Editoriale. Una parata di colori

Carissime lettrici e carissimi lettori,
oggi è il giorno del Gay Pride romano. Il giorno accettato e poi negato dalla regione Lazio. La manifestazione approvata e partecipata dal Comune che guida la capitale. Contraddizioni ideologiche?
Allora cominciamo da un maschio. Per fare chiarezza, iniziamo raccontando la sua storia. Che è quella di un grande matematico, che ha dato tanto al mondo, così come lo abbiamo oggi, che ha concesso la forza del suo genio alla Gran Bretagna che lo ha perseguitato e spinto al suicidio. Era il 7 giugno e Alan Turing aveva solo 41 anni. Ed era gay: «Alan Turing, matematico, vittima di omofobia. Morì suicida il 7 giugno 1954. La sua storia ci riguarda ancora. Era nato a Londra nel 1912 ed è stato uno dei più grandi matematici del secolo scorso. Il suo lavoro ebbe una grande influenza sulla nascita dell’informatica grazie alla formalizzazione dei concetti di algoritmo e di calcolo, mediante una macchina che prese il suo nome. La macchina di Turing era un potente strumento teorico, un ulteriore passo verso la realizzazione del moderno computer, che concretizzava il progetto visionario ipotizzato da Ada Byron un secolo prima. La straordinaria intuizione di Turing fu che la sua macchina potesse effettuare qualunque operazione rappresentabile mediante un algoritmo. Creò insomma un dispositivo universale che anticipava il concetto di calcolatore come lo intendiamo oggi. Per questo contributo è stato definito il padre della scienza informatica e dell’intelligenza artificiale, da lui teorizzate già negli anni Trenta del ‘900. Alan Turing fu anche uno dei più brillanti esperti di crittografia. Operò nel Regno Unito, durante la Seconda guerra mondiale, per decifrare i messaggi che si scambiavano diplomatici e militari delle Potenze dell’Asse. Durante la Seconda guerra mondiale, lavorò a Bletchley Park, il principale centro di crittoanalisi inglese, ideando una serie di tecniche per violare i cifrari tedeschi, come l’utilizzo di una macchina elettromeccanica — chiamata la Bomba — in grado di decodificare i codici nemici creati dalla macchina crittografica Enigma. Una vicenda narrata nell’omonimo film del 2001 e in The Imitation Game del 2014, tratto dal romanzo Alan Turing. Una biografia scritto da Andrew Hodges. Alan Turing morì suicida a soli 41 anni, il 7 giugno del 1954, in seguito alle persecuzioni subite da parte delle autorità britanniche a causa della sua omosessualità. Due anni prima era stato arrestato e sottoposto alla castrazione chimica. Ingerì del cianuro di potassio e, poiché accanto al letto su cui giaceva il suo corpo, fu trovata una mela, si disse che si era tolto la vita proprio mangiandone una avvelenata, come nella fiaba di Biancaneve, da lui molto amata da bambino. Solo nel 2009 è giunta una dichiarazione di scuse ufficiali del Governo del Regno Unito per aver sottoposto Il grande matematico a un trattamento omofobico» (Sara Sesti).

Sono storie che anni di lotta per i diritti civili hanno scalfito seppure non sconfitto. Non del tutto. Storie che in diversi modi, trasversali alle condizioni umane, si ripetono e sono causa di sofferenze, di disadattamenti e, non raramente, di morte. Sono soprattutto le persone giovani che si sentono strette dalla morsa della discriminazione e dell’indifferenza. Si chiami omofobia, trans omofobia, razzismo, misoginia che è foriera di atti estremi, fino ai femminicidi, ancora troppi, ancora troppo giustificati, persino minimizzati! Anche dalla magistratura. Sono tutti crimini contro un’umanità violentata e dolente.
Per questo è giusto che nascano e si moltiplichino i gay pride. Perché, attraverso l’allegria multicolore delle Parate, con i canti e i carrozzoni che rimandano e ricordano a quelli del carnevale (della festa della carne e del rovesciamento dei valori e dei ruoli) si dia voce alle ingiustizie contro le differenze e le diversità.
Perché la società deve essere accogliente e non respingente. Che vada contro quel tipo di situazione che ha costretto un uomo al suicidio, mentre poteva essere una ricchezza umana e intellettuale, come era stato Turing nella sua intensa vita. La schizofrenia della concessione e poi del ritiro di un patrocinio dice tanto della società in cui è avvenuto. Se non altro ci si chiede il perché di cosa sia accaduto in mezzo, nel mentre, tra la concessione regionale e il suo successivo ritiro. Questo, probabilmente non lo sapremo mai.
Intanto voglio raccontarvi un’altra storia. Anche questa viene da lontano, ma è una bella notizia attuale, dei giorni nostri, arrivata anche qui da noi, in Italia, grazie a un’intervista fatta da Il grande colibrì, voce nostrana della comunità Lgbtq+. La storia, fortunatamente positiva, arriva da un Paese lontano, a maggioranza musulmana, il Pakistan. È la storia di un uomo, anzi no, di una donna: Shahzadi Rai è il nome della protagonista. Shahzadi in lingua urdu significa principessa. È stata eletta, con il partito progressista di Benazir Bhutto

