Nel loro periodo di formazione giovanile, le donne Medici ricevettero una raffinata educazione, ben oltre quella che si concedeva allora alle ragazze: le lingue straniere e quelle classiche, la poesia, la letteratura del passato e del presente, le scienze, il disegno, l’arte; anche l’educazione musicale, lo studio del canto, delle composizioni e degli strumenti musicali rivestirono un ruolo importante nella loro crescita umana, culturale e politica. L’atmosfera culturale che respirarono negli ambienti familiari aiutò ad arricchire la loro erudizione e a creare un fertile terreno di coltura capace, nel tempo, di alimentare e rinnovare quel clima, reso prezioso e unico anche grazie all’apporto significativo delle nobildonne che nella dinastia medicea giunsero attraverso il matrimonio; a loro volta le Medici destinate, per alleanze matrimoniali, a spostarsi in altri contesti svolsero importanti azioni di diffusione della cultura musicale e, nel caso di trasferimento in Stati stranieri, furono protagoniste nel promuovere la musica italiana e i suoi e le sue protagoniste all’estero. Molte si dimostrarono sensibili e attive committenti e protettrici di musiciste e musicisti, collezionarono strumenti musicali di gran pregio, spartiti e libretti d’opera, alcune di loro si rivelarono anche valenti nella pratica musicale.

Isabella de’ Medici, figlia di Eleonora di Toledo e Cosimo I, allevata fin da piccola al bello, all’arte e alla cultura, cantò e compose madrigali. Lieta vivo et contenta è il titolo dell’unica composizione giunta fino ai nostri giorni, i cui versi recitano: «Dapoi che ‘l mio bel sole/Mi mostra chiari raggi come suole/Ma così mi tormenta/S’io lo veggio sparire/Più tosto vorrei sempre morire». La nobildonna toscana protesse Maddalena Casulana, ritenuta la prima compositrice ad aver pubblicato i propri brani musicali, la quale ricambiò l’attenzione e l’aiuto dedicandole l’edizione del Primo libro de’ madrigali a quattro voci, commissionatole proprio da Isabella e che venne pubblicato a Venezia nel 1568.
Nel breve testo della dedica la musicista rivendicò coraggiosamente il proprio ruolo professionale e quello delle altre sue colleghe mettendo in discussione la presunta superiorità intellettuale maschile: «[…] io vorrei […] di mostrar anche al mondo (per quanto mi fosse concesso in questa profession della Musica) il vano error de gl’huomini, che de gli alti doni dell’intelletto tanto si credono patroni, che par loro, ch’alle Donne non possono medesimamente esser communi». Durante il periodo di reggenza, Cristina di Lorena e Maddalena d’Austria ebbero piena consapevolezza del loro ruolo di donne di potere e utilizzarono l’arte e la musica come strumenti di sostegno e conferma del peso politico raggiunto. Nel palazzo della Crocetta, dove visse la “malcomposta” Maria Maddalena de’ Medici, crearono le condizioni culturali di una seconda corte, fuori da palazzo Pitti, che ospitò concerti, spettacoli teatrali e rappresentazioni musicali messe in scena dalle migliori personalità artistiche del tempo tra musiciste/i, poete/i e cantanti già regolarmente impegnati per la dinastia; in alcuni casi le opere messe in scena, soprattutto le sacre rappresentazioni, furono composte dalle stesse suore.


I libretti avevano come protagoniste eroine bibliche o figure di sante il cui valore spirituale e umano, raggiunto per volontà divina, diventava metafora del ruolo politico femminile incarnato in quegli anni dalle due granduchesse reggenti.

Sia Cristina di Lorena che Maria Maddalena d’Austria protessero cantanti e musiciste, tra queste la compositrice Francesca Caccini, detta La Cecchina, attiva già molto giovane nell’ambiente mediceo. Probabilmente il suo esordio come cantante avvenne nel corso dei festeggiamenti per le nozze tra Maria de’ Medici e Enrico IV re di Francia nell’ottobre del 1600, quando si esibì con il “concerto Caccini”, un complesso vocale e strumentale formato dal padre Giulio, musicista alla corte medicea, dalla sua seconda moglie Margherita Benevoli della Scala, dalla sorella minore Settimia e talvolta dal fratello Pompeo.
Poco tempo dopo i sovrani di Francia invitarono il gruppo a corte e per Francesca fu un tale successo che il re e la regina chiesero di potersi avvalere ancora del talento della cantatrice, proponendo al padre Guido di lasciarla a Parigi alle loro dipendenze; ma la corte fiorentina reclamava il rientro del “concerto Caccini” al completo e anche Francesca dovette tornare in Italia. Il suo rapporto con la famiglia Medici proseguì negli anni e la giovane cominciò a ricevere uno stipendio fisso mensile per la sua attività di musicista, di esecutrice, di collaboratrice negli allestimenti teatrali, di compositrice. Maria Maddalena d’Austria le commissionò le musiche per l’opera La liberazione di Ruggiero dall’isola di Alcina, tratta dal libretto di Ferdinando Saracinelli ed eseguita per la prima volta nel 1625 nella villa di Poggio Imperiale, dimora prediletta dalla granduchessa austriaca. Per questa composizione Francesca Caccini è considerata la prima donna ad aver creato musica per un melodramma.
Fu protetta della corte di Toscana anche la pittrice e cantante Arcangela Paladini che, grazie all’interessamento di Cristina di Lorena, ebbe la possibilità di ricevere la formazione artistica e canora nel monastero fiorentino di Sant’Agata. Pure Maria Maddalena d’Austria fu una sua estimatrice e protettrice e, dietro sua richiesta, Arcangela dipinse il proprio Autoritratto conservato agli Uffizi, l’unica opera che ha tramandato le fattezze dell’artista.

