Soprattutto grazie al libro di Alberto Moravia La ciociara (1957) e alla successiva trasposizione cinematografica del 1960 con la regia di Vittorio De Sica, le violenze perpetrate sulle italiane dai goumier del Corpo di spedizione francese, durante la Seconda guerra mondiale, furono diffuse e passarono alla storia come le cosiddette “Marocchinate”.
Tali violenze, però, non si verificarono solo nella zona di Frosinone ma partirono dalla Sicilia ed arrivarono fino in Toscana: e questo è meno noto. Ricordiamo a tal proposito il prezioso lavoro di Marinella Fiume con Le ciociare di Capizzi e quello curato da Simona la Rocca Stupri di guerra e violenze di genere. Oltre alle “Marocchinate”, altre violenze si perpetrarono sui corpi delle donne in quel conflitto, violenze definite “Mongolate”.
Molto nebulosa è questa terribile storia. Ancora più difficile ricostruirla.
Durante l’inverno del 1944 l’Oltrepò pavese e le Valli liguri furono macabro teatro di stupri a danno delle donne di quella zona da parte dell’armata “mongola” dell’esercito tedesco. Tra la fine del 1941 e l’estate del 1942, dopo l’assedio di Leningrado, i comandi tedeschi organizzarono una Legione composta da prigionieri sovietici che, per sfuggire alla morte o per ideologia, si allearono con i nazisti. Il 20 aprile del 1942 venne formata la Legione Turkmena, inserita nella 162^ divisione dell’esercito tedesco. Ne facevano parte uzbeki, azerbaigiani, tartari, kirghisi, georgiani e calmucchi chiamati “finti mongoli”. La maggior parte aveva quindi tratti fisionomici asiatici. Appena giunsero in quella zona d’Italia, seminarono il terrore tra la popolazione. Bruciavano le cascine, ammazzavano gli animali e violentavano le donne con l’intento di dissuadere la popolazione a coprire o portare aiuto alle bande partigiane. Erano soldati abbrutiti dalla prigionia, cui il comando tedesco concedeva piena libertà d’azione. Alcune testimonianze riportano che spesso in questo comando si infiltravano anche dei tedeschi e dei fascisti che camuffavano i loro tratti somatici per unirsi alle truppe soprattutto durante gli stupri di gruppo.
I primi episodi di violenza sessuale avvennero il 23 novembre 1944 nella zona del Pavese. Qui si trovava l’unità di Polizia denominata Sicherheitsabteilung. Il nome denota come questa unità fosse sotto stretto controllo tedesco anche se in organico annoverava il tenente colonnello Alberto Guidi Alfieri, che non batté ciglio contro queste violenze. In seguito gli succederà Felice Fiorentini che sarà ancora più tollerante nei confronti delle violenze sessuali sulle donne, soprattutto se colpevoli di essere mogli di partigiani. Di queste storie non c’è traccia negli Archivi di Stato, ma fortunatamente sono rimaste a noi le carte e i diari di alcuni parroci della zona. Monsignor De Tommasi, parroco di Broni scrive nel suo diario: «Corrono voci di gravi violenze a giovani donne da parte di truppe germaniche comprendenti uomini di ogni nazionalità, già primi prigionieri di guerra […] Le gravi voci vengono confermate da una circolare segreta inviata dall’autorità agli ospedali in cui si autorizzano aborti per far scomparire le prove della violenza». E ancora dal diario del parroco Don Giovanni Zeppa: «Repubblichini di Zavattarello facevano da guida a tedeschi e mongoli diretti a Ruino. Nelle ore 13 del 23 novembre 1944 oltre duecento tedeschi, 100 mongoli, 25 spie italiane asservite ai tedeschi, piombano direttamente sulla frazione di Ruino… orge notturne, sparatorie di civili, sevizie di donne, fanciulle, persino bambine da parte dei mongoli. Nel mattino del 24 novembre ho trovato in sacrestia della parrocchia, un mucchio di mutandine femminili di povere creature seviziate nella notte».
Lo storico Michele Tosi riporta un’altra testimonianza: «Nella scuola del paese viveva la maestra e sua sorella… l’insegnante si oppose alla brutalità dei soldati che avevano invaso la sua abitazione e questi per vendetta la costrinsero a sedersi sulla stufa arroventata».
Tutte queste testimonianze sono riportate nel libro Stupri di guerra e violenze di genere a cura di Simona La Rocca.
A Cornaro (oggi frazione di Coli, comune in provincia di Piacenza) donne e bambini superstiti furono costretti a fuggire e a rifugiarsi a Piscina dopo un combattimento tra un battaglione nazista e alcune postazioni partigiane. I mongoli avevano rapito molte giovani donne e le avevano brutalmente stuprate.
A Pei (oggi frazione del comune di Zerba in provincia di Piacenza) i soldati mongoli, insieme ad alcuni graduati tedeschi, non trovando le donne giovani che si erano rifugiate nei boschi, iniziarono a violentare tutte le anziane e anche le donne in avanzato stato di gravidanza.
A Rocchetta Ligure neanche le monache di un convento furono risparmiate e proprio in quel paese, all’Ospedaletto “Val Borbera”, furono accolte le vittime degli stupri.
Il calvario di molte di queste donne continuò anche alla cessazione del conflitto. Era meglio tacere che essere emarginate. Era meglio tacere per cercare di dimenticare. Ma come può una donna dimenticare quell’orrore? Tante giovani si rinchiusero nel silenzio perché delle violentate si diceva fossero «state maneggiate dai mongoli che sono marci».
E del resto, nei resoconti o nelle descrizioni degli uomini, padri e mariti, lo stupro risalta come un oltraggio, un attentato all’onore, alla verginità. Gli uomini trovarono parole diverse per descrivere quello che era successo. Le donne, invece, le parole non le trovarono, perché non esistevano parole per descrivere la ferocia subita.
Le donne rimasero mute, intente a recuperare in silenzio i cocci dei loro corpi e delle loro menti straziate.
In copertina: fotogramma dal film La Ciociara, 1960.
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Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) nel corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici, Donne disobbedienti e Il labirinto delle perdute.