«Shahzadi Rai, nota a molti per il suo coraggio e la sua natura schietta, è nata da una famiglia musulmana conservatrice. Sapeva fin dall’infanzia di essere in un corpo sbagliato, ma le principesse sono nate per affrontare le sfide e questa sfida è ciò che l’ha resa più forte. Infatti, ha dovuto affrontare molte discriminazioni come donna transgender, ma dal giorno in cui ha deciso di difendere i propri diritti non si è mai guardata indietro.
Shahzadi Rai vive a Karachi, in Pakistan, e dopo anni di lotte gestisce una organizzazione chiamata Pechra che lavora per porre fine alla discriminazione e alla violenza contro le donne trans e lesbiche. Pechra è una forte iniziativa guidata da una donna bella e coraggiosa. Pechra sta creando corsi di sviluppo sulla competenza personale per le comunità transgender, così da renderle tenaci e autosufficienti all’interno della società pachistana. All’inizio di quest’anno è stata adottata una legge per proteggere i diritti dei transessuali in Pakistan» (2018). Oggi Shahzadi Rai è stata eletta, insieme ad un’altra ragazza transgender, Chandni Shah, nelle liste del partito progressista di Benazir Bhutto, al consiglio comunale di Karachi dove si è impegnata a portare avanti le istanze delle discriminazioni sulle differenze di genere e delle problematiche transgender: un’avvocata in difesa delle donne “necessarissima” in un Paese che è tra i primi posti al mondo per la non scolarizzazione delle bambine.

Anche la poesia, nei secoli, ha dato voce al pensiero, alla gioia e alle sofferenze dei e delle protagoniste che oggi sfilano a Roma. Tante sono state le antologie poetiche, soprattutto al maschile, con una denuncia da più parti, di carenza, anche in questo caso, riguardante le donne lesbiche.
Le parole tra gli uomini è un’antologia di poesia gay italiana dal Novecento al presente (Robin 2012, pp. 439), a cura di Luca Baldoni che firma anche l’introduzione molto bella che informa e chiarisce tante cose sulla poesia italiana, oltre che omosessuale. Scrive Baldoni, facendoci fare anche un viaggio nella letteratura mondiale: «Le ricerche che hanno portato alla creazione di quest’antologia attingono a due ordini di ragioni: uno storico-letterario e uno militante. Per quanto riguarda il primo punto, Le parole tra gli uomini vuole rilevare, storicizzare e trasmettere, la presenza forte e continuata dell’omosessualità maschile nella poesia italiana moderna e contemporanea. Basterebbe citare i nomi di classici come Saba, Penna, Pasolini, Bellezza, ma anche quelli di poeti affermati anche se meno noti al pubblico non specializzato, quali Bona, Naldini, Wilcock, Pecora, Lolini e Buffoni, per rendersi conto che ci troviamo di fronte a una corposa tradizione di scrittura poetica omoerotica che ad oggi non è stata riconosciuta come tale.
Solo volgendo lo sguardo alle maggiori letterature europee e a quella americana, risulta evidente quanto questa ricchezza di voci poetiche omosessuali non sia un fatto scontato. La poesia francese, pure fondamentale a fine Ottocento nella formazione del canone di letteratura gay per il ruolo rivestito da Rimbaud e Verlaine, deve aspettare la metà del ventesimo secolo per trovare, con Genet, un’espressione poetica in cui l’omosessualità sia centrale. Un caso simile è riscontrabile in ambito tedesco e spagnolo, dove, dopo le esperienze di Platen e George, e a parte il caso Lorca, bisognerà aspettare molti decenni per vedere emergere poeti che parlino apertamente della loro omosessualità. La poesia italiana moderna possiede dunque una ricchezza di voci omosessuali, omoerotiche, o gay che dir si voglia – ritornerò tra breve su queste distinzioni semantiche ma anche concettuali di non poca importanza – di cui la coscienza nazionale dovrebbe andare orgogliosa, in quanto sul fronte della prosa le cose sono andate in modo ben diverso. È infatti ormai criticamente acclarato che la letteratura italiana del Novecento, per ciò che riguarda la narrativa e dunque soprattutto la forma principe del romanzo, ha tematizzato l’omosessualità con grande ritardo rispetto alle maggiori letterature europee. Da noi non c’è stato un Wilde o una Woolf, un Proust o un Gide, o un Mann, ad aprire la strada all’espressione letteraria dell’omosessualità».