La giovane Arcangela lasciò il convento di Sant’Agata all’età di vent’anni per sposare il ricamatore fiammingo Jan Broomans, anche lui al servizio della Granduchessa austriaca. Un matrimonio forse pianificato dalla stessa nobildonna e interpretabile come un’ulteriore forma di tutela nei confronti della giovane artista che, senza un marito accanto, avrebbe avuto una vita sociale e professionale più difficile ed esposta a riprovazione e malignità.
La stima e l’apprezzamento dei contemporanei accompagnarono la carriera di Arcangela Paladini. In un resoconto edito a Firenze nell’aprile del 1619, il poeta e drammaturgo Jacopo Cicognini testimoniò il suo personale e «ammirabile stupore» dopo aver ascoltato la voce della cantante e, desiderando che «di sì degno & inusitato spettacolo se ne stabilisca memoria», descrisse l’esibizione di Arcangela. Era il 2 aprile di quell’anno, nel pieno dei riti pasquali, e nella cappella privata della granduchessa Maria Maddalena, alla presenza della corte, «la signora Arcangela Paladini Brohomans […] con sì graziosa e devota maniera rappresentò con l’attione e col canto Santa Cecilia, che se è lecito il dirlo, credo, che ciascuno in quel punto credette che quella stessa Vergine fusse apparita in quel santo Oratorio à chiamarne al Paradiso, perciocchè non solo col suono di voce veramente Angelica, ma con gesti e movimenti sovr’humani esprimeva le parole e concetti spirando tal’hora da gli occhi sollevati in alto purissimi raggi d’humiltà e di devozione, tal’hora infiammata nel sembiante pareva che ardesse di Serafico amore e secondo che la materia del canto richiedeva: tal’hora se li rimirava la fronte d’una santa letizia serena e scintillante: di maniera che con dolce forza imprimeva ne’quori qualunque affetto sì vivamente che gli Ascoltanti, attoniti, remembravano rapiti fuori di se stessi».
Furono numerose le esibizioni di Arcangela Paladini per la corte fiorentina, ma la sua brillante carriera fu breve. Il 18 ottobre 1622 la «Cantatrice della Serenissima» si spense all’età di ventisei anni. Maria Maddalena d’Austria le fece erigere, nel portico della chiesa di Santa Felicita, un elegante monumento funebre nel quale il ritratto marmoreo dell’artista, al di sopra di un sarcofago nero, è affiancato dalle raffigurazioni allegoriche della pittura e della musica. In basso l’epitaffio scolpito ricorda come Arcangela, che «cantò per i sovrani di Etruria, ora canta a Dio. Veramente alunna di Pallade, essa eguagliò Pallade con l’ago, Apelle con i colori, col canto le Muse».
Nel particolare clima culturale e musicale della Crocetta si formò anche la giovane Anna de’ Medici, figlia di Maria Maddalena d’Austria e Cosimo II. Fu mecenate e protettrice di artiste e artisti insieme al marito Ferdinando Carlo, arciduca d’Austria e conte del Tirolo, a sua volta figlio di Claudia de’ Medici che, anni prima, aveva trasformato il volto culturale e artistico di Innsbruck. Ad Anna vennero dedicate due creazioni musicali dal compositore barocco Pietro Antonio Giramo, Il Pazzo con la Pazza e uno Hospedale per gl’infermi d’Amore. Raccontando in modo scherzoso le possibili e molteplici forme della follia amorosa, il musicista introdusse nella composizione una figura femminile di nome Anna i cui «potenti sguardi degli occhi […] possono curare tutte queste infermità di follia fantasiose e vani desideri del cuore umano».


