Editoriale. Una finta sul ring

Carissime lettrici e carissimi lettori,

da un pugno possono nascere le carezze dei fiori. Lo hanno fatto le donne. Anzi, una donna: Irma Testa. Oggi ha venticinque anni, ma sul ring è salita a dodici. Irma Testa, classe 1997, è nata a Torre Annunziata, una delle cittadine campane martoriate dall’edilizia feroce, come tante altre realtà locali cresciute a dismisura, pericolosamente, sotto il Vesuvio, un vulcano tanto silente quanto minaccioso. Oggi Irma è campionessa mondiale di pugilato, con un titolo guadagnato su un ring a New Delhi. Con la categoria peso piuma si è conquistata per la sua leggerezza nello stare sul ring, con i suoi 167 centimetri di altezza e i 57 chili di peso, il soprannome di Butterfly, farfalla: «Leggera come una farfalla pungente come un’ape» si è detto di lei.

Sembra che Irma abbia fatto della sua vita la contrapposizione agli stereotipi creati contro le donne. Con la forza, è il caso di dirlo, di una finta sul ring, per ricalcare la grande musica di Gianna Nannini. 

Campionessa a combattere nello sport, Irma Testa è la ragazza cresciuta “a pane e ring” che in pochi anni ha vinto tanto. Prima azzurra, apripista, del pugilato al femminile a partecipare ai Giochi olimpici di Rio (2016, quarto posto, appena fuori dalla premiazione) è salita sul podio a Tokyo (2021) conquistando la medaglia di bronzo, risulta vincitrice in Europa e sarà la futura promessa italiana di Parigi. Appena qualche giorno fa (il 25 marzo) Testa, nella capitale indiana, si è imposta sulla kazaka Karina Ibragimova (verdetto 5-0) con la quale si è salutata alla fine con un calorosissimo abbraccio. Un inno alla femminilità.

Già questo la promuove campionessa. Ma Irma Testa non si è fermata, e ha conquistato vittorie anche nella vita privata, al di là delle corde del ring. Ogni volta un passo avanti, coraggiosa. Appena dopo la medaglia olimpica ha, infatti, compiuto il suo coming out raccontando al mondo la sua omosessualità: «Per molti l’omosessualià è ancora una imperfezione e ai campioni invece si chiede di essere perfetti, con questa medaglia mi sento più protetta – ha detto alla stampa –  Ora che la Irma atleta è al sicuro, la Irma donna può essere sincera». 

Dunque non è solo un’apripista appassionata, e con risultati eccellenti, di uno sport rigorosamente al maschile, ma alla sua giovane età è una donna coraggiosa e matura. La box da sempre ha fatto fatica a imporsi nella sua versione femminile. Seppure si fanno risalire le sue origini al XVIII secolo (con Elizabeth Wilkinson) è nata ufficialmente molto tardi. Addirittura nel 1995 con il primo combattimento negli Usa. Il pugilato è stato da sempre appannaggio degli uomini. Dedicato agli uomini che per principio (e diremo per stereotipo) sono nominati come appartenenti al sesso forte e unici depositari della capacità di tirare pugni, dalla strada al ring, escludendo di fatto il cosiddetto gentil sesso che, proprio in quanto tale, non potrebbe esprimersi in un modo non opportuno. 

Irma non ha mai nascosto nulla di sé alla sua famiglia: «La prima volta che mi sono innamorata di una ragazza ho aspettato un pochino, per vedere che non fosse un fuoco di paglia, e poi l’ho detto a mia mamma. Non avevo nemmeno 16 anni. Lei l’ha presa con naturalezza. Pensavo non potesse capire, e invece ha capito. Mi ha detto: se sei felice, per me va bene. Non credo che lei la pensasse così in partenza – a Torre Annunziata, dove è cresciuta lei, e pure io, la mentalità non è aperta – ma penso che abbia allargato i suoi orizzonti per amore mio. E questo suo mettersi in discussione mi commuove».

Si dice che i bambini e le bambine sono innocenti. Eppure tanti e tante bambine sono in carcere. Condannate/i dai reati commessi dalle loro madri, spesso anche reati minori. Una situazione terribile, perché i/le bambine/i devono, per diritto, socializzare, vivere in un ambiente salubre, vedere i parenti e chi li/le ama. Era arrivata la soluzione, tutto sembrava essersi risolto con la creazione di case-famiglia dove le madri potessero abitare con le figlie e figli. Ma all’improvviso il disegno di legge è stato ritirato. I numerosissimi emendamenti presentati hanno stravolto il significato originario. Nessuno si azzarderebbe a difendere un borseggio e chi lo ha messo in atto. 

