La cantante lirica Maria Labia nacque a Verona il 14 febbraio 1880 in una importante e ricca famiglia di origini nobili, che possedeva palazzi e ville a Venezia e in vari luoghi ameni della regione. Si racconta di un antenato, tale Anzolo, che nel 1742, per stupire l’aristocratico consesso fece gettare nel canale sottostante le preziose suppellettili, alla fine di un pranzo di gala, dicendo: «Che le abia o che non le abia, resto sempre un Labia!». Naturalmente la servitù aveva disposto delle reti per recuperare l’argenteria, già finita in acqua. Lo sfoggio della ricchezza non arrivava a tanto spreco…

Una omonima di Maria, altrettanto affascinante e vera mecenate amante delle arti, si pensa sia stata presa come modella dal Tiepolo per il ritratto di Cleopatra, negli affreschi del proprio palazzo principesco a Venezia. Il padre, conte Gianfrancesco, aveva sposato una donna di origini più umili, Cecilia Dabalà, ma fine musicista, cantante e futura educatrice delle sue tre figlie. La primogenita, Fausta, divenne a sua volta un grande soprano, ma la carriera finì con il matrimonio, mentre Amalia fu violinista di valore.
Maria non ebbe altra maestra che la madre che seppe formarla nel canto, nel gesto, nel portamento elegante; aveva doti innate ed era particolarmente bella, ma seppe con intelligenza dosare le sue qualità artistiche tanto da avere una carriera lunga oltre trentacinque anni, un vero record per una cantante lirica. Scelse di non avere legami fissi e non si sposò mai proprio per dedicarsi completamente alla musica, ottenendo trionfi su larga scala, in tutto il mondo, dove viaggiava accompagnata di solito dalla madre; fu pure fregiata della Medaglia d’oro per le arti, la cultura e lo spettacolo.
Maria Labia iniziò a farsi conoscere con alcune serate musicali a Verona, in età ancora assai giovanile; dopo fugaci apparizioni a Padova e a Milano, esordì trionfalmente in Russia; tra 1903 e 1904 fu a Odessa, dove incontrò il baritono Mattia Battistini (1856-1928) di cui rimase amica per tutta la vita. Proseguì le esibizioni a Riga, a Kiev e infine a Mosca dove, in un concerto, fu diretta dal celebre compositore livornese Pietro Mascagni.
Debuttò nel repertorio operistico nel 1905 nel ruolo di Mimì in Bohème di Puccini presso il Teatro Reale di Stoccolma; in Svezia si trattenne quasi un anno portando sulle scene pure Cavalleria rusticana di Mascagni, Pagliacci di Leoncavallo ed esibendosi in una serie di concerti.
Nel 1906 a Berlino conobbe il potente impresario e direttore teatrale Hans Gregor, che contribuì a farla apprezzare dal pubblico tedesco. Maria Labia in breve imparò la lingua e addirittura cantò con l’Imperatore che la scelse per accompagnare con la sua voce melodiosa il matrimonio della figlia. Fu poi a Varsavia e nelle lunghe tournée in giro per l’Europa frequentò compositori come Franz Lehar e Claude Debussy, l’attore e regista Max Reinhardt e il maestro Egisto Tango, all’epoca il più celebre direttore d’orchestra italiano all’estero, che lavorava soprattutto in Danimarca e la volle in alcune rappresentazioni. Nel biennio 1908-9 il soprano visse negli Stati Uniti e cantò in particolare a New York, alla Manhattan Opera House, e poi a Filadelfia, come protagonista di opere di Giuseppe Verdi e di Amilcare Ponchielli. In questo periodo acquistò la villa in Val di Sogno, presso Malcesine, sul lago di Garda, dove si recava appena libera dagli impegni professionali. In quelle occasioni, se le era possibile, amava esibirsi a Verona, presso il Teatro Nuovo, a lei vicino e con un pubblico particolarmente affezionato.

In seguito si recò per interpretare recital e opere liriche a Vienna, di nuovo a Stoccolma, Copenaghen, Budapest, ancora a Riga, in Russia e in Polonia; nell’occasione fu accompagnata al pianoforte dal celeberrimo Arthur Rubinstein e fu diretta dal compositore Ferruccio Busoni in persona. Ormai l’Europa e il mondo la conoscevano: era stata pure in America, a Buenos Aires, dove si era trattenuta per qualche mese. Non vi è stata opera che Maria Labia non abbia interpretato con maestria, grazie alla presenza scenica, al suo canto espressivo e sensuale, al garbo innato nei ruoli più diversi che spaziavano dal drammatico al brillante; lei stessa evitava le parti meno congeniali alla sua voce, ma in realtà furono poche, tanto che, nell’autobiografia, afferma, un po’ sul serio un po’ scherzando, di non aver fatto torto ad alcun compositore, scomparso o vivente.
Finalmente, la diva, ormai apprezzata ovunque, debuttò al Teatro alla Scala di Milano il 16 novembre 1912, come protagonista dell’opera Salomè di Richard Strauss, che riprese l’anno seguente all’Opéra di Parigi sotto la direzione dello stesso autore, e in Francia lavorò per due stagioni; quindi a Praga fu diretta dal compositore Ermanno Wolf-Ferrari, mentre di lì a poco, di nuovo a Mosca, interpretò la Thaïs di Jules Massenet.
Nel 1916 Maria Labia rientrò in Italia ed ebbe la sventura di essere imprigionata nel carcere di Ancona dove rimase dal maggio di quell’anno sino al giugno del 1917: era stata accusata di spionaggio a favore della Germania, a causa di assurdi sospetti, nel clima rovente della Grande guerra; viaggiando ovunque per l’Europa, frequentava infatti, per motivi esclusivamente artistici e professionali, molti personaggi di origine tedesca, sia del mondo culturale sia del mondo politico-economico; durante il processo risultò del tutto estranea ai fatti e fu prosciolta.

