«Quasi cento disgraziate donne urlanti come furie»: così il giornale L’amico del popolo definì, il 24 aprile 1915, le abitanti della Val Di Bisenzio, che con le loro grida avanzavano nella manifestazione pacifista organizzata dalla Lega Laniera di Vaiano per ribadire il loro no alla partecipazione dell’Italia alla Grande guerra. Ma quelle voci, come la storia ci ha insegnato, rimasero inascoltate, così come le voci di altre donne che, dal Sud al Nord della Penisola, si opponevano fermamente a quel futuro di lutti, di strazi e di miseria. Tantissime italiane non volevano sacrificare alla patria i figli cresciuti nel proprio ventre, i mariti, i padri, i fratelli e i fidanzati.
A nulla valsero le innumerevoli proteste: l’Italia entrò in guerra il 24 maggio del 1915. C’è una storia in particolare che ci narra di questa lotta femminile ed è proprio quella di Teresa Meroni e delle lavoratrici del settore tessile.
Teresa Meroni, arrivò in Toscana proprio nel 1915. Era nata a Milano nel 1855 in una famiglia di operai e sin da giovanissima aderì al Partito Socialista e intraprese varie battaglie per difendere i diritti di lavoratori e lavoratrici. Sentimentalmente si legò a Giovan Battista Tettamanti, sindacalista a capo del movimento operaio di Como. Un legame scandaloso per quei tempi perché non ufficializzato da un matrimonio.
Teresa era forte, coraggiosa, determinata, una donna che non aveva timore a esprimere le proprie idee e a perseguire i propri ideali. Quando il compagno venne eletto Segretario della Lega Laniera di Vaiano, si trasferì insieme a lui in Toscana. In questa terra trovò terreno fertile per poter continuare a nutrire le proprie idee. Le toscane si erano già rese protagoniste di varie manifestazioni e rivolte e avevano redatto un manifesto in cui si opponevano al “macello” dei loro uomini per la gloria della patria. Con Teresa instaurarono subito un solido rapporto di sorellanza. La chiamavano Teresina e lei diventò un punto fermo di riferimento. Il 19 Maggio del 1915, sei giorni prima dell’entrata dell’Italia nel conflitto mondiale, Teresa fu tra le organizzatrici di un grandioso sciopero contro la guerra e la sua voce tuonò in un comizio a Vaiano.
Giovan Battista Tettamanti, ovviamente, con l’avvento della guerra fu costretto a partire per il Fronte e Teresa lo sostituì immediatamente assumendo la guida della Lega Laniera di Vaiano: non era mai successo che una donna occupasse quel posto, anche perché lei non aveva neanche avuto un incarico nel Direttivo della Lega, come del resto nessun’altra.
I mesi passavano, il conflitto non si risolveva e Teresa continuava la sua attività di pacifista con sempre più slancio e ardore, come si evince dalla denuncia di un Commissario, datata 19 luglio 1917, che la accusava di «catechizzare le donne e indurre i ragazzi a fare una dimostrazione contro la guerra».
In Val di Bisenzio, come in ogni altro luogo d’Italia, i morsi della fame e la miseria si abbattevano sugli abitanti. Il costo delle merci raddoppiava e da più parti si vociferava che il raccolto dei cereali sarebbe stato requisito. Scenari catastrofici si profilavano all’orizzonte. Le leggi si facevano sempre più restrittive limitando sempre più la libertà di parola e a rendere ancora più disperata la situazione era l’arrivo quotidiano e copioso di telegrammi che annunciavano morti e feriti tra parenti e conoscenti. Sempre in quel funesto anno vennero chiamati alle armi i ragazzi della classe 1899: giovanissimi e senza alcuna preparazione militare.
In questo desolante quadro, Teresa e le donne toscane continuavano a protestare e a ribellarsi. Tra il mese di gennaio e quello di luglio del 1917, nelle campagne che circondavano Pistoia, migliaia di donne provenienti da Agliana, Larciano, Montale, piccoli comuni in provincia di Pistoia, organizzarono proteste al grido di “Abbasso la guerra”, erigendo barricate contro i cavalleggeri che tentavano di sedare i tumulti. La stessa cosa fecero tante altre donne di innumerevoli borghi toscani.
Il primo maggio del 1917, le contadine di Lamole, piccola frazione di Greve in Chianti, si organizzarono in una marcia sventolando bandiere e gridando “Guerra alla Guerra”. Un mese dopo, quando già iniziavano a circolare le terribili notizie provenienti dal Fronte Russo, a Carmignano, in provincia di Prato, più di duecento donne si radunarono sotto il Municipio chiedendo al sindaco di sospendere la produzione di esplosivi del dinamitificio Nobel. Da quella fabbrica, infatti, partiva l’approvvigionamento di dinamite dell’esercito italiano. Quel luglio del 1917 fu un mese rovente non solo per il clima estivo.
A Lucciana, un borgo montano dell’alta Val di Bisenzio, centinaia di contadine e mezzadre organizzarono una rivolta. Vennero arrestate e condotte in prigione.
