Il patriarcato, come ben sappiamo, ha inciso profondamente sia nel tessuto sociale che nella lingua italiana. La parola patriarcato, di origine greca, trasmette il concetto della “legge del padre” indicando il predominio dell’uomo sia nell’ambito privato che in quello pubblico. Il significato letterale è comunque mutato nel tempo ma lo scorrere dei secoli non ne ha cancellato le tracce.
La lingua italiana oggi comunemente utilizzata veicola ancora un’immagine maschile del mondo, pur essendo cambiato il ruolo della donna all’interno della nostra società. Facendo un, estremamente sintetico, excursus storico ci accorgiamo di come il patriarcato abbia influito tantissimo sul processo di esclusione dall’istruzione e dalla cultura del genere femminile. Già nell’epoca greca e successivamente in quella romana, venne codificata la divisione dei ruoli femminili e maschili e addirittura si teorizzò che la differenza biologica si traducesse in un’automatica inferiorità della donna.
Con l’avvento del Cristianesimo la situazione peggiorò. Nel Medioevo alle donne era precluso lo studio della grammatica greca e latina e di conseguenza non potevano accedere ai testi classici di Storia, Filosofia e Letteratura. L’istruzione non era contemplata tra i requisiti per diventare una buona moglie o una buona madre. Lo spazio assegnato dalla società era quello delimitato dalle pareti domestiche, dove si parlava una lingua “povera”. Questo valeva per le donne di qualsiasi estrazione sociale. È questo il periodo in cui iniziarono a proliferare una serie di “manuali pedagogici”, scritti ovviamente da uomini, che dispensavano consigli su come dovesse comportarsi una donna virtuosa. I consigli arrivarono anche a definire come dovesse vestirsi e truccarsi a seconda delle occasioni. Si consigliava come la gestualità femminile non dovesse mai essere eccessiva, come dovessero apparire sobrie anche nel mangiare e nel parlare quando era loro concesso. Si tentò addirittura di imporre il velo sul capo delle donne sposate. In questo periodo si affermò il concetto della donna come “sesso debole”, una donna che doveva essere custodita, nascosta, rinchiusa, protetta a causa della sua presunta fragilità.
Qualcosa iniziò a cambiare fra il Quattrocento ed il Cinquecento con la pubblicazione di più testi scritti in volgare. Le donne ebbero così un accesso più agevolato alla lettura, ma resterà immutato il pensiero che era opportuno escluderle dall’accesso all’istruzione. Ciò continuerà ancora per diversi secoli, dal Rinascimento all’Illuminismo ma le eccezioni aumenteranno, fin quando le donne, nell’Ottocento, iniziarono a riappropriarsi della lingua italiana e alcune diventarono autrici di romanzi o saggi letterari. I critici letterari, nella maggior parte dei casi, le definirono un esercito di scribacchine.
La cultura patriarcale man mano che accennava a sgretolarsi, le colpiva duramente nell’uso del linguaggio e nella ferma opposizione all’esercizio di alcune professioni. All’inizio del Novecento, nella nostra nazione, alle donne era vietata l’attività forense, basti citare Lidia Poet, la prima donna a laurearsi in Giurisprudenza nel Regno d’Italia il 17 giugno 1881, a cui venne negato, per ben trentasette anni, l’esercizio dell’attività.
Per ciò che concerne l’insegnamento, non dobbiamo dimenticare che fino agli anni Quaranta si prevedeva l’esclusione delle donne all’insegnamento di alcune materie. L’avvento del Fascismo proibì con il Regio Decreto 1054/23 la Direzione delle scuole medie e secondarie e con ulteriori decreti fu proibito l’insegnamento della Storia, della Filosofia e dell’Economia.
Nicola Pende, uno scienziato che sosteneva le leggi razziali fasciste, così scriveva: «Sappiamo che il cervello femminile non è per natura sufficientemente preparato per le carriere delle scienze, della matematica, della filosofia, dell’ingegneria, dell’architettura». Ed ancora Loffredo, un teorico fascista, nel suo trattato Politica della famiglia precisava: «La donna deve ritornare sotto sudditanza assoluta dell’uomo, del padre e marito; sudditanza e quindi inferiorità spirituale, culturale ed economica» e consigliava di vietare l’istruzione professionale delle donne e concedere solo quella che poteva servire per forgiare «un’eccellente madre di famiglia e padrona di casa».
Con la parità fra i sessi sancita dalla Costituzione, entrata in vigore il primo gennaio 1948, la cultura del patriarcato sarebbe dovuta scomparire definitivamente ma ciò non è avvenuto. Basti ricordare che solo nel 1963, con la legge n. 66, alle donne fu finalmente permesso l’accesso alla professione di magistrata e la carriera prefettizia.
Purtroppo, ancora, nel 2022, quei retaggi si aggirano come fantasmi non solo nella vita reale, politica, sociale e lavorativa delle donne ma anche nella lingua italiana. Ad una descrizione negativa della figura femminile hanno sicuramente contribuito le frasi che uomini, cosiddetti illustri, hanno pronunciato nei confronti delle donne. La loro fama e autorevolezza ha trasformato quei concetti in dogmi, poco scalfiti dallo scorrere del tempo.
