Via XX Settembre n° 66. Il rifugio romano di Paolina Bonaparte

Un monumentale ingresso ad arco con bugne e colonne ricorda gli antichi splendori di Villa Paolina, proprietà di Paolina Bonaparte tra il 1816 e il 1825. Andrebbe collocata qui la terza targa commemorativa immaginaria.

Roma, Antico ingresso di villa Paolina in via XX Settembre
Marie-Guillemine Benoist, Ritratto di Paolina Borghese, 1808, olio su tela, Fontainbleu, Museo nazionale del Castello di Fontainbleu

Era l’entrata principale della proprietà e garantiva, in asse con l’edificio interno, una suggestiva prospettiva; se il colpo d’occhio è ormai perduto con lo spostamento dell’ingresso in via Piave, resta comunque il fascino della villa che, nonostante il tempo passato, trasmette ancora lo charme della sua attraente proprietaria. La costruzione, dagli anni Cinquanta del secolo scorso sede dell’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede, risale alla metà del Settecento, realizzata per volere del cardinale Silvio Valenti Gonzaga, segretario di Stato di papa Benedetto XIV, su quella che era stata una proprietà della famiglia Cicciaporci.
Dopo la fine dell’Impero, quando Napoleone fu mandato a S. Elena, Paolina chiese più volte di poter raggiungere il fratello, ma il permesso non le venne accordato. Ottenne invece da papa Pio VII di poter tornare a vivere a Roma, che aveva lasciato da circa 10 anni e dove rientrò nell’ottobre 1815. Nonostante fossero separati da tempo, andò a vivere nel palazzo di suo marito Camillo, poi nell’estate del 1816 Paolina acquistò questa elegante villa vicina a Porta Pia che divenne teatro di incontri, cene, feste, concerti.

Avrebbe voluto chiamare l’edificio villa Bonaparte ma, su consiglio della madre Letizia, ritenne più opportuno darle solo il suo nome. Prima dell’inverno la nuova dimora fu pronta e subito le numerose e i numerosi ospiti ebbero modo di apprezzare il risultato. Doveva essere un luogo particolare, con una forte impronta personale se la viaggiatrice e scrittrice irlandese Lady Sidney Morgan considerò questo edificio l’unico veramente “abitabile” tra le tante proprietà della famiglia Borghese, dove era possibile trovare felicemente riuniti i caratteri della proprietà inglese, dell’eleganza francese e del buon gusto italiano.

Giovanni Riveruzzi, Villa Paolina dal lato di Porta Pia, Acquerello, 1828 ca., Roma Museo Napoleonico

La dimora non era paragonabile al palazzo in cui Paolina aveva vissuto a Parigi, ma la principessa Bonaparte era ormai consapevole che i fasti del passato erano solo un ricordo e Roma l’unico posto in cui aveva ottenuto rifugio. Era lontano il tempo in cui, giovane sposa del principe Camillo Borghese, aveva confidato a Gioacchino Murat che l’aria della città eterna era nociva. Nel 1803 la società romana non l’aveva accolta a braccia aperte, troppo libero, anticonformista e anticonvenzionale il suo modo di vivere; l’antipatia di Paolina verso gli ambienti aristocratici romani era giunta fino alle orecchie del fratello imperatore che le aveva scritto «Signora e cara sorella, ho saputo con dispiacere che non avete avuto il buon senso di adeguarvi agli usi e ai costumi di Roma, che avete mostrato disprezzo per la sua popolazione e che continuate a tenere lo sguardo fisso su Parigi».
In quegli anni di inizio secolo il cuore di Paolina non riuscì ad amare Roma neppure quando divenne un’icona di bellezza neoclassica, innalzata a mito come Venere Vincitrice da Antonio Canova nella famosa statua conservata alla Galleria Borghese.

