Copenaghen è quasi una tappa obbligata per chi viaggia verso il Grande Nord nel periodo fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento. Come Stoccolma, anche la capitale danese vanta una presenza storica plurisecolare, non solo sui mari nordici ma anche sul continente europeo. In questo periodo la sua posizione è senz’altro secondaria ma, grazie al suo passato, la città esercita ancora un notevole fascino; il Paese che rappresenta, inoltre, è un esempio riconosciuto di nazione pacifica, moderna e progredita.
Come abbiamo visto negli articoli dedicati ai suoi libri, la narrativa di Maria Savi Lopez ha finalità prevalentemente didattiche; Nei Paesi del Nord, edito nel 1893 e rivolto soprattutto a un pubblico non specialistico e giovanile, costruisce il percorso verso l’Islanda grazie alla voce dell’autrice e allo sguardo dei protagonisti: due uomini adulti (il capitano Fowl e sir James), un’istitutrice di mezza età (miss Margaret), due ragazzine: Amy e Silvia, la figlia di sir John, e infine un ragazzo, Rolf, fratello di Amy. Poiché il libro è illustrato solo da qualche disegno, le immagini del viaggio sono affidate per lo più a questa narrazione corale.
Copenaghen è la prima tappa: «Bastava in quel momento guardare la costa danese per intendere che una grande città era a breve distanza, poiché molte ville apparivano in mezzo al verde; ridenti villaggi vedevansi vicino ai boschi e sui poggi, non lungi dagli stabilimenti di bagni allineati sulla spiaggia […] Finalmente apparvero ai loro sguardi le torri e i campanili di Copenaghen, […] e presto tutti giunsero nella bella città che giustamente vien detta “allegra” dai suoi abitanti». Dopo l’immagine panoramica, un efficace primo piano inquadra ora il canale di accesso, «che formava una specie di porto aperto e ammirevole». È uno dei protagonisti adulti, sir James, a spiegare la struttura della città, costruita su tante isole separate da canali «fatti in maniera che le navi possono giungere fino ad una piazza centrale chiamata Kogens-Nytow».

La visita avviene in carrozza, a partire dal castello di Rosenborg e i suoi giardini: «i nostri viaggiatori avrebbero potuto credere di trovarsi in campagna […] se non avessero veduto nei larghi viali moltissimi bambini eleganti che scherzavano, e molte signore», afferma. Nel parco il famoso scrittore H.C. Andersen è «raffigurato mentre narra uno dei suoi racconti ad un gruppo di giovanetti». Il castello dalla «strana architettura» è paragonato agli italiani: «preferisco quelli [castelli] che ho visti nella valle di Aosta, e che debbono essere più antichi di questo […] parmi che neppure la città di Copenaghen sia molto antica», afferma Silvia con convinzione.
La visita prosegue verso «il vecchio palazzo di Cristiansborg, che ergesi su un’isola vicino ai mercati ed è sede della camera e di uffici importanti» e successivamente fino al Museo delle opere di Berthel Thorvaldsen. Questo edificio «trovasi […] in mezzo a parecchi canali, e l’umidità ha assai danneggiato gli affreschi dipinti sulle sue pareti esterne» dove è rappresentato il ritorno definitivo dello scultore in patria. La monumentalità delle statue e la semplicità della tomba dell’artista, dove appare solo il suo nome, attraggono l’attenzione dei visitatori; questa volta è miss Margaret, l’istitutrice, a commentare: «Egli non ha bisogno […] di iscrizione che accenni alla sua gloria, poiché il mondo intero lo conosce, e tutti i danesi ne serberanno il ricordo finché avranno caro il nome della patria»; Thorvaldsen, conclude, rappresenta un vanto anche per l’Italia, che ha ispirato «la sua arte divina».
Terminata la parte culturale della visita il gruppo si dirige al Tivoli che, come afferma sir James, rappresenta un unicum poiché «nessun’altra città d’Europa possiede giardini pubblici simili a quelli»; sono situati sopra le antiche mura della città e la giovane Amy è talmente sorpresa da definirli «il regno delle fate». È l’autrice a descrivere i lussuosi interni: «una sala elegantissima adorna di specchi e fiori» dove i visitatori pranzano; «la grande sala dei concerti […] il teatro elegante, il caffè nazionale, colle porte bizzarre e le fantastiche torri […] il teatro chinese, i caffè, i bazars»; infine la giostra, «il grande carosello mosso a vapore, sul quale giravano gridando e ridendo uomini, donne e ragazzi». Le sorprese non sono ancora terminate perché «mentre scendeva la notte […] mutò l’aspetto del Tivoli: migliaia di fiammelle a gas e grandi lampade elettriche […] fasci di luce […] lanterne colorate sospese ai rami degli alberi […] fiamme di bengala», un’illuminazione straordinaria che accompagnerà i sogni di tutte e tutti, una volta rientrati sul piroscafo.