Il riferimento agli occhi taumaturgici servì al musicista, probabilmente attivo in quel periodo a Firenze, per celebrare la giovane Anna, avendo tutto l’interesse a elogiare lei e la famiglia granducale che lo ospitava a Firenze. Anna de’ Medici ricevette intorno alla metà del XVII secolo un’altra dedica, questa volta dalla celebre compositrice e cantante Barbara Strozzi che le destinò i Sacri musicali affetti Opus 5, la sua unica raccolta di opere religiose, il cui pezzo più intenso ed espressivo, Mater Anna, mostrava chiari riferimenti alla arciduchessa del Tirolo. Sensibile all’omaggio, Anna de’ Medici ricambiò il gesto con preziosi doni, un cofanetto e un pendente entrambi d’oro e decorati con rubini. Di questo scambio di gesti cortesi rimane la testimonianza di Antonio Bosso, uomo di fiducia del duca di Mantova e Monferrato Carlo II di Gonzaga-Nevers. Bosso scrisse da Venezia una lettera in cui informava il suo padrone che «Barbara Strozzi dedicò all’Arciduchessa di Spruc una parte di quelle sue musiche a quell’Altezza, e li ha mandato a donare l’altro giorno uno scattolino d’oro adornato di rubini con il suo ritrato, et un gallano da petto pur d’oro con rubini, ci che la detta Signora si preggia, e ne fa pompa, ponendo il gallano in mezzo alle sue belle tettine (oh che tette!)».
Barbara Strozzi fu legata anche a Vittoria Della Rovere, colta appassionata di musica, alla quale dedicò il suo Primo libro di madrigali nel 1644. Un’opera, come scrisse la compositrice nella dedica, «che, come donna, troppo arditamente» aveva realizzato e che intendeva porre «sotto una Quercia d’oro» per proteggerla «da i fulmini dell’apparecchiata maledicenza» che troppo spesso colpiva le creazioni artistiche femminili. È da poco tempo che le ricerche storiche hanno cominciato a evidenziare la posizione di mecenate e committente della granduchessa Vittoria, ruolo a lungo rimasto nell’ombra del marito Ferdinando II e soffocato dai malevoli giudizi storici sul suo presunto bigottismo. Cresciuta nel colto ambiente della nonna Cristina di Lorena e della suocera Maria Maddalena d’Austria, fin da bambina sviluppò l’interesse per la musica vivendo nel clima ovattato ma raffinato del palazzo della Crocetta. Recenti studi ipotizzano che la sua educazione musicale sia stata seguita da una maestra d’eccezione come Francesca Caccini e ciò spiegherebbe il profondo amore per la musica che si dispiegò in varie forme.


Nel suo ruolo di mecenate e committente Vittoria Della Rovere appoggiò e protesse numerose «cantantrici» come Anna Lisi, Margherita Pesci e Margherita Signorini, figlia della stessa Francesca Caccini; possedette numerosi e preziosi strumenti musicali che servirono per esecuzioni private e che, probabilmente, lei stessa si dilettò a suonare. Nella sua biblioteca personale, che comprendeva volumi di letteratura classica e contemporanea, matematica, storia, politica e arte di governo, testi devozionali, biografie di sante/i e di esemplari figure femminili, non mancarono i libretti di opere in musica, alcune delle quali dedicate alla stessa granduchessa. A lungo rimaste nell’ombra dei potenti mariti, dei fratelli, dei figli, le donne del casato mediceo sono ora oggetto di importanti studi che mettono in luce le loro scelte intellettuali e le attività di promozione culturale, ritenute utili strumenti per assicurarsi autorevolezza personale e prestigio dinastico. Nel ruolo di committenti e mecenati, le nobildonne Medici diedero vita a forme di “matronage” in cui riuscirono a coinvolgere altre aristocratiche in Italia e in Europa e, attraverso una fitta rete di corrispondenze, di scambi di informazioni, di raccomandazioni, furono capaci di garantire a musiciste e artiste un sistema di protezione e promozione culturale al femminile.
Per saperne di più:
Patricia Adkins Chiti, Almanacco delle virtuose, primedonne, compositrici e musiciste d’Italia, De Agostini, Novara 1991.
Barbara Belotti, Le Medici, Le Storie di Toponomastica femminile, Roma 2020.
Janie Cole, “Self-fashioning in early Seventeenth-Century Florence: music-theatre under the Medici women”, in G. Calvi e R. Spinelli (a cura di), Le donne Medici nel sistema europeo delle corti, tomo II, Edizioni Polistampa, Firenze 2008, pp. 1000-18.
Laura Donati (a cura di), Con dolce forza. Donne nell’universo musicale del Cinque e Seicento, Edizioni Polistampa, Firenze 2018.
Antonella D’Ovidio, “Sul mecenatismo musicale di Vittoria della Rovere, Granduchessa di Toscana: alcune considerazioni, in C. Bacherini, G. Sciommeri e A. Ziino (a cura di), Firenze e la musica. Fonti, protagonisti, committenza, Istituto italiano per la storia della musica, Roma 2014, pp. 283-311.
Ilaria Hoppe, “Uno spazio di potere femminile. Villa del Poggio Imperiale, residenza di Maria Maddalena d’Austria”, in G. Calvi e R. Spinelli (a cura di), Le donne Medici nel sistema europeo delle corti, tomo II, Edizioni Polistampa, Firenze 2008, pp. 681-9.
Versi Sacri cantati nella cappella della serenissima Arciduchessa d’Austria Gran Duchessa di Toscana del signor Ottavio Rinuccini, Firenze 1619.
In copertina: Madrigale Lieta vivo et contenta composto da Isabella de’ Medici.
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.