«Un paese che rifiuta il reato di tortura e che costringe i bambini a stare in carcere con le mamme, per lo più accusate di reati minori (la popolazione femminile in carcere non arriva al 5% del totale), pur di non far scontare la detenzione in case protette, non è un paese civile. Ma come stanno davvero i bambini dietro le sbarre?» si chiede Luisa Betti Dakli direttrice di DonnexDiritti e autrice della video inchiesta in cui è approfondito l’argomento, Il carcere sotto i tre anni di vita, andato in onda dieci anni fa eppure sempre attuale, su Rainews24, oggi visibile in 4 puntate su DonnexDiritti Network You Tube.
«Mai più bambini in carcere è detto più volte scrive Nolite, su un quotidiano on line di Ravenna Molte norme sono state introdotte fin dal 1975 per lo più inefficaci e comunque mai applicate e non finanziate dallo Stato, come gli Istituti a custodia attenuata o le case-famiglia protette. Attualmente ci sono 17 bambini di età inferiore a un anno che vivono insieme alle loro 15 madri detenute e possono rimanere in carcere fino ai 3 anni. La necessità è quella di lavorare caso per caso per trovare soluzioni adatte, anche perché i dati mostrano che le donne si macchiano di reati meno gravi degli uomini e quindi hanno diritto a misure alternative al carcere. E chi fa appello alla recidiva come criterio di esclusione dai benefici penitenziari o è in malafede oppure nasconde la realtà». Lo spiega bene Susanna Marietti, coordinatrice dell’associazione Antigone: «Se uno conosce veramente la composizione sociale delle nostre carceri sa bene cos’è la recidiva. Non grava sui delitti più efferati, ma è una caratteristica tipica della piccola e piccolissima criminalità, di piccoli reati da strada legati alla povertà, alla tossicodipendenza. Queste donne hanno bisogno di essere prese in carico dai servizi sociali, non hanno bisogno del pugno duro dello Stato. L’affermazione secondo la quale il ritiro della proposta di legge possa fermare il vergognoso sfruttamento della gravidanza da parte di borseggiatrici e delinquenti (ministro Matteo Salvini) è umiliante per una donna. Vuole insinuare che una donna si fa mettere incinta per continuare a rubare in strada? Queste donne delinquono perché non hanno alcuna struttura di welfare su cui contare. La recidiva è un segno quasi sempre di marginalità e non si combatte con uno Stato dal pugno duro. Se cominciassimo a ragionare su una seria politica della casa, del lavoro, di politiche sanitarie adeguate, di integrazione della popolazione rom, invece che a pensare di risolvere tutto con il carcere, sono certa che le cose cambierebbero». (Marietti, presentazione del primo rapporto sulle donne detenute in Italia dell’Associazione Antigone).
La sofferenza, ma anche la maturità e la presa di coscienza dei fatti che accadono dimostrata spesso dai e dalle più piccole tra noi, ci insegnano che dobbiamo imparare tanto da loro. Su un social ho trovato un post di Labodif che ricordava un fatto accaduto nel settembre del 2021. Succedeva in Afghanistan e un ragazzino dichiarava al mondo: «Senza mia sorella a scuola non ci vado!» Come protesta, anche questa attualissima, della chiusura alle ragazze della cultura e, quindi, della scuola. Come in Afghanistan così in Iran. Non bisogna mai stancarsi di ripeterlo e di ricordarlo! «Era settembre 2021. In Afghanistan i talebani proibivano alle bambine di frequentare la scuola. In solidarietà, diversi ragazzi si erano rifiutati di andare a scuola. Sui social è partita la campagna #withoutmysisteriwillnotgotoschool: Oggi non sono andato a scuola per mostrare il mio disaccordo con i Talebani e per protestare contro il divieto alle ragazze di andare a scuola. I talebani non sono cambiati: Non mi presenterò a scuola finché non saranno aperte anche le classi femminili, ha detto così uno studente intervistato dal Wall Street Journal. E con lui tanti altri. Nel periodo 1996-2001, le scuole femminili erano state chiuse e alle donne era stato vietato lavorare. Ora, con l’attuale governo, il Ministero delle donne è stato trasformato in Ministero per la Prevenzione dei vizi e la promozione delle virtù». «C’è un profondo valore simbolico nel trasformare un ministero delle donne e per le donne in un ministero degli uomini per controllare le donne», ha detto in un tweet Obaidullah Baheer, docente presso l’Università americana dell’Afghanistan. Quanto è importante che i giovani uomini e gli uomini prendano parola, non stiano zitti. Là come qua».
La scuola come luogo dell’educazione al rispetto. Un preside di una scuola di Firenze (di nuovo un’eccellenza!) ha permesso a due ragazze di fede musulmana di recitare le preghiere del mese di Ramadan dedicando a loro la classe durante il tempo della ricreazione, mentre i compagni e le compagne di studio erano fuori nei corridoi. La decisione ha provocato il dissenso di molte persone. Ma anche questo dirigente scolastico ha dato esempio di apertura e civiltà rispondendo a chi gli ricordava l’assenza di simboli cristiani: «Non viene meno la laicità – ha precisato –  non abbiamo aperto nessuna moschea a scuola. E io non sono certo per la scuola confessionale. La nostra scelta vuole essere un segnale di rispetto alla pluralità nel campo religioso. Ci sono già forme di attenzione in questo senso, si pensi agli studenti di religione ebraica che non vengono interrogati il sabato alla Maturità». Un gesto di inclusione. In seno alla laicità che deve essere prerogativa della scuola di tutti e tutte.
Un augurio finale a Liliana Cavani (classe 1933) alla quale Venezia ha dedicato il Leone d’oro alla carriera. Con film come Il portiere di notte (1974), lo stupendo Francesco (1989), La pelle (1981) dal libro di Malaparte e Al di là del bene e del male (1977) ci ha regalato arte vera.
Un saluto caro invece a un grande giornalista che ci ha fatto conoscere personaggi importanti di questo pianeta e lo ha fatto senza adulazioni, con la semplicità di chi sta parlando con un uomo o una donna simile agli altri uomini e alle altre donne. Gianni Minà, che se ne è andato il 27 marzo (all’età di 84 anni). Lo ricorda, e spero gli faccia piacere farlo con noi, Ascanio Celestini con un racconto che mi è sembrato non solo amicale e semplice, come costringe a fare la vera amicizia, ma anche di profondo rispetto e ha valenza poetica, alta!
«Una volta chiedo a Gianni se gli va di presentare un suo documentario in una piccolissima rassegna. Dovrebbe venire al Teatro del Quarticciolo che a quel tempo era diretto da Veronica Cruciani. Non c’è una lira e non possiamo pagargli un taxi, ma nemmeno dirgli di venire con la sua macchina. Così mi offro io.
A quel tempo c’avevo un vecchio furgone rosso che qualche settimana dopo è stato rottamato. Per fortuna quella sera non pioveva perché dalla parte del passeggero la guarnizione era secca e entrava acqua. Visto che si presta per questo incontro mi prendo la libertà di invitarlo ancora. Mi dice che viene con la regista Loredana Macchietti che poi è sua moglie. La persona che ha lavorato con lui per tanti anni. Mi dice pure che per quanto riguarda l’automobile sono autonomi. Sarà perché s’aspettava di rimontare su un furgone scassato? Boh. Non credo. Mi sa che in giro per il mondo gli sarà capitato di peggio. Ma visto che non sono riuscito a organizzargli nemmeno il trasporto mi offro di portarli a cena.
Chi conosce il Quarticciolo sa che non è proprio come Trastevere. Non ci sono molti ristoranti esclusivi. Non ci sono molti ristoranti e basta. Vicino al teatro ce n’è uno. La specialità è una quaglia cotta al forno con una ciriola spaccata in due, olive e funghi. «Se vuoi ci spostiamo verso il centro» dico. Ma a lui piace l’idea che ci facciamo due passi e restiamo in borgata.
Lui che ha conosciuto Fidel Castro, Robert De Niro, il Subcomandante Marcos, Garcia Marquez, Muhammad Ali, i Beatles, Maradona, Sepùlveda quella sera ha incontrato anche il Quagliaro del Quarticciolo.
C’eravamo conosciuti proprio a cena una decina di anni prima. A casa sua. Dalla prima volta Gianni e Loredana mi hanno fatto sentire a casa. Forse questo è il loro segreto, che poi non è un segreto. È solo umanità. E anche tutti quei racconti di Gianni sembravano incontri con gente qualsiasi. Castro è uno conosciuto in vacanza. De Niro è l’attore del teatro parrocchiale. Muhammad Ali è il pugile della palestra popolare. Tutta gente di casa. Tutto il mondo un condominio. Tutta la vita un viaggio».
(Ascanio Celestini)

