«In quel momento le nostre donne, ignare del futuro, denunciavano il presente. Raccontavano delle fatiche, delle conquiste, delle minacce, dei caporali, delle delusioni, delle speranze. La più loquace era la piccola Rosetta, detta anche Rosellina: una ragazzina minuta, delicata come una farfalla, che sembrava più piccola della sua pur giovane età, ma parlava con piglio sicuro e combattivo. Nelle lotte era sempre in prima fila, accanto a Ninetta, Maria, Isa e le altre».
Donne e caporali di Gianna Caroli, pubblicato per la casa editrice Poiesis nel mese di gennaio 2022, è l’ultimo testo dato alla luce dal Laboratorio della Memoria condotto dall’Università popolare Auser di Cisternino, un pittoresco borgo situato nella suggestiva Valle d’Itria, in provincia di Brindisi. Il Laboratorio della Memoria è uno dei luoghi di incontro cittadino concepito per creare un ponte fra le generazioni e consentire un importante scambio culturale: gli uomini e le donne testimoni del tempo raccontano le loro storie e le loro esperienze, di cui si fa tesoro, producendo anche delle pubblicazioni per preservare la memoria e trasmettere la consapevolezza delle proprie radici.
Nel suo libro, la penna di Gianna Caroli raccoglie la somma di tante storie che si riferiscono a un’unica grande storia, la lotta al caporalato, raccontata con passione e commossa memoria in un libro «dedicato a tutte le guerriere che ho avuto l’avventura di guidare negli anni Settanta nella lotta dura ma esaltante contro il caporalato, con passione collettiva, senso di giustizia e… giovanile spavalderia».

Gianna ha iniziato la sua lotta per denunciare soprusi, abusi e violenze sessuali subite da donne, talvolta anche minorenni, da parte dei loro caporali. Questi promuovevano dei corsi di cucito nelle proprie case e, dopo qualche tempo, iniziarono a proporre alle giovani ragazze e alle loro madri di lavorare per loro allo scopo di guadagnare qualche soldo per potersi comprare il corredo. Le donne venivano accompagnate nelle campagne del Metapontino e del sud Barese con mezzi di trasporto inadatti al numero di persone che trasportavano: un furgoncino carico di 30 lavoratrici, trasformatosi in un pullman con cui il caporale riusciva a trasportare fino a 100 braccianti, portava donne e ragazzine verso un lavoro malpagato e sfruttato.
Per ben 12 ore di lavoro le braccianti agricole guadagnavano dalle 2.000 alle 2.300 lire, mentre il guadagno dei Caporali andava dalle 3.000 alle 4.000 lire oltre alla quota di trasporto, percepita direttamente dalle aziende. Gianna Caroli si è avvicinata a questo mondo grazie a suo padre che, nonostante le precarie condizioni di salute, continuava a occuparsi di battaglie sindacali.
L’uomo, infatti, chiedeva a sua figlia di accompagnarlo alle assemblee di contrada e lei, quasi senza accorgersene, si era ritrovata emotivamente e moralmente coinvolta nelle lotte contro il caporalato, come lei stessa racconta nel primo capitolo del libro, Guerriera per caso: «Mio padre si allettò; cogliendo nei suoi occhi una disperata richiesta di continuità sulla strada dei suoi ideali mi sentii in dovere di continuare temporaneamente (almeno così credevo) la sua battaglia».
Nonostante queste battaglie fossero a favore dei diritti e delle donne stesse, spesso Gianna fu ostacolata da queste ultime e persino dall’intera comunità, che la accusava di non mettere in luce le tante bellezze del paese ma solo le sue criticità.
Lei, infatti, aveva ormai raggiunto un notevole successo sui quotidiani locali e persino in programmi televisivi e ciò la portò a doversi imbattere anche in molteplici pericoli, come lei stessa racconta nel suo libro: «Un giorno trovai la mia famosa Fiat 600 celeste completamente imbrattata di olio ma solo in seguito ho capito che era un avvertimento mafioso: cercavano di dirmi di smetterla con le mie battaglie!»
