Madri e padri della Sociologia. Sociologhe in dialogo. Parte seconda

Dopo le interessanti relazioni delle docenti Rita Bichi e Maria Rocio, che potete leggere qui, il webinar Madri e padri della Sociologia. Sfide per la ricerca e la formazione sociologica è proseguito con gli interventi di Eliana Debia, dottoranda dell’Università di Buenos Aires, e di María José del Pino Espejo, docente dell’Università Pablo de Olavide di Siviglia, entrambe in collegamento da remoto.

Prende per prima la parola Eliana Debia, esprimendosi in italiano e scusandosi per una pronuncia non perfetta.

Come dottoranda si era resa conto che il programma del curriculum classico partiva da contenuti minimi, su cui però lei avrebbe potuto intervenire, nella sua docenza, con approfondimenti e così nel 2016 decise di aggiungere temi di pensatrici, anche a partire da uno stimolo arrivato da una studente di Sociologia, citata dalla prof.a Gabriela Arango (docente all’Università Paul Valéry di Montpellier), che un giorno disse: «Ho fatto fatica a trovare sociologhe nei manuali. Quasi tutti gli autori che incontriamo e studiamo sono uomini; quasi nessuna sociologa viene menzionata».

Infatti, afferma Debia, prevale un canone prettamente maschile, con grandi trattazioni su Max Weber, Kark Marx e tanti altri pensatori che compongono la Sociologia classica e questo ha sollecitato Arango a compiere una ricerca sull’immagine che gli e le studenti ricevono dall’insegnamento della Sociologia, con il risultato che proiettano l’immagine maschile recepita nel successivo esercizio professionale. Ne emerge una divisione sessuale del lavoro, per cui le donne fanno una ricerca più agita e inerente l’ambito sociale, mentre gli uomini sviluppano in seguito il lavoro più teorico, più intellettuale, e questo Arango ha dimostrato che rientra nella costruzione dell’insegnamento della disciplina sociologica. Occorre ripensare questa modalità di insegnamento, continua Debia, per ricostruire la forma con cui si insegna la Sociologia, altrimenti viene penalizzata la stessa partecipazione delle donne nei ruoli di responsabilità nei dipartimenti, in cui si trovano, per esempio, pochissime direttrici o prof.e associate. Come responsabile di un gruppo di ricerca, Debia ha quindi attuato un cambiamento nel curriculum della sua docenza, indagando in un ambito nuovo e facendo ricerca su pensatrici importanti, ma escluse dalla sociologia classica.

Dal 2020 si sono avviati collegamenti con altri gruppi di ricerca sia in Spagna che in Argentina, consolidando la necessità di conoscere meglio la questione della presenza delle studiose nella Sociologia classica. Analizzando i programmi di tutte le cattedre argentine di Sociologia, la dottoranda si è resa conto che la teoria sociologica non aveva programmi trattati con uno sguardo né femminista né di genere, praticamente con nessuna sociologa al loro interno. La ricerca ha evidenziato come vi sia mancanza di lettura dei classici con una prospettiva femminista, ossia si insegnano sociologi, perché prevalenti, ma vien meno inoltre una lettura femminista dei tanti testi di questi autori, con la necessità di sottolineare come la questione femminile e i problemi che le pensatrici hanno sollevato nel tempo, non trovano spazio e riflessione negli scritti maschili. Debia afferma che la mancanza di tutto questo corrisponde a un curriculum nullo, da leggersi come violenza simbolica, perché il problema non è solo la mancanza delle pensatrici, ma anche di tutti i problemi sociali che hanno studiato e su cui hanno ricercato. Il tentativo fatto, che si può definire “didattica eccentrica”, è stato mettere nel programma le pensatrici ma non come una forma di “quote femminili”, bensì come un dialogo fra esse e gli autori classici.

Dal 2005 a oggi la ricerca in questo senso è cresciuta, incentivando studi anche e soprattutto sulle pensatrici latino-americane, perché questa era un’area assente nella ricerca e anche nell’insegnamento.

Interviene a questo punto María José del Pino, da Siviglia, promotrice e collante della rete tra studiose e studiosi, colei che ha concretamente favorito una dinamica di dialogo. È stato proprio durante la pandemia che c’è stato un fiorire di iniziative, ricorda, con scambi di esperienze, seminari e riflessioni sulla necessità della revisione dei curricoli e sull’innovazione-docente, sia come ricerca sia come formazione. La prof.a, parlando in inglese, espone la sua esperienza, che ha prodotto, tra l’altro, dei podcast radiofonici in collaborazione con studenti, finanziati da una fondazione che ha accolto anche giovani studiosi di altri Paesi nella ricerca.
Questi i momenti salienti della produzione multimediale realizzata.

Marta Visioli, dottoranda in Sociologia, Organizzazioni, Culture, conduce la successiva discussione, occasione di scambio di esperienze e considerazioni utili per la ricerca dell’allargamento del canone sociologico. Dei diversi interventi, ricordiamo qui quello della dottoranda Sumaya Abdel Qader, che ringrazia per il seminario, tappa necessaria e importante per portare una nuova prospettiva negli studi sociologici; ma non solo, questo è considerato un tema importante perché la scarsa presenza di scienziate nei programmi ufficiali è trasversale a tutte le discipline e gli ambiti di studio esistenti, tra cui anche quello biologico, da cui lei proviene. Tante colleghe e colleghi, poi, provenienti dal mondo arabo, si sentono esclusi dalla considerazione per un contributo che possono portare anche persone di altri Paesi, donne in particolar modo, ma non solo, quindi aggiunge il tema intersezionale di cui tener conto. Se noi chiediamo un nome, afferma, di una sociologa araba, indiana o cinese, non viene in mente nulla alla maggior parte delle persone, forse in Italia è famosa Fatima Mernissi, ma più per il suo contributo divulgativo di romanzi che per il suo contributo sociologico, quindi ancor più è apprezzabile questo lavoro che cerca di mettere in connessione ricercatrici e studiose, per ampliare lo sguardo del contributo scientifico sì alle donne, ma anche alle donne provenienti da altri Paesi. Conclude dicendo di credere molto nell’importanza dell’interconnessione per ricostruire un ampio quadro di quello che esiste, perché il tema del lavoro invisibile delle donne è trasversale a tutte le discipline e a tutti i Paesi e occorre uno sforzo collettivo per andare a ritrovare e rendere disponibile il materiale di tante autrici, che hanno dato un contributo alla scienza importantissimo e non riconosciuto e diffuso.

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Articolo di Danila Baldo

Laureata in filosofia teoretica e perfezionata in epistemologia, tiene corsi di aggiornamento per docenti, in particolare sui temi delle politiche di genere. È referente provinciale per Lodi e vicepresidente dell’associazione Toponomastica femminile. Collabora con Se non ora quando? SNOQ Lodi e con IFE Iniziativa femminista europea. È stata Consigliera di Parità provinciale dal 2001 al 2009 e docente di filosofia e scienze umane fino al settembre 2020.

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