Elisa Cappelli visita Copenaghen di passaggio, mentre viaggia verso la Svezia nel 1898; l’illuminazione elettrica e l’asfaltatura in tutte le strade ne fanno una moderna capitale, come Vienna e Berlino, afferma. Con Ebba, la sua accompagnatrice svedese, passeggia e osserva i negozi «ricchi» delle vie principali che conducono anche queste turiste al Museo Thorvaldsen. Dopo il pranzo raggiungono il parco di Strosborg dove, da un caffè sul mare, l’autrice ammira la natura: «Un cielo alto, diafano, trasparente che si riflette nelle acque, a cui fan contorno i gruppi verdeggianti degli alberi che si perdono in distanza. Di lì passammo in una foresta immensa di faggi, ove colsi l’erba di maggio […] colla quale si fa quel grato liquore […] che seppi chiamarsi Maitrank», conclude, citando la bevanda alcolica che aveva già conosciuto a Berlino. Copenaghen riappare sulla via del ritorno, quando Cappelli vi approda da Göteborg e la definisce «la mia città prediletta».

Passano circa 25 anni prima che un’altra turista italiana descriva la capitale danese: nel 1924 è Stefania Türr ad arrivare in città con due amiche, alla ricerca di un imbarco per l’estremo nord d’Europa; si è documentata leggendo Verso il sol di mezzanotte di Mario Borsa, il giornalista italiano che nel 1897 aveva visitato la Scandinavia. Türr conferma che si tratta di una città «assai gaia», tuttavia si mostra infastidita dalla folla: «[…] li osserviamo in massa mentre passano frettolosi per le strade dando di gomito a chi ha la sfortuna di trovarsi nelle loro vicinanze e di impedir loro di far presto; preso ad uno ad uno hanno l’aria piuttosto ammusonita e sono di una lentezza esasperante quando siete voi a chiedere loro qualche cosa». L’autrice prosegue con disappunto: «Signori danesi non ne vedo. In quest’epoca l’aristocrazia è all’estero o nei proprii castelli, ma quelli che incontriamo in città non conoscono gran che dei più elementari doveri della cortesia e dell’educazione. Uomini e donne vi danno spintoni, vi urtano nello stomaco se vogliono arrivare prima di voi ad un tram o ad un’automobile, senza mai chiedervi scusa. […] Un arguto diplomatico mi diceva anni fa: -Signora non esiste più il danese, non ci sono che dei danesi raggruppati in cooperative.- Constato che aveva ragione».
Anche il traffico di Copenaghen è troppo veloce e caotico: «Le automobili passano come tante frecce, s’incrociano senza scontrarsi […] chi non è danese e non c’è abituato corre sempre il rischio d’essere investito […] Nel tratto Raadhusplatz e Fridriksberggad l’animazione è tale che sembra di essere a Londra a Piccadilly». Gli autisti, infine, non si dimostrano all’altezza delle circostanze: sbagliano sempre direzione, perché non sono in grado di interpretare lo scarso danese delle turiste italiane; la responsabilità, secondo Türr, ricade sulla loro inadeguatezza piuttosto che nella carente conoscenza della lingua da parte delle signore; infatti, conclude, un qualsiasi guidatore napoletano saprebbe condurre un inglese alla meta, anche se gli parlasse «nel più barbaro e incomprensibile italiano». L’unica nota positiva è la presenza di numerosissimi ciclisti: «C’è perfino il marciapiede per loro. Basti sapere che ci sono 350 mila biciclette» afferma ammirata, mentre «non ci sono carrozze. I cavalli vengono adibiti soltanto al trasporto delle merci».
Anche per la visita culturale alla città Türr segue il consiglio perentorio di Mario Borsa: «Se non avete molto tempo da perdere cominciate col sacrificare il Museo Thordvalsen ma non mancate di visitare la “Glittotecna” di Ny-Carlsberg»: la Ny Carlsberg Glypotek, il museo fondato nel 1888 dai proprietari delle birrerie Carlsberg, Carl e Ottilia Jacobsen, ospita più di diecimila opere contemporanee di artisti europei quali Manet, Renoir, Cézanne, Degas, Van Gogh e Gauguin e merita perciò una sosta.
