janeiro; inoltre, è l’unico ad assegnare il 50% degli incarichi dirigenziali alle donne e uno dei pochi a difendere la loro autonomia sull’aborto, avendo presentato due progetti di legge a riguardo (Pl 882/2015 e Adpf 442/2017). I membri che lo compongono difendono la laicità dello Stato, senza troppi giri di parole, l’adozione per le coppie omosessuali e sostengono i movimenti per la riforma agraria, come il Mst».
Per quanto riguarda la Rede Sustentabilidade, partito fondato da Marina Silva – ex ministra dell’Ambiente del primo governo Lula e compagna di battaglia dell’ambientalista e sindacalista Chico Mendes, ucciso nel 1988 nel pieno della sua lotta per lo sviluppo sostenibile dell’Amazzonia – il libro sottolinea la crescita dei nuovi iscritti nell’ordine del 40% negli ultimi tre anni, in base ai dati resi pubblici dal Tse. «La fondatrice è stata per tre volte candidata alla presidenza della Repubblica (2010, 2014 e 2018), risultando una delle donne più votate per la massima carica dello Stato, dopo Dilma Rousseff: circa 19 e 20 milioni di voti ai primi due tentativi di elezione. Sebbene abbia raccolto un magro risultato alle presidenziali del 2018, a causa delle troppe divisioni all’interno della sinistra e dell’ondata di estrema destra che ha travolto il paese, Marina Silva è nota per presentare programmi di governo volti allo sviluppo sostenibile e alla parità di genere, e può contare sul sostegno dei movimenti ambientalista e indigeno».

Dunque le donne sono oggi la speranza del Brasile. Esprimono, stando al discorso, coraggioso e puntuale del libro di Claudiléia Lemes Dias, l’apertura a un pensiero nuovo. Noi ci crediamo e lo speriamo, non solo per il Brasile.

Claudiléia Lemes Dias
Le catene del Brasile. Un paese ostaggio delle religioni
L’Asino d’oro ed., Torino, 2022
pp. 128

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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