Questo non è un libro. È un’azione; un atto antimafia. Al quale possiamo, anzi dobbiamo, partecipare: alla fine spiegherò come.
È un atto di opposizione, di lotta, dicevo, ma è anche un bel libro: Pif e Marco Lillo — che hanno rinunciato ai diritti d’autore — raccontano la storia di Maria Rosa e Savina Pilliu e della loro madre, che hanno combattuto per trent’anni per difendere la loro casa e i loro (e nostri) diritti. «È la storia delle due casette di piazza Leoni, che hanno resistito alla mafia, ma (forse) non allo Stato». A coloro, tanti, che credono di poter ignorare le regole e di poter fare ciò che a loro conviene o aggrada, le sorelle Pilliu contrappongono un coraggioso “No, tu non puoi!”. «Questo atteggiamento è insolito a Palermo. Soprattutto non è consigliato, perché non aiuta ad avere una vita serena. Ogni tanto, però, l’eccezione c’è». E diventa un faro, una guida.

Siamo negli anni Ottanta, quelli del “sacco di Palermo”: Pietro Lo Sicco, in odore di mafia, vuole costruire un palazzone di nove piani in un’area prospiciente il Parco della Favorita e per farlo ha bisogno di liberare la zona da alcuni edifici preesistenti; cerca, con le buone e soprattutto con minacce più o meno esplicite, di ottenerli. Ma trova un ostacolo: alcuni proprietari, non vogliono cedere le loro case. Ad animare la resistenza sono tre femmine — Savina e Maria Rosa Pilliu e la loro mamma — che, sole e senza parentele importanti, decidono di non cedere a questa prepotenza, così come fanno aderendo all’associazione Addiopizzo contro il racket, in difesa dell’attività commerciale familiare. Trovano molti ostacoli e, proprio perché donne, quando «hanno bussato alla porta di qualcuno per chiedere aiuto e giustizia, dall’altra parte c’è stato spesso un atteggiamento di sufficienza» anche da parte di chi lottava contro la mafia. Sarà lo stesso Pietro Lo Sicco a dichiarare: «Se avessi saputo che due femmine mi avrebbero fatto tutto questo danno…». Una determinazione al femminile che ha origine sicuramente dall’educazione ricevuta a casa: è la loro mamma, Giovanna Aresu, a imporsi in famiglia e a impedire che Maria Rosa debba interrompere gli studi (si laureerà in Scienze politiche) e a far sì che Savina possa occuparsi di ciò che l’attrae di più, gli affari; Savina, dopo aver seguito un corso per parrucchiera, si dedicherà — con Maria Rosa — alla gestione del negozio di prodotti alimentari sardi della famiglia.
Ma torniamo alla storia: la famiglia Pilliu, nonostante Lo Sicco abbia messo in campo vari mezzi, dalle minacce alle intimidazioni, alle blandizie, non gli ha venduto i suoi appartamenti. Il costruttore, per poter ottenere l’autorizzazione a edificare, dichiara allora che queste casette sono di sua proprietà e con questa — falsa — dichiarazione ottiene la concessione edilizia. Tirerà su il suo palazzone, danneggiando gravemente le casette. Le due donne non cedono, denunciano il sopruso, difendono la legalità con la semplicità e la forza di chi sa di aver ragione; la battaglia va avanti per trent’anni.
Parlano con l’assessore ai lavori pubblici di Palermo, Angelo Serradifalco, vanno in prefettura, vanno dai giudici: e incontrano, tra giugno e luglio del 1992, anche Paolo Borsellino: l’attentato in cui vengono uccisi Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta – Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani – è del 23 maggio del 1992.
È in questo contesto, il più duro, che le sorelle Pilliu lo incontrano. «Loro, che per anni hanno fatto fatica a incontrare qualcuno che abbia avuto la pazienza di ascoltarle, si trovano davanti un magistrato che le ascolta. La cosa che Savina ricorda di più è proprio questo: la sua pazienza nell’ascoltare». Savina «non fa che sottolineare lo stupore provato di fronte a un magistrato così paziente e gentile con loro. Si vedono ben quattro volte per potergli raccontare per bene tutta la loro storia». Borsellino però deve rimandare il quinto appuntamento, annota il numero di telefono di Savina per accordarsi. L’incontro non ci sarà: Borsellino viene ucciso il 19 luglio 1992.

Pif e Marco Lillo ci accompagnano in questa vicenda: la lettura scorre, lo stile è piano, coinvolgente, disincantato, ironico, mai pesante neanche quando analizzano con dovizia di particolari e precisione tutte le vicende giudiziarie; guidate/i dagli autori, accompagniamo le sorelle Pilliu dai giudici, ai quali denunciano per ben quarantaquattro volte i fatti, siamo loro vicine/i quando ricevono minacce, sorridiamo con loro quando c’è qualche momento positivo.
Ma il finale è paradossale, kafkiano e amaro, molto amaro. Dopo trent’anni un tribunale dà loro ragione e riconosce un compenso per i danni subiti, somma che nessuno pagherà perché il costruttore è stato condannato per mafia e i suoi beni sequestrati. E non basta: l’Agenzia delle Entrate chiede, secondo legge, che venga pagato il 3% della somma che avrebbero dovuto ricevere e non hanno mai incassato.
E allora in che senso questo libro è un’azione? Lascio parlare gli autori: «La nostra intenzione è cambiare il finale di questa storia, con l’aiuto di tutti. Raggiungendo tre obiettivi. Il primo: attraverso la vendita di questo libro raccogliere la cifra necessaria per pagare quel famoso 3 per cento dell’Agenzia delle entrate. Il secondo: far avere lo status di ‘vittime di mafia’ alle sorelle Pilliu. Il terzo: ristrutturare le palazzine semidistrutte e concederne l’uso a un’associazione antimafia. “Io posso” è una sorta di mantra a Palermo. Non importa cosa dice la regola, perché tanto “Io posso”. Le regole valgono solo per gli stupidi. “Io posso” sottintende sempre: “E tu no”. Ecco, a noi piace molto questa frase. La gridiamo a gran voce ma con un senso opposto. “Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no”». Ora Savina è rimasta sola; dopo la mamma, la sorella Maria Rosa è morta nel 2021. Il sindaco Leoluca Orlando l’ha ricordata così: «Forte, tenace e battagliera fino all’ultimo con coraggio ha detto di no alla prevaricazione mafiosa e si è battuta contro le schizofrenie di uno Stato che non l’ha mai riconosciuta vittima di mafia. Maria Rosa Pilliu ha incarnato i valori più belli e più puri della lotta alla mafia contribuendo al cambiamento culturale della città».

Pif, Marco Lillo
Io posso
Feltrinelli, Milano, 2021
pp. 160.
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Articolo di Angela Scozzafava

Si è laureata in filosofia della scienza con il prof. Vittorio Somenzi e ha conseguito il Diploma di perfezionamento in filosofia. Ha insegnato — forse bene, sicuramente con passione — in alcuni licei. Ha lavorato nella Scuola in ospedale, ed è stata supevisora di Scienze Umane presso la SSIS Lazio. Attualmente collabora con la Società Filosofica Romana; scrive talvolta articoli e biografie; canta in cori amatoriali e ama i gatti.