Eccone una breve elencazione:
«Tua moglie non sia troppo dotta» (Marziale, Epigrammi).
«Mulier cum sola cogitat male cogitat» (Publio Siro, Sentenze).
«La donna è la porta dell’inferno» (Tertulliano, De cultu feminarum).
«C’è un principio buono che ha creato l’ordine, la luce e l’uomo, e un principio cattivo che ha creato il caos, le tenebra, la donna» (Pitagora).
«L’uomo è a capo della donna» (Paolo di Tarso, Lettera ai Corinzi 11,3).
«Oggetto necessario la donna per preservare la specie» (Tommaso D’aquino, Commentari).
«Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo. Poi Eva; e non fu Adamo a essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione con modestia» (San Paolo, Prima lettera a Timoteo).
«Le donne non dovevano imparare né a leggere né a scrivere, se non per diventar monache, perché dal leggere e dallo scrivere delle donne molti mali sono venuti» (Filippo da Novara).
«Femmina è cosa garrula e fallace: vole e disvole; è folle uom che se ‘n fida» (Torquato Tasso, Gerusalemme Liberata).
«È bene dunque che la donna faccia altre cose e non si impegni nello studio della scienza e della matematica, che le sono innaturali» (Giovanni Keplero).«La donna è mobile/qual piuma al vento/muta d’accento/e di pensiero/sempre un amabile/leggiadro viso,/in pianto o in riso/è menzognero» (Giuseppe Verdi, Rigoletto).
«Dio s’è fatto uomo e va bene. Il diavolo s’è fatto donna» (Victor Hugo).
«La maggior parte delle donne non ha carattere» (Alexander Pope, Saggi Morali).
«Vai a donne? Non dimenticare la frusta» (Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra).
«La donna è una proprietà che si ottiene con un contratto; è un bene mobile, poiché il possesso ne è titolo, infine la donna, propriamente parlando è solo un addentellato dell’uomo» (Honorè de Balzac).
«Le ragazze che sanno di Lettere resteranno zitelle per tutta la vita, quando sulla Terra ci saranno uomini di buon senso» (Jean-Jacques Rousseau, Emile).
«La donna sarà sempre il pericolo di tutti i Paradisi» (Paul Claudel, Conversations dans le Loir-et-Cher).
«Le donne in verità hanno soltanto due passioni: vanità e amore. E queste sono le loro caratteristiche universali» (Lord Chesterfield, Lettere al figlio).
«Per una fanciulla ma anche per la donna, non deve affatto ritenersi naturale e adeguato lo studio della matematica» (Jean-Jacques Rousseau).
«Se una donna medico fa ripugnanza, una donna notaio fa ridere, una donna avvocato spaventa» (Ernest Leugovè, Historie morale des femmes).
«L’uomo per il campo e la donna per il focolare; l’uomo per la spada e lei per l’ago; l’uomo con la testa e la donna col cuore; l’uomo per il comando e la donna per l’obbedienza; tutto il resto è confusione» (Alfred Tennyson, La principessa).
«I libri succhiano gran parte del cervello delle donne, che già ne hanno poco in dotazione» (Abate Adronius, Colloquia).
«Compete al marito, secondo la convenienza della natura, essere capo e signore, compete alla moglie, e sta bene, essere quasi un’accessione, un compimento del marito, tutta consacrata a lui e dal suo nome dominata» (Antonio Rosmini).
«La donna è in un certo modo verso l’uomo ciò che è il vegetale verso l’animale o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostenta da sé» (Vincenzo Gioberti).
«Un’Olimpiade al femminile? Non sarebbe pratica, interessante, estetica e corretta. Sulle donne ai Giochi rimango contrario» (Pierre de Coubertin).
«La donna è del marito, ed è quel che è, in quanto è di lui» (Giovanni Gentile) «Se concediamo diritti alle donne, perché non farlo anche con gli animali? » (Thomas Tylor).
«Le donne non sono altro che organi genitali articolati e dotati della facoltà di spendere tutto il denaro che uno possiede» (William Faulkner, Zanzare).
«Che tu sia benedetto, o Dio nostro Signore, re dell’universo, per non avermi fatto nascere schiavo. Che tu sia benedetto, o Dio nostro Signore, re dell’Universo, per non avermi fatto nascere donna». (antica preghiera del mattino dei maschi ebrei).
Si potrebbe obiettare che queste massime appartengono ormai “ad un mondo che fu”, ma il malefico riverbero di queste perle di saggezza ci raggiunge ancora. Basti citare un articolo del quotidiano Il Foglio dell’1 Settembre 2010 a firma di Camillo Lagnone: «Genitori che avete una figlia in età da Università: se volete nipotini che vi tramandino e che la realizzino, risparmiate sulle tasse universitarie e regalatele un bel vestito».
Ogni commento è superfluo.
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Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) nel corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici, Donne disobbedienti e Il labirinto delle perdute.