Naturalmente, però, Gianna aveva anche guadagnato fama e fiducia da parte delle ragazze tirate fuori dalla piaga del caporalato e le donne che partecipavano alle sue battaglie erano ormai moltissime, così tante che quelle convocate per una firma in favore dello straordinario dovettero incontrarsi in un cinema anziché in un tribunale perché erano circa un migliaio!
Di questa coraggiosa avventura abbiamo parlato con l’autrice in occasione della presentazione estiva del suo libro, evento inserito nell’interessante rassegna Tramonto letterario in villa organizzata dalla biblioteca di comunità di Cisternino, fervido e infaticabile motore della vita culturale del paese.
Professoressa Caroli, ci racconta in breve la sua vita prima dell’impegno sindacale?
Nell’anno scolastico 1971-72 ero maestra di ruolo a Novara, avendo vinto il concorso magistrale in quella città. Nello stesso periodo, essendomi laureata in Pedagogia, avevo conseguito l’abilitazione in Filosofia e Storia. Mi apprestavo dunque ad avviare la carriera negli Istituti superiori.
Quale evento l’ha determinata ad avvicinarsi al Sindacato?
Mio padre si ammalò e, nonostante l’intervento chirurgico a Milano presso l’ospedale oncologico del Prof. Veronesi, le sue condizioni risultarono serie. Chiesi e ottenni il trasferimento nella Scuola elementare di Cisternino, mio paese di residenza, per supportare la mia famiglia.
Qual era la situazione del caporalato nelle campagne pugliesi negli anni ’70?
Accompagnando mio padre, sindacalista, nelle contrade locali per gli incontri con i lavoratori agricoli, scoprivo che soprattutto le donne erano sfruttate dai caporali i quali, con pullman e pullmini sovraffollati, le accompagnavano nei territori irrigati del Metapontino e del Tarantino e nei magazzini ortofrutticoli del Barese, ma taglieggiavano pesantemente il loro salario. Come donna mi sentivo coinvolta nelle battaglie avviate per fermare quel traffico disumano e così, quando mio padre venne a mancare, continuai a sostenerle e organizzarle personalmente. Gli effetti della repressione erano stati però controproducenti: bloccati i mezzi di trasporto, le donne restavano senza lavoro e perdevano fiducia nel Sindacato. Bisognava cambiare strategia.
Quali sono le persone che si sente di dover ringraziare per l’apporto dato alle battaglie che l’hanno vista in prima linea e perché?
Soprattutto Ninetta Semeraro, giovane bracciante agricola molto motivata, purtroppo deceduta proprio subito dopo la presentazione del libro di cui è indiscussa protagonista. Diventò la mia collaboratrice e la mia guardia del corpo, forte di fisico oltre che di volontà. Quando decidemmo di affrontare i caporali con le loro stesse armi, noleggiando il pullman da un’azienda locale e recandoci direttamente sul posto di lavoro, pur fra minacce e ritorsioni, Ninetta fu determinante nel condurre le donne ad acquisire consapevolezza e coraggio e diventare splendide guerriere. L’esperienza di autogestione del trasporto diventò un’esperienza pilota nella Regione Puglia. Ringrazio inoltre il Segretario nazionale della Federbraccianti Cgil Feliciano Rossitto, il Segretario regionale Franco Natuzzi e l’Avv. Volpe dello studio legale Cgil per aver creduto nelle nostre lotte, non da tutti condivise.
Cosa è cambiato e cosa deve ancora cambiare rispetto alle situazioni di un tempo?
Ora le vittime primarie dei caporali sono i lavoratori e le lavoratrici migranti stagionali. Nonostante siano state emanate leggi nazionali e regionali specifiche per contrastare la recrudescenza del fenomeno, nelle nostre campagne permangono difficili condizioni di lavoro. Per conseguire risultati concreti e duraturi restano determinanti il coordinamento fra Forze dell’ordine, istituzioni e sindacati e l’unità fra lavoratori e lavoratrici locali e straniere. Oltre a stanare i caporali, bisogna colpire le aziende che li utilizzano e premiare quelle che rispettano la legalità.