Per le nostre serie che continuano anche in questo numero ricordiamo le donne di Calendaria Nelly Sachs Premio Nobel per la letteratura 1966 e “Betty” Williams Premio Nobel per la pace 1976. 

In questo numero troverete anche un altro appuntamento di “Credito alle donne”. «Je m’appelle Attikpo Amee Akpene, ma il mio nickname è Charitè» Inizia così l’articolo La storia di Charitè, il modello Charitè, dedicato a Kpele Govie Konda presidente dell’Unione des Groupement de femme rurales

Continuiamo a parlare di cultura: Rileggere i classici. XV e XVI secolo, ci aiuterà a comprendere i meccanismi di trasmissione culturale che hanno contribuito a consolidare l’interpretazione patriarcale della società nelle opere di L’Orlando Furioso e La Gerusalemme Liberata. All the Beauty and the Bloodshed, Nan Goldin oltre la fotografia, questo è invece l’articolo in cui Emilia Guarneri ci introduce il documentario diretto da Laura Poitras. L’opera ripercorre alcune tappe della vita artistica e politica della fotografa di fama mondiale Nan Goldin, profondamente segnata dalla morte della sorella. Ci appresteremo poi a racontare un’eroica impresa di salvaguardia del patrimonio artistico-culturale, portata alla luce in una mostra nella nostra capitale. Arte liberata di Livia Capasso ci guida alla scoperta di storie di cui non si è parlato abbastanza, nella speranza che ricevano un degno riconoscimento.

