Nell’Antica Grecia l’attività sportiva è riservata ai maschi, aristocratici e fisicamente ‘perfetti’. Le Olimpiadi, celebrate ogni quattro anni dal 776 a.C. al 393 d.C., diventano in questo senso una sfida limitata ai cittadini greci liberi di sesso maschile.
Nel 776 a.C., presso Olimpia, durante la prima edizione, infatti, nessuna donna era presente, nemmeno come spettatrice. Solo nel 396 a.C. abbiamo testimonianze di una prima partecipazione femminile olimpica. Si tratta di Cinisca di Sparta (440 a.C. ca.-post 392 a.C.), che nel 396 a.C. e nel 392 a.C. accede e vince la corsa dei carri a quattro cavalli (come organizzatrice e proprietaria) diventando un esempio da emulare per le donne dell’epoca. Della sua vicenda raccontano principalmente lo storico Erodoto e il geografo Pausania, riportando che a Cinisca le vengono dedicate ben due statue nel tempio di Olimpia di mano dello scultore Apelleas, mentre a Sparta, la sua città natale, viene eretto un intero tempio in suo onore.
Sempre da Sparta proviene un’altra donna vincitrice delle Olimpiadi antiche e ancora nella corsa dei carri. Si tratta di Eurileonide (IV sec. a.C.) che nel 368 a.C. vince la gara con il carro a due cavalli. Non è dato sapere con certezza della reale esistenza di Cinisca o di Eurileonide, ma le vicende riportate fanno comunque pensare che attorno al IV secolo a.C. la partecipazione olimpica femminile avesse una sua tradizione.
Dal 393 d.C. al 1896 la storia olimpica sembra fermarsi, e non si ha più traccia di gare sportive di questo tipo. Bisogna aspettare Pierre De Coubertin e il Movimento olimpico moderno, nato alla fine del XIX secolo, per poter vedere nuovamente affermate nella storia le competizioni olimpiche.
Il Movimento olimpico moderno considera lo sport un’attività aperta a tutti e tutte, ma De Coubertin, il barone francese principale artefice del movimento, non è dello stesso avviso. Egli si oppone all’agonismo femminile, sostenendo che la differente fisiologia della donna e il diverso ruolo nella società la rendono “inadatta” all’attività sportiva. Così nel 1896, durante la prima Olimpiade moderna, le donne rimangono escluse dai Giochi.

Tutte tranne una: c’è, infatti, una donna greca di umili origini conosciuta con il nome di Melpomene, lo stesso della Musa, ma il cui vero nome è Stamati Revithi (1866-post 1896). Nel 1896 desidera partecipare alla prima edizione delle Olimpiadi moderne ad Atene nella corsa. Stamati corre per lavorare sin da quando era una ragazza e ora cerca l’occasione per farsi notare e ottenere un lavoro per sopravvivere. La sua partecipazione viene però negata dal barone De Coubertin, per questo decide di correre lo stesso, da sola.
Melpomene arriva nella maratona in sole 4 ore e 30 minuti, ma nonostante questo le viene negato di entrare nello stadio e il suo nome non viene neanche registrato. Solo i giornali raccontano la storia di Stamati, detta Melpomene, la prima atleta delle Olimpiadi moderne. Nonostante i pregiudizi le donne cominciano a lottare per partecipare ai giochi della seconda Olimpiade, celebrata a Parigi nel 1900.