L’artista riprese la vita di sempre anche se quell’esperienza la segnerà profondamente e verrà ricordata con grande dolore. L’11 gennaio 1919 debuttò al Teatro Costanzi di Roma, in prima europea, nell’opera Il tabarro, alla presenza del suo autore, Giacomo Puccini, nel ruolo della protagonista femminile Giorgetta, che rimarrà un suo cavallo di battaglia. L’opera aveva visto la prima edizione al Metropolitan di New York, l’anno precedente.
In questa fase della carriera il soprano si impegnò nell’allargare il proprio repertorio, pur assai vasto: fu la volta del Matrimonio segreto di Domenico Cimarosa, di Madame Sans-Gêne di Umberto Giordano e di Falstaff, sotto la bacchetta esigente di Arturo Toscanini, che le era già stato maestro in altre occasioni. Andò nuovamente a Varsavia, poi a Odessa, ritornò a Riga e a Mosca, proseguendo con successo le sue esibizioni. A 56 anni decise di chiudere la carriera in bellezza con il ruolo di Felice nella commedia lirica I quatro rusteghi di Ermanno Wolf-Ferrari, tratta dal celebre testo goldoniano; il compositore le fece l’onore di dirigere il suo addio alle scene visto che quella parte era stata assai congeniale all’artista tanto da averla interpretata un numero infinito di volte.

Facendo il punto sul suo percorso artistico è facile notare come davvero il suo repertorio fosse vario e vasto e comprendesse opere e personaggi diversissimi fra loro: era un’affascinante e sensuale Carmen nell’opera omonima, che normalmente è un mezzo-soprano, poi era la dolce Mimì, la drammatica Tosca o la conturbante Salomè; spaziava dalla grande tradizione lirica italiana di Verdi e Puccini al Verismo, dalle finezze settecentesche alle musiche d’oltralpe, valorizzando pure la produzione contemporanea. Un caso interessante riguarda ad esempio il ruolo di Marta, la protagonista del dramma musicale Terra bassa (Tiefland) del tedesco di origini scozzesi Eugen Francis Charles d’Albert (1864-1932), musicista autodidatta e pianista leggendario, opera oggi dimenticata che tuttavia eseguì con enorme successo per oltre 500 repliche nei teatri di tutto il mondo.
Maria Labia, preparandosi al suo futuro lontano dai palcoscenici, generosa verso le nuove generazioni di cantanti, aveva fondato nel 1930 una scuola per giovani interpreti e per vari mesi l’anno si spostava a Varsavia per seguire allieve e allievi; dal 1934 invece si trasferiva per lunghi periodi a Roma dove era impegnata per le lezioni presso l’Accademia musicale di Santa Cecilia; talvolta dava lezioni pure a Malcesine. In questa fase della sua vita dette alle stampe vari volumi dedicati alle tecniche di canto e di respirazione.

Una curiosità a margine: nel 1941 partecipò nel ruolo della Badessa al film tratto da antiche storie fiorentine Il re d’Inghilterra non paga per la sceneggiatura e regia di Giovacchino Forzano, realizzato nei primi stabilimenti cinematografici italiani, quelli della Pisorno di Tirrenia (Pisa), fondati nel 1933.
Il grande soprano amava scrivere ogni giorno qualche pagina di diario e, ovunque si trovasse, raccontava le proprie giornate, gli impegni, lo studio, gli incontri, descriveva i teatri e i luoghi che visitava: così nel 1950 decise di far pubblicare l’autobiografia Guardare indietro: che fatica! (Frammenti di memorie), uscita a Verona, presso Bettinelli, con la prefazione del giornalista e commediografo Arnaldo Fraccaroli e la posfazione del drammaturgo Renato Simoni.
Qui con garbo e ironia ricostruisce la sua lunga e splendida carriera ricordando con gratitudine il ruolo avuto dalla madre e dalle sorelle nell’avviarla verso il successo. Maria Labia si spense a Malcesine, dove riposa, il 10 febbraio 1953. Nel Castello del paese, che si affaccia magnificamente sul lago di Garda, una sala porta il suo nome. Nel 2019 in suo onore è stato organizzato un triplice concorso internazionale, sia di canto lirico sia per esecuzioni al pianoforte e al violino, proprio a Malcesine, a cura del Comune, della Provincia, della Regione e dell’Associazione solisti laudensi, giunto nel 2022 alla quarta edizione; fra le vincitrici un premio speciale viene assegnato ogni anno al miglior soprano.
Molte informazioni sono state reperite sul sito curato da Giancarlo Volpato (L’angolo dei profili veronesi); altrove le notizie su Maria Labia sono estremamente sintetiche e lacunose e purtroppo non risulta possibile ascoltare la sua voce per mancanza di documentazione reperibile su internet. Sembra che esistano tuttora delle registrazioni grazie a vecchi dischi, presso collezioni private.

In copertina: un disco con la voce di Maria Labia. Collezioni private.
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Articolo di Laura Candiani

Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume Le Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.