Ester Lombardo arriva a Copenaghen nell’agosto 1926, al ritorno dal suo viaggio di due mesi in Scandinavia. Sempre attenta all’aspetto economico, esordisce definendola «la città più cara d’Europa» dove, nonostante le laute mance, i servizi sono caratterizzati da una generale scortesia. Come già Cappelli, passeggia osservando le vetrine ma, se la prima si limitava a commenti generici, questa viaggiatrice invece entra nel dettaglio di qualità e prezzi: «Vedo in una vetrina un cappellino per signora segnato 200 corone e per 3000, in fabbrica, un servizio da tavola per dodici delle famose porcellane di Copenaghen che non ha nulla di straordinario. I negozi belli sono pieni di roba elegante che però non si vede indosso a nessuno». Anche lei nota l’allegria che caratterizza la città illuminata nella notte: «Copenaghen è detta la Parigi del nord forse perché durante la notte rimane avvolta in un’orgia di luce elettrica che dona alla città un aspetto gaio e pieno di vita e perché d’estate al Tivoli si balla e si passeggia sino alle prime ore del mattino». Ma la capitale non ha altro motivo di fascino: «non ha nessuna particolare bellezza, è grande, sontuosa, con enormi palazzi di gusto tedesco, piena di verde, di piazze e di statue di Kristiani e di Federici […] il palazzo della Borsa è un enorme edificio strano […] la città è rumorosa, i trams scampanellano […] le automobili strombettano […] è illuminata. Questi aspetti contribuiscono a darle l’aspetto di una città di vita e di divertimento. Ma tutto è a serie, immenso, ingombrante e sa di caravan serraglio»; proprio questa enumerazione contribuisce a dare a lettori e lettrici la sensazione di una città grigia, monotona e priva di una precisa identità; così quelli che Mario Borsa e, sulla sua onda, anche Stefania Türr avevano considerato elementi di allegria vengono ridimensionati dalla giovane giornalista.
Con grande disappunto di Lombardo non esistono locali eleganti: il famoso Tivoli offre divertimenti di primo, secondo e terzo «grado» ma «il tabarin ove si ordina lo champagne è quello stesso dove si ordina la birra […] il movimento del Tivoli è da fiera». Neppure il caratteristico Lorry Feilberg Landsby Hedebostuen incontra i suoi gusti: facendo riferimento a un famoso ritrovo alle porte di Roma Lombardo lo definisce «il Bragaglia del posto, un po’ più ampio però e più ricco di decorazioni e di colore»; conclude che «qui qualsiasi cosa acquista il carattere di fiera di villaggio», perdendo le prerogative elitarie ed eleganti che dovrebbero caratterizzare i locali di una capitale europea. Infine, pure lei è impressionata dallo «sciamare delle biciclette», mezzo che tutti usano, «l’operaio e il signore, la madre di famiglia e la scolara, e chi non la possiede l’affitta»; per l’affitto «non si lascia garanzia di sorta», poiché «gente onesta è questa», conclude.
Dieci anni dopo Anna Maria Speckel è l’ultima viaggiatrice italiana a descrivere l’«elegante e gaia» Copenaghen. Anche qui, come nelle altre città, le sue impressioni si concentrano sull’architettura, ma l’accurata immagine che propone non è solo visiva e intende, invece, stabilire un contatto emotivo, creare una complicità con chi legge: «Di una sontuosità che colpisce a prima vista, ma senza imporsi […] Quasi dando ogni tanto una scrollatina di spalle coi suoi campanili leggendari e i suoi tetti verdi. Mirabile città! Anche le sue case vogliono apportare, con quel color di turchese morta o di malachite venata che sostituisce la ruggine degli embrici, una nota d’allegria all’insieme. ‘La città dai cento campanili’ e, per poco che ci si alzi al di sopra dell’agglomerato degli edifici, ecco drizzarsi ad una ad una guglie torri e cupole come frecce ad attirare lo sguardo sul monumento che sovrastano. Ecco, tra gli alberi annosi di un parco, affacciarsi il castello di Rosemberg […] Ecco in una austera piazza alzarsi la facciata grigia del Palazzo del Municipio […] e dominare un canale popolato di chiatte e barche, la sontuosa Borsa dalla guglia aguzza lanciata quasi a sfida verso il cielo. (il dio dell’oro, contro gli dei dell’olimpo nordico?). Nel quartiere universitario la ‘torre rotonda’ sbuca tra i tetti spioventi di vecchie case, mentre il castello reale di Amalienborg, in compagnia col Museo nazionale, […] si pavoneggia nel più puro rococò». Speckel si impegna a suscitare forti emozioni non solo mostrando una varietà di edifici diversi e tutti imponenti, come si conviene a una capitale, ma personificandoli: la ricchezza dei dettagli e le sfumature di colore contribuiscono a rendere l’atmosfera serena e allegra, le guglie si protendono verso il cielo, i palazzi più importanti emergono, dominando le case circostanti. Questa città animata minimizza con nonchalance la sua grandezza, «quasi dando una scrollatina di spalle», mentre gli edifici si «drizzano» per «attirare lo sguardo», le facciate si «alzano», la Borsa «domina», la torre rotonda «sbuca» tra i tetti, il Palazzo reale e il Museo «si pavoneggiano».

