Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat, ad oggi, in Italia una persona su due è single. Nelle grandi città il fenomeno è in espansione. A Milano i single sono il cinquantadue per cento della popolazione, superano del doppio le coppie. E ancora. Il dieci per cento delle donne tra i 25 anni e i 49 anni vive sola e senza figli, troppe per essere un’eccezione.
Alla luce di questi dati e per cercare di analizzare la ricerca al femminile, è interessante recensire il libro di Valeria Palumbo Piuttosto m’affogherei. Storia vertiginosa delle zitelle, Edizioni Enciclopedia delle Donne. (In copertina Greta Garbo in una scena del film La regina Cristina, 1933). Il libro uscito a maggio del 2018, a giugno dello stesso anno ha avuto la seconda ristampa.
La scrittrice ci dice subito qual è il suo progetto. Vuole raccontarci «la complessa vicenda di chi non ha camminato lungo il binario definito. Spesso per ribellione. A volte per indole. O per puro caso. Così è stata scritta un’altra storia». Il binario definito è il matrimonio, naturale destino imposto alle donne dai tempi dei tempi e benedetto dalla firma del grande pedagogista Rousseau. E allora: le donne vivono da sole per scelta o per necessità? Solo ora o anche nel passato? E come ha fatto la zitella a diventare una single, a perdere i suoi connotati negativi antichi come il mondo? È vero che se andate a Venezia, alla Giudecca trovate ancora oggi una chiesa del 1500 che si chiama appunto Chiesa delle zitelle. Ci racconta tutto con garbo e ironia Valeria Palumbo, giornalista e grande conoscitrice della storia delle donne.
Il libro merita una lode particolare per l’approfondita indagine e per avere divulgato argomenti discussi di solito tra esperti e dentro ambiti di ricerca molto ristretti. La storia delle zitelle è infatti legata alla questione matrimoniale nella vita delle donne. Un tema di studio molto delicato che intreccia storia e religione, cultura ed economia. Ora, almeno in Occidente, una sposa mancata non suscita più scalpore, come succedeva fino a qualche tempo fa.
Per tornare al libro e al suo percorso cronologico, diciamo che le figure femminili non maritate, per riprendere il titolo del libro “le zitelle”, emergono con prepotenza dalle “crepe” della storia raccontata e trasmessa dagli uomini. Occupano uno spazio nascosto, rimosso.
La storia le ha preferite mogli o madri. La scrittrice sembra tirarle fuori dal cilindro di un mago immaginario, forse di una maga. È come fossimo a teatro. Le immagini scorrono una dopo l’altra, ce ne sono tante di donne dimenticate e tutte hanno qualcosa da dirci. Dalle antiche Amazzoni alle donne romane e poi via via fino ad arrivare al Seicento, che pare avesse una considerevole popolazione femminile nubile. E ancora. I secoli successivi, l’Ottocento e il Novecento: per tutte Jane Austen, con la letteratura che a volte arriva a dirci tanto prima della storia.
Le figure che emergono, incalzate dalle successive, hanno una forza dirompente, un coraggio rivoluzionario. Penso a Juana Ines delle Cruz o a Simone Weil e per finire a Emily Dickinson, la “zitella gentile”. La loro volontà di indipendenza ha trovato spesso soluzioni originali non facili sicuramente. Recluse quindi per scelta, fuori dal controllo maschile. Che ruolo ha giocato il patriarcato nella loro scelta di vita? Ieri come oggi le proposte che vengono dalla politica maschile cercano di ricondurre le donne, che non rispettano il ruolo assegnato, sulla retta via. Lo hanno fatto e cercano di farlo ancora con le regole imposte per legge e cercando il consenso sociale. Addirittura con una imposta a pagamento. «Tra le iniziative strampalate per incrementare i matrimoni è fallita pure la celebre tassa sul celibato voluta dal regime fascista. Sui celibi e non sulle nubili: non tanto perché per loro bastavano la discriminazione sociale e lo sfottò, ma perché si dava per scontato che una donna non disponesse di un suo reddito. La tassa sul celibato, prevista dal Regio decreto legge numero 2132 del 19 dicembre 1926, entrò in vigore il 13 febbraio 1927». Questa tassa non fece aumentare la natività, racimolò solamente un gruzzolo di soldi.
Tornando alla single dei nostri giorni, a nessun governante verrebbe in mente di imporre una tassa sul nubilato, le donne lavorano e potrebbero pagarla. Sicuramente ora si parlerebbe di welfare, infatti si fanno più figlie/i dove lo stato è più attivo con i suoi sussidi. Ma ormai alcune donne decidono di non diventare madri per libera scelta. Una falla del patriarcato? Forse. «Rimaritarmi eh? – replicò ella-più tosto mi affogherei che sottopormi più a un uomo; io sono uscita di servitù e di pene e vorresti che io tornassi da per me ad avvilupparmi? Iddio me ne guardi». Così scriveva Modesta Pozzi de Zorzi nel 1500. Ora nessuna donna userebbe queste parole per autodeterminarsi, ma non possiamo certamente sentirci risolte. Ancora troppi sono i femminicidi ma ormai il fatto nuovo, come ci ricorda Valeria Palumbo, è che le donne non vogliono e forse non possono più accontentarsi.

Valeria Palumbo
Piuttosto m’affogherei
Enciclopediadelledonne, Milano, 2018
pp. 283.
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Articolo di Luciana Marinari

Insegnante di scuola primaria per quasi quarant’anni, ha conseguito nel 2010 il Master Insegnare italiano agli stranieri presso la facoltà di Lingue di Urbino. Studiosa del pensiero della differenza, ha frequentato seminari di lettura e scrittura con Gabriella Fiori, studiosa di Simone Weil. Relatrice a incontri culturali sul tema della differenza, ha pubblicato articoli su riviste specializzate. Insegna italiano per stranieri presso il comune di Senigallia (AN) dove risiede.