L’alimentazione è cultura, per un corretto stile alimentare è necessario conoscere gli alimenti di cui ci cibiamo. Il filosofo, padre del materialismo tedesco, Ludwig Andreas Feuerbach (Landshut, 28 luglio 1804 – Norimberga, 13 settembre 1872),affermava: «L’uomo è ciò che mangia», frase ispirata da un trattato del fisiologo Jakob Moleschott (Hertogenbosch, 9 agosto 1822- Roma, 20 maggio 1893).

in epoca tarda
Le fonti da cui attingere per ricostruire la storia e la cultura alimentare dell’antica Roma sono l’archeologia e la letteratura. Dal punto di vista letterario non avendo a disposizione dei veri ricettari, a eccezione del De Re Coquinaria di Apicio gastronomo, si possono consultare i trattati agronomici di Columella, Catone e Plinio in cui vi sono informazioni interessanti sulla materie prime e come venivano consumate, utili sono anche gli editti sui prezzi su cui sono elencati gli alimenti in uso, o ancora gli aneddoti gastronomici di uomini illustri fra cui le Vite dei Cesari di Svetonio, opera che narra le vite degli imperatori romani; o altre opere e componimenti poetici come le Satire di Giovenale il Satyricon di Petronio, ove è ampiamente descritta la famosa Cena di Trimalchione. Per quanto riguarda il mondo archeologico, spiccano le rappresentazioni artistiche dei cibi protagonisti delle pitture parietali e delle decorazioni dei contenitori utilizzati, altrettanto utili i reperti organici studiati anche dalle altre discipline come la paleopatologia e l’archeobotanica che, attraverso lo studio dei resti umani la prima e dei resti alimentari o di coltivazioni la seconda, ci permettono di comprendere a fondo la dieta dei nostri antenati.
L’alimentazione intesa semplicemente nel senso del consumo o nella sua accezione legata all’approvvigionamento del cibo costituì un elemento vitale e un’importanza primaria di benessere; la stessa tenuta del potere politico poteva essere influenzata dall’accortezza nel controllo della fornitura, della distribuzione e del consumo del cibo.
Nell’antica Roma l’approvvigionamento alimentare costituiva un esempio dovuto al sistema dell’annona che distribuiva un sussidio in grano, olio e carne di maiale, azione necessaria per il mantenimento dell’ordine pubblico. La rete d’importazione era molto ramificata e i trasporti avvenivano solitamente con navi da carico nell’area mediterranea che confluivano nel porto di Ostia.

dolci e focacce
Dall’Africa, dal Mediterraneo orientale e sud-orientale importavano prodotti di qualità pregiata: olio d’oliva, frutti di mare, garum (una salsa a base di pesce), verdure particolarmente piccanti e aspre, alcune varietà di frutta come il melone, il cocomero, l’albicocca, l’arancia e i fichi, riguardo a questi ultimi Plinio, nella Naturalis Historia, ne cita ventinove, consumati freschi o secchi, ovvero conservati, da cui si traevano le caricae pressae, una sorta di pasta ottenuta comprimendo i fichi in grandi giare, cotta in forno e per estrarla bisognava poi rompere il vaso. Erano importate anche moltissime spezie, utilizzate per rendere più gustose le pietanze della cucina locale poco saporite, tanto da costruire dei depositi pubblici utili alla conservazione delle spezie (horrea piperataria), fra le quali il carvi, il cumino, il coriandolo, lo zafferano, l’origano, il sommacco, il cardamomo, lo zenzero.
Insomma, a Roma e nei suoi territori i cibi erano tanti e, certamente, portatori di un’importante inclusività almeno nella tradizione culinaria. Nei testi di agronomi romani si trovano numerosi metodi di conservazione, il primo attestato a oggi è il De Re Rustica di Lucio Columella (Cadice 4 d.C. – 70 Taranto), un trattato in dodici libri di scienza della coltivazione, custodito a Roma nella biblioteca Vallicelliana. Uno di questi libri è interamente dedicato alla conservazione degli ortaggi, della frutta e di altri cibi, utilizzando tecniche ancora in uso oggi quali l’essicatura, l’affumicatura, la salatura, la salamoia e, ancora, alcuni cibi erano conservati sotto miele.
Tra gli altri cibi, è interessante ricordare la storia del pane: era consumata e preparata la puls, una pappa preparata con la farina di farro; era noto il cosiddetto pane partico con una percentuale di acqua così alta da essere paragonata a una spugna, introdotto nel mondo romano dai Greci che lo definivano «pane lavato»; altro pane era il panis clibanicius, chiamato con il nome siriano mamphula, una focaccia lievitata che veniva stesa sulla parete superiore di un recipiente in argilla o in metallo, più stretto in alto e largo in basso a volte con doppie pareti tra le quali venivano versati carboni ardenti o si accendeva il fuoco sotto di esso; una tecnica che ancora oggi viene praticata in Siria ed Etiopia. Nelle campagne, invece, impastavano il pane con ingredienti poveri, ma ricchi di nutrienti, come ghiande, castagne e legumi, inoltre tra i contadini nacque la pinsa una focaccia impastata con orzo, avena, miglio, erbe aromatiche e sale, e cotta su una pietra arroventata che, al di là dei prodotti utilizzati, ricorda quella che ancora oggi è consumata dai Romani e non solo.