Con grandi sforzi 22 sportive su 997 atleti/e totali accedono alle gare, nelle discipline del tennis, della vela, del croquet e del golf. Le categorie, riservate alle sole donne, restano comunque separate e non ufficiali. La prima vittoria olimpica femminile individuale è della tennista britannica Charlotte Cooper (1870-1966), vincitrice già di numerosi titoli al torneo di Wimbledon. Ai Giochi del 1900 in finale Charlotte batte 6-1, 6-4 la francese Hélène Prevost. In realtà la vittoria è doppia: infatti Charlotte vince anche nella stessa edizione il doppio misto in coppia con Reginald Doherty.
Sebbene la sua esperienza olimpica si concluda nel 1900, Cooper non smette mai di giocare a tennis; lo dimostra la sua ultima partecipazione alla finale di Wimbledon nel 1912, all’età di 41 anni, e la partecipazione a diversi tornei fino al 1930.
La terza edizione olimpica del 1904 a St. Louis, negli Stati Uniti, vede l’aumentare delle categorie femminili: viene infatti aggiunto il tiro con l’arco in cui primeggiano senza rivali le americane Matilda Howell (1859-1938), Emma Cooke (1848-1929) ed Eliza Pollock (1840-1919). Su 651 partecipanti solo 6 sono donne e tutte provenienti dal continente americano.
La quarta edizione olimpica di Londra nel 1908 vede presentarsi 36 donne, su un totale di 2008 tra sportivi e sportive, sempre in modo non ufficiale. Tra le discipline viene per la prima volta inserito, anche se con qualche difficoltà, il pattinaggio di figura su ghiaccio con ben dodici anni di anticipo rispetto alle prime Olimpiadi invernali. Le donne sono ammesse a questo sport e a vincere il titolo olimpico di categoria è l’inglese Madge Syers (1881-1917), che ottiene anche un terzo posto nella gara in coppia con il marito durante la stessa edizione.
Nelle Olimpiadi del 1912, a Stoccolma, le donne sono finalmente ammesse pure alle competizioni di nuoto in vasca. In questa occasione l’australiana Fanny Durack (1889-1956) vince i 100 metri stile libero eguagliando il record maschile di Atene 1896, proprio nella stessa disciplina.
Fanny nuota da quando è una bambina: i Coogee Baths, ovvero l’odierna Wylie’s Baths, sono una sorta di piscina naturale nella periferia orientale di Sydney sono una costante nella vita dell’atleta, che qui incomincia il suo rapporto con il nuoto, inizia a imparare a stare a galla, per poi cimentarsi con lo stile a rana, ma il suo punto di forza rimane sempre l’Australian Crawl, ovvero lo stile libero.
Durante l’adolescenza fa della sua passione un lavoro, vincendo ripetutamente tra il 1906 e il 1909 i campionati nazionali. Il punto di svolta si ha nel 1910 quando le donne sono ammesse nel nuoto ai successivi Giochi. Così si presenta nel 1912 a Stoccolma. È la più svantaggiata fra tutte le atlete: il suo costume, infatti, è fatto di lana a mezze maniche e ha una gonna.
Nonostante ciò, ottiene il record mondiale con 1’19’’8 durante la quarta batteria di stile libero e vince la finale con un tempo di 1’22’’2. Detentrice di numerosi record del mondo nei 100 e nei 200 metri stile libero dal 1912 al 1921, nel 1967 è inserita nell’International Swimming Hall of Fame per i suoi significativi successi.

Stoccolma 1912 si apre anche al mondo femminile dei tuffi. Le donne gareggiano dai trampolini di 5 e 10 metri e in questa edizione si affermano in particolar modo le atlete svedesi. A vincere è infatti Greta Johansson (1895-1978), dalla piattaforma di 10 metri, seguita dalla connazionale Lisa Regnell (1887-1979); la terza posizione, invece, la ottiene la britannica Isabelle White (1894-1972), futura campionessa europea nel 1927 nella stessa disciplina.
In copertina: Heraia. Rappresentazione di una corsa di 160 metri su un vaso.
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Articolo di Marta Vischi

Laureata in Lettere e filologia italiana, super sportiva, amante degli animali e appassionata di arte rinascimentale. L’equitazione come stile di vita, amo passato, presente e futuro, e spesso mi trovo a spaziare tra un antico manoscritto, una novella di Boccaccio e una Instagram story!