Il lato nascosto del motociclismo sportivo. Storie di donne ispiratrici

La parola “motociclismo” può evocare diverse immagini: un uomo col giaccone in pelle su una Harley-Davidson, le vittorie del mitico Valentino Rossi, i salti emozionanti dei piloti di motocross. Le caratteristiche intrinseche del motociclismo sportivo sono da sempre associate al sesso “più forte”: velocità, adrenalina, rischio, spingersi al limite delle proprie possibilità per arrivare primi alla bandiera a scacchi. Ma sotto la fitta rete di piloti uomini che si sono susseguiti nel tempo, si cela una rete più piccola, ma che nasconde storie emozionanti di donne che hanno combattuto per poter vivere la loro passione.
Per raccontare i momenti salienti del motociclismo femminile, voliamo negli Stati Uniti di fine Ottocento, con Augusta e Adeline Van Buren, due sorelle audaci e controcorrente. Nel 1916 attraversano il Paese in moto, percorrendo 5500 miglia e affrontando tutte le avversità di un’epoca ancora priva di autostrade. La loro impresa ha il fine di dimostrare al governo che anche le donne possono aiutare nella Prima guerra mondiale, entrando nell’esercito come messaggere militari in moto. Il vero obiettivo è in realtà il diritto al voto, che in America ancora non è riconosciuto alle donne. Purtroppo la loro impresa non porta risultati positivi, ma testimonia la tenacia di due donne che combattono per ciò in cui credono. È celebre la frase di Augusta «una donna può, se vuole».

Augusta e Adeline Van Buren

Vittorina Sambri

Nell’Italia dello stesso periodo troviamo Vittorina Sambri, la prima donna europea a partecipare a una gara motociclistica. Collezionando diversi successi, un numero sempre maggiore di persone intolleranti tendono a insultarla, facendo leva sull’aspetto mascolino e sui gusti sessuali. Il ventennio fascista non la aiuta, poiché la sua figura viene messa in ombra e sminuita, costringendola a lasciare le corse. Temeraria e avanguardista, Vittorina ha dimostrato di avere la forza a chi era convinto essere il sesso “più forte”, lasciandolo decine di secondi dietro a sé, che nel motor sport corrispondono a un’eternità.



Negli anni Trenta britannici troviamo Beryl Swain la prima donna a prendere parte a un gran premio, ossia una gara valida per il motomondiale, e la prima donna solista a completare la Tourist Trophy dell’isola di Man, una delle competizioni più pericolose al mondo, tomba di centinaia di piloti. La carriera di Beryl termina quando la Fim, Federazione internazionale di motociclismo, le revoca la licenza, con la scusa che le corse sono troppo pericolose per le donne. Ancora una volta vengono tagliate le ali a una donna coraggiosa che deve fare i conti con un’epoca prematura.

Coetanea di Beryl è Mary McGee, la prima donna a ottenere la licenza della Fim negli Stati Uniti. Partecipa a corse di diverso tipo, tra cui un’endurance nel deserto e la corsa Baja 500. A 65 anni gareggia nelle corse di motocross d’epoca e nel 2018 l’Ama (American motorcyclist association) la inserisce nella Hall of Fame del motociclismo.
L’energia di Mary si percepisce dalla sua incredibile voglia di mettersi in gioco, in qualsiasi momento della vita. Afferma che «non si tratta di finire primi, secondi o ultimi, ma della lotta che porta al traguardo finale, che è, poi, il viaggio della vita».

Gina Bovaird

Restando in America, troviamo nello stesso periodo Gina Bovaird, la prima e, finora, l’unica donna ad aver partecipato a una gara nella vetta più alta del motociclismo sportivo, la classe 500, oggi Motogp. La breve ma intensa carriera di Gina nasconde tanti sacrifici: per poter venire in Europa a gareggiare, la donna vende tutto ciò che possiede, compresa la casa. In Europa le pilote Taru Rinne e Katja Poensgen sono le prime donne a ottenere rispettivamente dei punti nella classe 125 e 250 del motomondiale, attualmente Moto3 e Moto2.

Alla fine degli anni Settanta nasce la pilota britannica Jenny Tinmouth, la donna più veloce nel Tourist Trophy dell’isola di Man e l’unica ad aver partecipato al campionato britannico di Superbike.
Per quanto riguarda la penisola iberica, troviamo Laia Sanz, classe 1985, soprannominata la “regina del deserto”. Il suo curriculum vanta: 14 mondiali e 10 europei nel trial femminile e 7 trial delle nazioni a squadre; sei mondiali nell’enduro femminile; dodici partecipazioni al rally più duro e pericoloso, il Dakar Rally. Molti dei successi li raggiunge anche dopo aver scoperto di essere affetta dalla malattia di Lyme.
Laia è una campionessa pluripremiata in diverse discipline, che tende a mettersi in gioco e a non fermarsi davanti a nessuna barriera limitante: si butta in nuove sfide, cade, si rialza e vince. E la vittoria non basta per soddisfare la sua sete di adrenalina, ma ha bisogno di provare a sé stessa che può farcela, in qualsiasi cosa lei faccia, lavorando duramente.
Pochi anni dopo la nascita di Laia, negli Stati Uniti, viene alla luce Shelina Moreda, prima donna a correre nel Motor Speedway di Indianapolis e a completare l’endurance di Suzuka. Sua connazionale di due anni più giovane è Elena Myers, la prima donna a vincere una gara Ama Pro Road Racing e la prima a portarsi a casa l’oro al Daytona nella categoria Ama Supersport. Dopo essere stata aggredita sessualmente, prende la difficile decisione di lasciare le corse. Elena non è la prima né l’ultima a subire una cosa del genere, l’importante, come afferma lei stessa, è denunciare e tenere duro.

Tornando in Italia troviamo Kiara Fontanesi, classe 1994, regina del motocross femminile, con sei titoli mondiali alle spalle e due figli, l’ultimo nato pochi mesi fa. L’obiettivo attuale di Kiara è tornare in forma per accaparrarsi il settimo titolo da «mamma bis». È l’esempio perfetto di una super mamma con una carriera da invidia!
Un’altra giovane campionessa degna di nota è la venticinquenne Ana Carrasco, la prima donna in assoluto a vincere un mondiale di velocità a griglia mista, nella categoria Supersport 300 della Superbike. Nel 2020 ha un grave incidente, ma con una lunga riabilitazione nel 2022 riesce a tornare in pista, in Moto3, categoria in cui già ha partecipato anni prima. La storia di Ana insegna a reagire alle avversità, a lottare con tutte le forze per inseguire un sogno: arrivare in Motogp.

Restando in Moto3, pochi giorni fa, altre donne hanno scritto la storia col debutto del team Angeluss Mta, composto interamente da donne. L’obiettivo della squadra è di mostrarsi per spronare le ragazze che sognano di lavorare nel mondo del motociclismo a buttarsi e a non avere paura, perché possono farcela.

La società sta cambiando. Oggi non è raro trovare donne nel paddock di una gara motociclistica e questo è possibile grazie al contributo di tutte coloro che hanno combattuto contro una società a loro avversa. Le storie appena raccontate e moltissime altre ancora, passate e presenti, possono ispirare sempre più donne a contribuire alla tessitura di quella rete del motociclismo che è ancora troppo piccola, per allargarla, generazione dopo generazione.

In copertina: Augusta e Adeline Van Buren.

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Articolo di Chiara Giosi

Laureata in Mediazione linguistica e interculturale, attualmente studia Media, comunicazione digitale e giornalismo all’università La Sapienza di Roma. Ama i gatti, cantare e scrivere canzoni.  È un’appassionata di motorsport.

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