Ha mai avuto paura mentre conduceva la sua battaglia (e quella di tante donne) contro i caporali?
Sì, soprattutto di fronte alla minaccia di farmela pagare anche come donna e all’avvertimento mafioso di chi mi imbrattò l’auto di olio. Mi sostenevano però la passione democratica, la fiducia delle donne e… un pizzico di incoscienza giovanile.
C’è qualcosa che ha piacere di riferire ai lettori e alle lettrici di Vitamine vaganti che non le ho chiesto nelle domande precedenti?
Il sindacato è stata la mia palestra di vita. Ho imparato che non bisogna girare la testa dall’altra parte di fronte alle ingiustizie: ognuno, nel proprio piccolo, può e deve dare il suo contributo per un mondo più giusto e una società più equa.
Nonostante tutti gli sforzi e le rinunce che ha dovuto affrontare, Gianna è orgogliosa di non essersi mai pentita di tutto ciò che ha fatto anche se ci tiene a ribadire: «Ancora ai nostri giorni il caporalato non si può definire scomparso.Lo sfruttamento è un fenomeno sempre in agguato, basti pensare al vergognoso traffico nelle campagne del foggiano, del napoletano (e di recente anche del Lazio) ai danni degli immigrati clandestini, l’importante è saper vigilare e denunciare».
A questo proposito Azmi Jarjawi, segretario regionale della Flai (Federazione lavoratori agro industriale) e responsabile del Dipartimento immigrazione Cgil Puglia, intervenuto all’incontro di presentazione del libro, ha spiegato che oggi i nuovi schiavi del caporalato sono le lavoratrici e i lavoratori migranti impegnati soprattutto nella raccolta dei pomodori in condizioni disumane, poiché in agricoltura esiste un terreno più fertile perché si sviluppi questo fenomeno.
«Questi rapporti di lavoro – ha riferito Jarjawi – sono prevalentemente a breve termine e stagionali, si svolgono spesso in luoghi isolati e non facilmente raggiungibili e questo porta alla creazione di insediamenti informali dove non esistono servizi di trasporto, di alloggio e di un mercato del lavoro legale».
E aggiunge: «Se consideriamo anche le condizioni di ricattabilità della lavoratrice e del lavoratore immigrato, legate al suo status giuridico e di soggiorno, il caporale diventa l’unica risposta a tutti i problemi (di lavoro, di alloggio e di trasporto) in cambio di una tangente che vale la metà di un salario percepito che si aggira intorno ai 25-30 euro al giorno a fronte di 10-14 ore di lavoro, spesso in assenza di condizioni di sicurezza e di tutela dagli agenti chimici nocivi che, com’è più volte accaduto, determinano la morte straziante di molti e molte di loro. Emblematica la strage che si è consumata nell’estate del 2018, in cui 12 fra donne e uomini braccianti stagionali sono morti su una statale in territorio foggiano, per la misera paga di un euro al quintale di prodotti raccolti».
Tra le pagine del libro di Gianna Caroli troviamo anche delle belle foto in bianco e nero che ritraggono la forza, il coraggio e la determinazione delle donne lavoratrici di un paese mosso da una comune necessità, quella di rivendicare la propria dignità. Donne che hanno scritto un pezzo importante della nostra storia che la lettura di questo libro fa conoscere anche alle nuove generazioni, creando un importante ponte culturale e dando vita a un ennesimo passaggio di testimone: il coraggio di non smettere mai di lottare per l’affermazione dei diritti di tutti e di tutte, soprattutto se questi diritti continuano a essere violati e calpestati ora come allora.

Gianna Caroli
Donne e caporali
Poiesis, Alberobello, 2022
pp. 101
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Articolo di Serena Del Vecchio

Laureata in Giurisprudenza e specializzata nelle attività didattiche di sostegno a studenti con disabilità, è stata docente di discipline economiche e giuridiche e ora svolge con passione la professione di insegnante di sostegno. Ama cantare, leggere, camminare, pensare, suonare la chitarra e ha da poco intrapreso lo studio dell’arpa celtica, strumento che la aiuta a ritrovare pace e serenità interiore.