Nel vicino comune di Vernio gli animi delle donne erano in fiamme e con le fiamme minacciavano di dar fuoco al palazzo del Comune. Misero tutti all’erta facendo suonare le campane, estromettendo il parroco dalla sua chiesa. Quest’ultimo, chiamato a testimoniare dichiarò: «Era un’eccitazione di animi tale che diede origine a un’incomposta manifestazione contro la guerra». La protesta divampava ovunque: le operaie delle fabbriche dell’Alta Valle di Bisenzio scesero per dare manforte a quelle della Bassa Valle.
Tutte queste donne erano come un fiume in piena tracimante che neanche i cavalleggeri arrivati da Prato riuscirono a fermare. Tre giorni dopo, il 5 luglio, a Carmignanello, oggi frazione del comune di Cantagallo in provincia di Prato, riuscirono a tagliare un filo del telegrafo come atto di sabotaggio. Alcune di loro vennero denunciate e dai documenti degli archivi si legge: «Le donne suddette, mentre ritornavano da Vaiano, sempre a gruppi, in località chiamata fosso di Gricigliana, approfittando che vi fosse un palo assai inclinato, tagliarono in più punti il filo telefonico della linea Cantagallo-Vaiano, con lo scopo evidente di impedire alle autorità comunali di richiedere la presenza della forza pubblica».
A Vaiano, il paese in cui abitava Teresa, in quei giorni c’era un fermento indicibile: partì da lì una catena di scioperi delle operaie delle fabbriche del territorio che si estese in tutta la valle. I carabinieri di stanza nel paese cercarono di arginare le proteste e un delegato di pubblica sicurezza denunciò Teresa come la promotrice di quei disordini. Chiamarono rinforzi e finalmente arrivò un drappello di altri trenta carabinieri. Le donne non si fecero intimorire, nonostante “la carica della forza pubblica”, resistendo con il lancio di sassi e con le ingiurie; li apostrofavano come “bucaioli e vigliacchi”. Un giovane tenente sguainò la sua sciabola ma le donne non arretrarono di un passo e allora, confuso e intimorito, rimise la sciabola nel fodero e con gesto sprezzante gettò un pugno di monete verso Teresa: era un gesto per considerarla una prostituta. Con prontezza di spirito Teresa gli rispose che avrebbe utilizzato quel denaro per comprare da bere e brindare alla salute delle donne. Altre dimostrarono il loro coraggio e la loro determinazione in quei frangenti. Sono arrivati fino a noi i nomi di Tecla Burdassi e della figlia Natalina Quercioli poco più che ventenne. Vennero accusate di assembramento, di protesta contro la guerra e di oltraggio al delegato di pubblica sicurezza. Arrestate, Natalina fu condannata a soli tre giorni di carcere in considerazione che era stata, secondo le autorità, plagiata dalla madre e trascinata nella protesta. A Tecla invece furono comminati 21 giorni di carcere. Vennero arrestate anche Erina Brachi, le sorelle Teresa ed Elvira Denti (condannate rispettivamente a 24 e a 17 giorni di carcere) e Maria Polidori.
Tutte queste notizie sono giunte sino a noi grazie alle ricerche effettuate da ricercatori e ricercatrici e dalla Fondazione Cdse per la realizzazione della pubblicazione 1917 Donne in marcia contro la Guerra. Maria aveva preso parte a quelle proteste con il cuore gonfio di pena: quella maledetta guerra le aveva portato via per sempre il fidanzato. Venne arrestata anche la giovanissima Rosa Cecchi di soli 14 anni che scontò dodici giorni di carcere. Teresa Meroni fu condannata a tre mesi di prigione e a sessanta lire di multa. Le manifestazioni di protesta non si fermarono e continuarono per tutto l’anno. Niente e nessuno poteva fermare la condanna della guerra di quelle donne. Il 16 febbraio del 1918 Teresa venne allontanata con un foglio di via da Vaiano. Passò i restanti giorni, fino alla fine del conflitto, a Castelnuovo di Garfagnana. Riuscì a rientrare in Val di Bisenzio nel gennaio del 1919 ricongiungendosi con Tettamanti ritornato, nel frattempo, sano e salvo dal Fronte. A maggio di quell’anno scrisse sulla rivista Il Lavoro: «Saranno le donne che diranno alla borghesia: basta oscurantismo, basta ignoranza, basta pregiudizi, basta GUERRA».
Teresa morì a Como nell’ottobre del 1951. Il suo unico figlio aveva perso la vita nella Seconda guerra mondiale. In Toscana ci sono alcune vie che portano il suo nome come a Prato, Vaiano e Firenze. Nella Prima Guerra Mondiale dei circa 680.000 soldati che persero la vita, 4.000 provenivano dalla Toscana. E a quelle donne pacifiste e inascoltate non restò che piangerli. È giunto il tempo di ricostruire queste storie di proteste femminili pacifiste, di divulgarle e di tramandarle.
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Articolo di Ester Rizzo

Giornalista, laureata in Giurisprudenza, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) nel corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici, Donne disobbedienti e Il labirinto delle perdute.