Noi. Noi, donne – consapevoli che donne non si nasce, si diventa. Noi, fantascientiste – che a vario titolo scriviamo di fantascienza, come autrici o studiose, o su entrambi i versanti. Noi, che ci siamo scoperte comunità possibile a Flush, il Festival dell’editoria femminista tenuto a Bologna il 17 settembre, ci siamo incontrate il 19 novembre a Milano in un piccolo gruppo (Romina Braggion, Giuliana Misserville, Nicoletta Vallorani, oltre a me) nell’ambito di Bookcity per iniziativa di Mariana Marenghi, che ha promosso l’evento Fantascienza, un genere (femminile) nella piccola libreria indipendente Il Covo della Ladra, che gestisce con affabilità al civico 3 di via Scutari.

L’inizio della conversazione è toccato a me, quale autrice della serie pubblicata da Vitamine vaganti dall’agosto 2020 al giugno 2022, provvisorio punto d’arrivo. Un percorso nato dall’incontro destinico con La notte della svastica di Katharine Burdekin, che ha aperto alla scoperta e all’analisi di un genere per me nuovo, affrontato con competenze di filologa e storica, per restituire a chi legge i testi in prospettiva diacronica: un paradosso soltanto in apparenza, perché i romanzi e i racconti della fantascienza si collocano nella storia del proprio tempo, si leggono in controluce rispetto agli avvenimenti contemporanei. La scelta di privilegiare la scrittura delle donne è netta: ho avvertito, e avverto ancora, la necessità di un contro-canone non maschile; e poi, sono le donne le più interessate a cambiare l’ordine delle cose, a destrutturare stereotipi e pregiudizi, a pensare a un mondo migliore possibile per sé stesse e per l’umanità intera. Infine, questo progetto mi è caro perché mi ha permesso di coniugare una componente di divertissement (la bella avventura di iniziare una via senza sapere quale sarà l’esatto punto di arrivo, intraprendendo uno dei tanti cammini possibili, con divagazioni e imprevisti che certo potranno portare fuori strada ma anche favorire incontri provvidenziali) con la pratica dell’impegno civile. Questa pratica ha connotato tutta la mia vita e l’ho ritrovata nell’autrice che mi è più cara, Alice Sheldon, che a lungo si firmò con lo pseudonimo maschile James Tiptree jr.: «Fin da quando la situazione si è fatta seria, fin da quando ci siamo resi conto che corriamo veramente il pericolo di autodistruggerci, di bombardare, o avvelenare, o ingolfare, o soffocare a morte il pianeta, oppure – ed è la cosa peggiore – di uccidere la nostra stessa umanità con la tirannia fascista o semplicemente con la sovrappopolazione, la fantascienza è diventata il solo luogo in cui è possibile parlare di tutto questo» (dalla Nota dell’autore al racconto Her Smoke Rose Up Forever, 1974).
La parola femminile a lungo ha portato sulle spalle il peso della sottomissione – a dirlo è Giuliana Misserville, saggista e autrice del saggio Donne e fantastico. Narrativa oltre i generi, edito da Mimesis nel 2020 – tuttavia, grazie alla serie su Vitamine vaganti, è stata risemantizzata e ora è possibile riappropriarsene: grazie alla science fiction, negli Stati Uniti negli anni Settanta (con Ursula Le Guin) e in Italia negli anni Novanta (con Nicoletta Vallorani), le scrittrici si sono prese lo spazio che è stato loro possibile prendere, introducendo donne ‘reali’ nella narrativa fantascientifica e rimodulando questo spazio a propria misura. Misserville cita in proposito il saggio di Daniela Brogi Lo spazio delle donne [Einaudi 2022], che parte dall’assunto (a noi ben noto) che la memoria delle opere delle donne non ha contato e che non basta aggiungere al canone i nomi femminili: occorre invece far contare la presenza e l’importanza delle donne, che pure – sottolinea Giuliana – hanno letto moltissimo la letteratura degli uomini, dunque la conoscono e, nel caso, sanno riprodurla. E conclude con una domanda rivolta a noi amiche che con lei dialoghiamo e al pubblico presente: poiché la critica femminista ha elaborato ormai strumenti sofisticati in grado di analizzare la scrittura maschile, per riappropriarsene in un’ottica di genere, è questo il momento di dedicarci a essa? Lo ha fatto recentemente, con ottimi risultati, Rebecca Solnit in Le rose di Orwell [Ponte alle Grazie 2022]. E ancora, dove è più opportuno convogliare le nostre energie?

Un’altra domanda è quella a cui risponde Romina Braggion, narratrice e fondatrice di Solarpunk Italia – con Franco Ricciardiello, Giulia Abbate, Silvia Treves – ed è la domanda che l’ha portata a scrivere in questo specifico ambito della fantascienza. Eccola: «Perché le donne devono leggere di oppressione anche nel futuro?». Dalle ceneri della distopia, negli anni tra il 2008 e il 2010, nasce dunque questo genere in divenire, che si connota come positivo e speranzoso, aperto a traiettorie molteplici, teso a creare mondi, operare in comunità e in sinergia con soggettività altre. L’obiettivo è quello di creare una scrittura – non utopistica, il tempo dell’utopia è finito, ma di immaginazione – che sia libera da oppressioni: un cammino ancora lungo, da percorrere insieme, come comunità di femministe capaci di mettere insieme le diverse componenti del femminismo privilegiando ciò che ci unisce e non ciò che ci divide.
«Io sono un uomo. Io sono un uomo perché scrivo di fantascienza»: l’affermazione ironica e provocatoria di Ursula Le Guin è ricordata da Nicoletta Vallorani, saggista e narratrice (ultimo romanzo pubblicato Noi siamo campo di battaglia, per Zona42 nel 2022). Consapevoli che finora sesso e genere sono stati (scorrettamente) sovrapposti, come ci dobbiamo declinare come genere? come possiamo connotarci come genere? Secondo Vallorani (e credo che su questo siamo ormai tutte, o quasi, d’accordo), ragionare su una base separatista non funziona: occorre che, come donne, recuperiamo la storia della cura e della pazienza che storicamente ci connota, unita a una diversa grammatica delle parole, dei gesti e delle relazioni. La scrittura di immaginazione ci consente di farlo e l’essere donne ci avvantaggia, perché siamo abituate a tentare di eludere i percorsi codificati per costruirne altri, nelle storie che pensiamo. Prima di farle, le cose bisogna immaginarle e le donne che scrivono fantascienza hanno provato e provano a infilarsi negli interstizi di questo mondo-macchina (come pure sosteneva James Tiptree jr., alias Alice Sheldon). «Io ho vinto il Premio Urania nel 1993, per un momento di distrazione – afferma con ironia Nicoletta – forse la giuria era divisa su due autori e allora ha scelto me… ero una specie di panda!». Ma quando ci si trova in scena, e ora le donne lo sono, la scena va difesa.

Noi («dolce parola», scrisse Anna Banti), noi fantascientiste (e il cuore e la mente tornano al bel gruppo di Flush), difenderemo questa scena sulla quale ora agiamo e camminiamo insieme.
In copertina: da sinistra, Mariana Marenghi, Romina Braggion, Giuliana Misserville, Nicoletta Vallorani, Laura Coci.
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Articolo di Laura Coci

Fino a metà della vita è stata filologa e studiosa del romanzo del Seicento veneziano. Negli anni della lunga guerra balcanica, ha promosso azioni di sostegno alla società civile e di accoglienza di rifugiati e minori. Dopo aver insegnato letteratura italiana e storia nei licei, è ora presidente dell’Istituto lodigiano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.