Antonio Canova, Venere vincitrice, 1804-1808, marmo, Roma, Galleria Borghese

La principessa, allora ventiquattrenne, distesa su una dormeuse con il braccio piegato a sorreggere il capo appena girato, fu raffigurata nuda dai fianchi in su, col leggero velo intorno al bacino e alle gambe che non riusciva a nascondere la flessuosità del suo corpo. Le pose per la realizzazione dell’opera si tennero negli appartamenti di Paolina in Palazzo Borghese e nel vicino atelier di Canova, dietro l’arcispedale San Giacomo degli Incurabili; che poi abbia posato nuda o no è aspetto ancora oggi piuttosto controverso. Antonio Canova non ha lasciato testimonianze in merito, tantomeno il marito Camillo che pare mal digerisse quel nudo esibito, salvo però conservarlo fino alla morte nella sua collezione. Dicono le biografie che Paolina abbia risposto, a chi le chiedeva se non avesse avuto problemi a posare nuda, che l’atelier dello scultore era per fortuna sempre ben riscaldato. Ma queste sono solo voci e di voci su Paolina ne sono girate molte e il più delle volte cariche di veleno.
Ora, sulla via del declino, la città eterna divenne per Paolina un porto sicuro in cui poter recitare ancora un ruolo da protagonista, mantenendo accesa la luce sul nome Bonaparte.
La villa nei pressi di Porta Pia aveva un’elegante semplicità neoclassica che incontrò il favore della nobildonna, col portico sorretto da colonne doriche accoppiate e un balcone con tre porte finestre, vero nucleo decorativo della facciata. All’impianto neoclassico Paolina Bonaparte seppe dare il suo tocco personale. Arredò la nuova proprietà con cura meticolosa, senza sfarzo ma con stile. Dalle note scritte sui lavori da realizzare, emergono il buongusto, l’attenzione per i dettagli e l’occhio vigile sui tempi e sui costi dell’impresa. Parsimoniosa e scrupolosa, arrivò a prevedere le penali in caso di scadenze non rispettate da parte di artigiani, maestranze e fornitori. Tendaggi, tappezzeria e rivestimenti dovevano essere intonati fra loro, spesso utilizzando il bianco e i colori tenui.

Jodocus S. van den Abeele, Un salotto di villa Paolina a Roma, XIX secolo, Acquerello, Roma, Museo Napoleonico

Grande riguardo fu riservato alla sala da bagno, l’ambiente più amato dalla principessa: la stanza prevedeva una caldaia apposita, l’acqua fredda e l’acqua calda da rubinetti distinti, la vasca da bagno in marmo, mura con dipinti e stucchi e un lettino da riposo basso dove stendersi per chiacchierare con gli ospiti.
Molti gli ambienti che fece ridipingere. Al piano terra, per esempio, la sala che doveva ospitare la biblioteca fu abbellita con paesaggi ispirati all’Egitto, in ricordo delle campagne napoleoniche del 1798; la camera contigua fu dedicata al “genio” femminile: sul soffitto ricoperto da eleganti stucchi un affresco centrale con Minerva e le Muse, mentre altri dipinti nelle lunette ricordavano alcune protagoniste dell’antica cultura greca, da Saffo tra le donne di Mitilene, ad Aspasia in dialogo con Socrate, a Corinna, poeta del V secolo, alla filosofa Teano, moglie o figlia di Pitagora nonché sua discepola.
Oltre ad alti prelati, principi, nobildonne, diplomatici, uomini d’affari la villa accolse anche numerosi esponenti britannici del partito liberale con i quali Paolina cercò di unire le forze nel vano tentativo di protestare contro le condizioni in cui viveva Napoleone a Sant’Elena. Sarebbe stata pronta a lasciare le comodità romane per seguire il fratello in mezzo all’Oceano Atlantico se solo gliel’avessero permesso; invece, mentre cercava di organizzare il viaggio a Londra da dove si sarebbe imbarcata per l’isola di Sant’Elena, le giunse la notizia della morte dell’amatissimo Napoleone.
La sua vita, sempre più difficile a causa del precario stato di salute, si concluse lontano da Roma, a Firenze, dove morì il 9 giugno 1825. Il suo ultimo viaggio nella città eterna si svolse qualche giorno dopo: il suo corpo venne tumulato nella cripta della famiglia Borghese in Santa Maria Maggiore, dove ancora si trova.

Robert Lefèvre, Ritratto di Letizia Bonaparte, 1813, olio su tela, Roma, Museo Napoleonico

La villa, dopo la morte della principessa Bonaparte nel 1825, venne ereditata da Napoleone Luigi Bonaparte e da sua moglie Charlotte, entrambi nipoti di Paolina, che rimasero proprietari fino al 1827 quando l’edificio entrò a far parte dei beni di Zenaide Bonaparte, principessa di Canino e Musignano, nipote di Paolina e sorella di Charlotte. Nella villa soggiornò, nel corso della primavera 1830, Maria Letizia Ramolino, madre di Paolina e di Napoleone, convalescente per una brutta caduta. La proprietà subì ingenti danni durante l’assalto di Porta Pia del 1870 e, nei primi anni dell’espansione di Roma, il suo parco fu in parte lottizzato e trasformato in area edificabile. La proprietà rimase ancora a lungo nelle mani di un Bonaparte, Napoleone Carlo, e dopo la sua morte passò alla moglie Cristina Ruspoli che, nel 1906, la vendette al regno di Prussia

In copertina: Robert Lefèvre, Ritratto di Paolina Bonaparte, 1806, olio su tela, Reggia di Versailles, particolare.

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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.

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