Per la nostra serie Storia dell’alimentazione ci sposteremo nelle fertili valli della Mesopotamia, a indagare cibi e usanze delle antiche popolazioni di quelle zone; seguirà poi un approfondimento sulle colture dell’Antico Egitto. 

Torneremo poi in Europa, nel presente, dove ci aspetta l’analisi degli avvenimenti che stanno scuotendo la Francia attraverso le lenti del fotoreportage di un nostro collaboratore. Anche nell’articolo Trame di stoffa, trame di lotta ricordiamo le proteste pacifiste che si mossero nella Val Bisenzio nei primi decenni dello scorso secolo, tra le cui organizzatrici ricordiamo Teresa Meroni e le lavoratrici del settore tessile di quelle zone. Oggi come allora, lo sciopero e la disobbedienza civile tornano a essere strumenti dei cittadini per esprimere il proprio dissenso verso le pratiche istituzionali che riconoscono essere illegittime. Ce ne parla anche il libro Di Lotta e di Cura uscito alle stampe lo scorso febbraio per Iacobelli, in cui Maria Chiara Risoldi racconta le tappe più significative della Casa delle Donne di Bologna, nel frizzante clima dell’attivismo femminista di fine Novecento: trovate la nostra recensione in questo numero. 

Parlando di attualità, La guerra continua. Il primo numero di Limes 2023 parte prima svergogna, senza alcun velo, i giochetti di propaganda usati (recentemente e non) dalle principali potenze mondiali nel conflitto russo-ucraino. 

Per chi se le fosse perse, trovate le maratone dei Salotti di questa settimana (incentrate sul progetto promosso dall’UNAR Senso di marcia, in occasione XIX settimana contro il razzismo) nel canale YouTube di Toponomastica femminile; la nostra redazione ha in serbo per voi le relazioni delle conferenze condotte mattina per mattina, con il contributo essenziale di molte nostre collaboratrici e associate. Trovate le relazioni di martedì e di venerdì.

Infine, scommetto non vediate l’ora di provare la nuova ricetta La cucina vegana. Patate al forno profumate alle erbe proposta da Paola Bortolani.

Buona lettura a tutti e a tutte.

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

Un commento

  1. Storie di tante donne. Quelle che cercano un domani con coraggio rischiando la vita. Una donna che cerca il domani su un ring e dà un pugno ai preconcetti di un mondo che ama indossare le vesti del Medioevo. Una donna che conosce le donne e si ritrova in una donna giornalista/ scrittrice che garantisce e applaude la donna che in un libro racconta di donne di un mondo lontano che cercano il domani. E firma la prefazione.
    Tante donne. Ne scelgo una. La donna che racconta le donne.
    È Giusi. Dici: ma lei guarda. Non fa fatica. Raccontare non è coraggio o fatica.
    GIUSI non guarda . Vive accanto a quelle donne: sul barcone o sul ring . È con loro .Sente l’urlo dell’ onda
    pericolosa del mare e il pugno sul.viso
    Lo senti leggendo il libro e raccontando la storia del ring. Subisce l’onda e il pugno. E ne fa con l’arte del giornalismo e della scrittura- sono arte- un racconto che ti prende. E potrebbe finire qui. Giornalista e scrittrice possono anche depositare la penna.
    Giusi va oltre. Entra nel terreno meraviglioso dell’insegnamento. Vuole quasi impone che le donne che la leggono trovino quel coraggio che forse un giorno non hanno avuto. E vuole quasi impone che gli uomini che la leggono comprendano che la donna che hanno accanto e tutte le donne sono fatte di sensibilità coraggio forza e determinazione e non si piegano.
    Ma Giusi va ancora oltre. Entra nel terreno minato della denuncia. E allora le venti donne che cercano il domani e quella sul ring sono le combattenti dei pregiudizi. Quelli di ieri che tornano. In silenzio tornano. Giusi ci mette in guardia.
    Il tutto con il.tono pacato, il.ritmo giusto, il crescente e l’avvolgente della giornalista che sa uscire dalla cronaca che dura un giorno e entra nella scrittura che dura.nel tempo. Checva al di là dell’informazione e entra nel mondo della saggezza. Un esempio di umiltà che dialoga con la saggezza. Grazie Giusi. Un abbraccio.

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