Serve un altro ardito esercizio di fantasia.
Della costruzione posseduta da Antonia Caenis, liberta e concubina dell’imperatore Vespasiano, che l’archeologo Rodolfo Lanciani ha collocato dove ora sorge il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, restano alcune porzioni di mosaico. Fino a qui nulla di strano se non fosse che ciò che resta della dimora viene conservato in un luogo davvero inaspettato. Per vederla infatti bisogna entrare in un supermercato, al numero civico 6 di via Nomentana (in copertina), dove tra uno scaffale e l’altro una spessa lastra di vetro protegge l’antico livello pavimentale. È per questa donna della Roma antica la seconda targa commemorativa immaginaria.

Ha percorso molta strada Antonia Caenis ‒ Cenide ‒ per trasformarsi da schiava a “quasi moglie” dell’imperatore Vespasiano. Era stata istruita fin da piccola a svolgere i lavori di ufficio, aveva imparato a leggere, le erano state insegnate la calligrafia, la scrittura cifrata, la stenografia, l’aritmetica, che le consentiva di occuparsi della contabilità e, per molto tempo fu al servizio di Antonia Minore, nipote di Augusto, incaricata di copiare la sua corrispondenza. Sembra che Cenide avesse una memoria di ferro, parlasse un ottimo latino e conoscesse il greco riuscendo a esprimersi bene anche in questa lingua. Per svolgere tutti questi incarichi all’interno della corte imperiale non serviva solo saper leggere e scrivere, era necessario avere la dote della discrezione, saper conversare in modo appropriato, muoversi in modo elegante e silenzioso. Divenne ben presto una persona di fiducia di Antonia Minore e gli storici antichi ricordano che fu lei a scrivere la lettera (o a impararne a memoria il contenuto) con cui l’augusta padrona metteva in guardia l’imperatore Tiberio sul complotto ordito da Seiano.
Essere al servizio della corte imperiale poteva costituire un privilegio ma comportava anche molti rischi, sempre col pericolo di ascoltare conversazioni compromettenti, di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, di restare invischiati in trame e congiure. Cenide seppe muoversi con discrezione negli ambienti di palazzo, osservando la realtà della corte con occhio vigile, garantendo con un rigoroso silenzio la sua fedeltà.


Immaginiamola raggiungere l’aristocratica Antonia negli ambienti della casa della suocera Livia, dove viveva, pensiamola mentre attraversa le gallerie sotterranee di collegamento, mentre percorre i lunghi corridoi tenendo ben stretti a sé la tavoletta per gli appunti e il contenitore di legno per lo stilo, i suoi strumenti di lavoro. Quante cose avrà ascoltato e quante cose avrà visto, serbandole tutte nella mente. Questa lealtà le valse la libertà: il suo nome, Antonia Caenis, indica che Cenide fu liberata da Antonia, anche se ignoriamo quando. Entrò così a far parte della famiglia imperiale Claudia godendo di privilegi che poche altre persone riuscirono a ottenere.
Nonostante ciò sappiamo poco della sua vita e non abbiamo ritratti; non si conoscono né la sua data di nascita (probabilmente alla fine del principato di Augusto) né il luogo (sembra nella lontana Istria dove, narra la leggenda, Vespasiano le dedicò l’anfiteatro di Pola).


Sappiamo però che divenne l’amante di Vespasiano forse quando era ancora in schiavitù. Il legame fra loro fu forte e intenso e quando Vespasiano rimase vedovo volle Cenide al suo fianco. Non poterono sposarsi, a un uomo di rango era proibito avere per moglie una ex schiava, ma Cenide visse con lui come fosse una moglie, seguendolo nei viaggi, ascoltando le sue confidenze, condividendone i pensieri e le preoccupazioni, consigliandolo, sentendosi amata e apprezzata anche dopo la nomina a imperatore. Solo una volta, narra Svetonio, subì l’oltraggio di uno dei figli di Vespasiano, Domiziano, che manifestò il suo disprezzo porgendole la mano da baciare.
La sua casa sulla via Nomentana probabilmente fu una dimora elegante e raffinata, dotata anche di un complesso termale e questo avvalora l’ipotesi che nel tempo Cenide fosse diventata ricca, la sua vicinanza all’imperatore certo l’aiutò. Ebbe al suo servizio schiave e schiavi e fu una buona padrona come ricorda l’epigrafe sull’ara rinvenuta nei pressi della sua villa e dedicatale dal suo liberto Aglao: «Agli Dei Mani di Antonia Caenis, liberta di un’Augusta, ottima patrona, il liberto Aglao, con i figli Aglao, Glene e Aglaide».


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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.