Attraverso lo sguardo di questa turista la Copenaghen monumentale perde la sua austerità per apparire cordiale e amichevole; inoltre «tanta severità di monumenti è alleggerita dai parchi ombrosi e fioriti che abbelliscono i diversi quartieri, dalle vie alberate, dalla poetica passeggiata lungo le rive della rada, la Lagenline; dove, tra cespi immensi di serenella (mai ne ho vista così rigogliosa e fiorita come qui) lo scultore Erick ha posto sopra uno scoglio la sua Sirenetta, inspirata alla leggenda di Andersen»: anche il simbolo della cultura danese trova posto negli spazi verdi che ingentiliscono l’area urbana della capitale. Infine il traffico intenso, già notato da Türr e Lombardo, assume un valore positivo e diventa nel resoconto di Speckel il «perfetto ordine, caratterizzato dal numero inverosimile delle biciclette».
Ammirazione per le vetrine dei negozi e stupore per la folla anonima, che non immaginavano di incontrare, caratterizzano il discorso narrativo della maggior parte delle italiane a Copenaghen; caffè e bistrot sono percepiti come locali allegri e vivaci, ma a volte anche dozzinali, «da fiera». Alcune caratteristiche qualificano la città come una moderna capitale: l’illuminazione elettrica nelle strade contrasta il buio e permette di goderne durante le ore notturne, mentre la quantità di biciclette che affolla le vie, nonostante l’intensità del traffico automobilistico, consente libertà di movimento a tutte le persone danesi, senza distinzione di genere o di classe sociale.
Copenaghen conclude l’itinerario nelle capitali scandinave delle flâneuses italiane, che hanno condiviso la loro curiosità, offerto immagini originali, incoraggiato la partecipazione emotiva, consentito a chi legge di mettersi nei propri “panni” e sperimentare situazioni inedite. L’aspetto dominante che emerge è quello di un’allegria diffusa, ma anonima e poco coinvolgente. Nel complesso, queste viaggiatrici si mantengono più distaccate dei flâneurs dalla vivacità della vita di strada: nei locali che frequentano si accontentano di ritrovare una nota di eleganza o di scoprirvi una moderata originalità; si incuriosiscono, ma non al punto di sperimentare quella “seduzione” che Benjamin attribuiva ai bistrot parigini. Nell’impatto con la massa anonima manca del tutto quel bisogno di “sposare la folla” evocato da Baudelaire: il popolo norvegese festoso all’indomani del referendum rallegra la visitatrice, che si limita però a osservarlo, mentre i danesi rimangono anonimi, quando non si trasformano addirittura in sgradevoli e inquietanti lavoratori, che si affrettano verso casa scostanti e «ammusoniti».
Nelle strade delle capitali scandinave, infine, sono del tutto esclusi gli incontri casuali. Come Virginia Woolf che, nella sua passeggiata londinese, si limitava ad affacciarsi sulle vite degli altri, anche queste viaggiatrici rimangono osservatrici distaccate, croniste estranee di una realtà altrui: un ruolo di cui non colgono i limiti o, forse, i cui limiti non desiderano oltrepassare.
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Articolo di Rossella Perugi

Laureata in lingue a Genova e in studi umanistici a Turku (FI), è stata docente di inglese in Italia e di italiano in Iran, Finlandia, Egitto, dove ha curato mostre e attività culturali. Collabora con diverse riviste e ha contribuito al volume Gender, Companionship, and Travel-Discourses in Pre-Modern and Modern Travel Literature. Fa parte di DARIAH-Women Writers in History. Ama leggere, scrivere, camminare, ballare, coltivare amicizie e piante.