Dalle fonti letterarie, sappiamo che nel mondo romano si consumava solo un pasto importante (coena) al giorno alla fine della giornata lavorativa, mentre al mattino la colazione (ientācŭlum) si faceva con gli avanzi della sera precedente; gli operai, manovali, falegnami, carpentieri, mangiavano un pasto frugale, uno spuntino (prandium) portato da casa con pane, olive e formaggio, oppure andavano a desinare con un piatto caldo a base di legumi o una puls con le verdure al Thermopolium, luogo di ristoro dell’antica Roma. Sulle pareti vi erano affreschi con immagini delle pietanze del locale, una sorta di menù per immagini, l’unico linguaggio di quell’epoca, visto che il popolo era analfabeta.

Ricchi erano certamente, però, i banchetti per cui i Romani sembrano essere molto famosi: la cena iniziava con l’ingresso di un servitore che spingeva lo sferculum, un carrello con grandi piatti contenenti stuzzichini, soprattutto verdurine fritte e frittelle varie, a seguire era servito la gustatio o promulsis, un antipasto a base di olive nere mature, olive verdi in salamoia, insalata, asparagi selvatici appena scottati in acqua bollente, dei porri e del buon vino versato nelle patelle(piccole ciotole). Le portate centrali erano a base di carne, molto apprezzato erano il cinghiale umbro o lucano, ripieno di cacciagione, aromatizzato con spezie e cotto lentamente allo spiedo; portato a tavola intero era tagliato e distribuito tra i commensali. Il consumo delle carni inizialmente era diffuso tra i ceti più abbienti, in seguito si estese al resto della popolazione. Oltre alle carni di animali comuni a noi, mangiavano carne di cervo, asino selvatico, ghiro, e uccelli come il fenicottero, lo psittaco, la tortora e il pavone; alla loro alimentazione aggiunsero il pesce, probabilmente consumato fresco dai ricchi, tanto che questi si erano dotati di allevamenti propri, piscine o vivai situati lungo le coste marine, nei porti, negli stagni dove erano allevate murene, orate, triglie sogliole, rombi, anguille e persino il pesce scaro (pesce pappagallo), sicuramente però il pesce era conservato anche sotto sale.
Marco Terenzio Varrone (116 a.C. – 27 a.C.) riporta che Lucio Licinio Lucullo (117 a.C. – 56 a.C.) fece perforare un’altura per far fluire l’acqua di mare nelle sue piscine/vivai. Lucullo generale romano, di grande fama per essersi distinto nella guerra contro Mitridate del Ponto Eusino, divenne famoso tra gli aristocratici non tanto per le sue gloriose imprese, ma per la sua passione verso il cibo e i convivi che offriva in onore degli amici e per lo sfarzo della sua casa lussuosa, in cui vi erano molte sale da pranzo, ognuna dedicata a una diversa divinità; alle divinità erano dedicati anche il vasellame e il menù servito. Ancora oggi in ricordo dei suoi banchetti a un pranzo ricco e abbondante viene assegnata la definizione di pranzo “luculliano”.
Dai testi degli autori antichi conosciamo gli aspetti della cultura romana, non vi è alcuna opera letteraria latina che non contenga informazioni su questo argomento. Dobbiamo a Plutarco (Cheronea 47 d.C. – Beozia 120) storico e filosofo greco, la biografia di Lucullo, il più celebre buongustaio di tutti i tempi, che ebbe anche il merito di aver introdotto in Italia il ciliegio. Tra le storie che lo vedono protagonista, ricordiamo l’episodio in cui Pompeo e Cicerone espressero il desiderio di essere invitati a cena dall’amico Lucullo; però, siccome temporeggiava cercando di rimandare l’incontro, i due insistettero e raggiunsero la casa dell’amico in fretta per non dargli il tempo di organizzare un servizio d’eccezione. Lucullo chiamò il cerimoniere limitandosi a dirgli che desiderava cenare nella sala di Apollo, i camerieri a quella parola d’ordine capirono che occorreva allestire un banchetto per gente importante e la cena fu servita con una tale prontezza e varietà di portate che Cicerone e Pompeo ne furono sorpresi. Inoltre, si diceva in giro che Lucullo un giorno redarguì il servitore di sala per avergli servito una cena meno sontuosa del solito, il servitore si giustificò dicendo di aver usato sobrietà perché non c’era alcun ospite, allora egli rispose con ira: «Non sapevi che Lucullo cenava questa sera in casa di Lucullo»?

L’alimentazione e la cucina degli antichi romani furono tra le più varie dell’antichità, dai pasti frugali si passò a lussuosi banchetti, nei quali venivano gustati piatti molto elaborati con spezie e aromi provenienti da ogni parte dell’impero. Per i romani di ceto elevato o semplicemente dotati di grandi ricchezze, il convivium aveva luogo in un’apposita stanza della domus ed era una vera e propria occasione di sfarzo e solennità; una continua evoluzione di gusti molto particolari, che potremmo utilizzare ancora con l’imbarazzo della scelta.
In copertina: rilievo romano, cucina con due servitori che affettano della carne e macinano delle spezie, II-III d.C.
Tutte le immagini sono tratte da: Atlante dell’alimentazione e della gastronomia, I Vol., Risorse, Scambi, Consumi, UTET, 2004.
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Articolo di Giovanna Martorana

Vive a Palermo e lavora nell’ambito dell’arte contemporanea, collaborando con alcuni spazi espositivi della sua città e promuovendo progetti culturali. Le sue passioni sono la lettura, l’archeologia e il podismo.