Lene Gammelgaard è stata la prima donna scandinava a raggiungere la vetta dell’Everest. Prima di lei Stacy Allisson prima americana e Rebecca Stephens la prima inglese.
Nel suo libro Il mio Everest, Lene non si limita a raccontare la cronaca della sua impresa ma mette in evidenza sentimenti, emozioni, dubbi, paure di questa sua scalata che definisce nuda e cruda come una scalata alla vita: «L’ignoto, l’intatto, erano ciò che cercavo quando la zingara e l’avventuriera che sono in me desideravano sfuggire alle limitazioni della vita quotidiana».

Quando nel 1996 riuscì nell’impresa, il successo fu offuscato dalla tragedia: cinque compagni di cordata persero la vita durante una forte bufera che li travolse nel percorso. Un’esperienza terribile per la scalatrice che dichiarò di avere imparato la lezione per cui la natura non può essere mai controllata dall’uomo ed esiste una commistione di magia e paura che ha accompagnato nel tempo tutti i tentativi di raggiungere la vetta più alta del mondo, la montagna che i Tibetani chiamano Madre della Terra. «Nella cosiddetta zona della morte, sopra i 7900 metri, bisogna sapere e soprattutto accettare che scalare queste quote è questione di sopravvivenza: può rivelarsi un’esperienza straordinaria ed estremamente gratificante, ma non si sfugge al fatto che la morte è sempre in agguato». Lene sin da ragazzina era stata una bambina ribelle che metteva a dura prova la pazienza dei genitori mettendo in discussione norme e conformismo sociale. Crescendo ha dichiarato che spesso il suo essere donna era considerato un limite per le sue imprese da scalatrice. Lei non ha mai avvertito questi limiti e caparbiamente ha fatto quel che desiderava, quello che sentiva giusto per lei. Dopo la pubblicazione del suo libro, in Danimarca, Lene è diventata un modello di riferimento per tante ragazze che desiderano seguire sogni meno convenzionali di quelli che la società o i familiari vorrebbero imporre. Lei ha sempre amato la montagna, la natura selvaggia in cui si sente a proprio agio e dopo ogni scalata si sentiva un essere umano migliore, più responsabile e piu forte ad affrontare le fatiche e l’imprevedibilità della vita. È nata così la sua vocazione ad aiutare bambine e bambini Sherpa.

«Credo che la vita vada vissuta pienamente, esplorata ventiquattr’ore al giorno. Non si può rimandare sempre la realizzazione delle proprie aspirazioni più nascoste. Bisogna inseguire la propria meta e avere il coraggio di perseverare, persino di fronte alla sconfitta. La capacità di imparare dalle sconfitte, e di crescere nonostante tutto, è parte fondamentale di qualsiasi tentativo, qualunque sia il vostro sogno».
Questa la sua grande lezione.
Dalle vette dell’Everest ci spostiamo al deserto del Tenerè in Sahara. Carla Perrotti è stata la prima donna ad attraversalo. Prima donna anche ad attraversare il deserto africano Kalahari, suo anche il primato di essere stata la prima persona ad attraversare in solitaria il Salar de Uyuni in Bolivia.
Nata a Milano nel 1947 ha partecipato a innumerevoli spedizioni esplorative in molti luoghi del pianeta, dall’Amazzonia alla Nuova Papua Guinea. Ha sempre dichiarato che compie queste imprese non per un senso di sfida verso se stessa o verso la natura ma per «il senso di appagamento e di pace che provo nelle mie traversate solitarie, nonostante le fatiche e le sofferenze… sento il bisogno di solitudine in grandi spazi aperti, la necessità di vivere a contatto stretto con la natura».

Oltre ad aver realizzato diversi documentari naturalistici per la televisione italiana, ha scritto un libro Deserti che ha dedicato a tutti i giovani che hanno scelto di dedicarsi alla protezione dell’ambiente, nel rispetto di tutti quei popoli che, veri protagonisti della natura, chiedono di continuare a vivere secondo le loro tradizioni. Con queste parole racconta il suo incontro con il popolo boscimane: «Questa gente ha un concetto di tempo molto diverso dal nostro, non sembrano attribuire molta importanza al trascorrere delle ore… non si vede mai nessuno girare intorno con l’espressione annoiata, ma ciò che più colpisce è la serenità che traspare dai loro volti… non solo le donne si dedicano ai bambini ma tutto il gruppo si preoccupa di intrattenerli a turno nel corso della giornata e anche gli uomini partecipano… per i boscimani i bimbi non sono figli solo dei genitori naturali ma appartengono a tutti e ogni membro della comunità si sente responsabile della loro educazione. Con tristezza penso a gran parte dei nostri bambini circondati da costosi giocattoli…mentre passano ore, da soli, davanti la televisione… è raro sentire i bambini boscimani piangere e credo che non sappiano cosa siano i capricci». I boscimani sono quasi sempre in viaggio, non hanno luoghi fissi di residenza. Quando invecchiano e diventano un peso per la comunità si ritirano in una capanna e la morte li coglie dopo pochissimi giorni, nonostante abbiano acqua e cibo.
Quando Carla Perotti chiede come mai sia possibile morire così rapidamente, arriva subito la risposta: «I boscimani non possono stare da soli, lontani dal gruppo. Allora hanno sviluppato questa incredibile facoltà: si autoinducono la morte, abbreviando le loro sofferenze e quelle dei compagni». In Deserti sono raccontati anche gli incontri con i Tuareg del Sahara che non si identificano né in una razza né in una nazione e in molte tribù il matriarcato governa usi, costumi e abitudini.
Un’altra bellissima impresa narrata è quella dell’attraversamento del Salar de Uyuni: «miliardi di cristalli che rimandano la luce rompendola in una piccola infinità di raggi accecanti… nulla intorno per ricordare una qualsiasi presenza di vita… diecimila chilometri quadrati di sale bianchissimo… ed io, una piccola donna sperduta nell’immensità di questi spazi».
Una piccola donna che ha compiuto imprese straordinarie.
In copertina: Carla Perotti, la regina delle dune.
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Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) nel corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici, Donne disobbedienti e Il labirinto delle perdute.