Per la poesia ho scelto, Felice chi è diverso, una composizione breve, ma molto intensa di Sandro Penna (1906-1977). Elvio Bombato in Appunti alessandrini scrive: «Qual è il senso della lirica? L’invito a non vergognarsi della propria diversità e di viverla come un arricchimento… a un livello più alto: chi è diverso trova… la propria felicità nella diversità. Qualora, oltre a essere diverso, cercasse di essere comune (uguale agli altri), la propria felicità si muterebbe in dannazione. Tale splendida osservazione di Penna vale per tutti, non solo per gli omosessuali».

Felice chi è diverso
essendo egli diverso.
Ma guai a chi è diverso
essendo egli comune.

Sandro Penna
(Da Appunti, Edizioni della Meridiana, 1951)

Per la poesia lesbica ho scelto una poeta che della diversità ha fatto un inno alla gioia.

«Nella ricchezza delle prospettive critiche sulla cosiddetta poesia gay, languono gli studi e le ricerche sulle possibilità e sulle condizioni di esistenza (o di non esistenza) di una poesia lesbica nel Novecento italiano. Gli amori omosessuali femminili e le soggettività lesbiche paiono infatti assenti o esclusi dagli interessi critici relativi alla produzione poetica del Novecento». Eppure, i nomi ci sono: Giovanna Bemporad, Edda Billi, Patrizia Cavalli, Alice Ceresa, Jolanda Insana, Nella Nobili, Sara Zanghì, ma pure più ampi scandagli critici sul tema, anche considerando i rapporti con la temperie femminista e con le elaborazioni teoriche provenienti da altre parti del mondo (da Rich a Wittig, per offrire due esempi)».

Nera, Lesbica, Madre, Guerriera, Poeta, ma tanto altro ancora è, così come si autodefiniva, Audre – al secolo Audrey Geraldine – Lorde, nata il 18 febbraio 1934 a New York, ma residente a Harlem, la capitale Nera del mondo. «Bambina precoce e ribelle, irrompe nel mondo calpestando la y del suo nome, e sempre in direzione ostinata e contraria continuerà a camminare nella storia, cambiandola irreversibilmente». Qui una delle sue poesie più carnali, più belle, più erotiche.

Love Poem

Parla terra e benedicimi con ciò che è più ricco
fa’ che il cielo scorra miele dai miei fianchi
rigidi come montagne
stesi su una valle
scavata dalla bocca della pioggia.
E io sapevo quando entravo in lei che ero
vento forte nella sua cava di foresta
dita sussurravano suoni
miele scorreva
dalla coppa spaccata
impalata su una lancia di lingue
sulla punta dei suoi seni sul suo ombelico
e il mio respiro
ululava nei suoi ingressi
da polmoni di dolore.
Ingorda come gabbiani reali
o un bambino
dondolo sulla terra
avanti e indietro
di nuovo

(da New York Head Shop and Museum, 1974)

Buona lettura a tutte e a tutti nel nome della pluralità.

Sfogliamo gli articoli di questo numero, partendo da quello che, dilatando lo sguardo, riflette sulla fine o, almeno, sul ridimensionamento del concetto di globalizzazione a guida americana, Il bluff globale. Il numero di maggio 2023 di Limes. La discutibile posizione dell’Ue sull’utilizzo dei fondi del Pnrr per finanziare la guerra trova un bilanciamento nell’articolo Il sostegno alle donne ucraine nel Report on Gender Equality Ue, che, diversamente dalla narrazione corrente, non si sofferma sul racconto delle armi ma su quanto si fa per aiutare il genere femminile. Le donne sono le vittime più indifese nei conflitti. Ce ne parla anche l’autrice di A Roma il Tribunale per le donne in migrazione, in cui si dà voce alle donne afghane che tanti soprusi e violazioni di diritti hanno subito, non solo in Afghanistan ma anche in Italia come migranti. Facciamo un salto indietro nel tempo per constatare quanto penose e crudeli fosse le condizioni delle Donne antifasciste nel carcere di Perugia. Prima parte. Tra queste era reclusa anche la Madre Costituente Adele Bei, ma la ricerca accurata dell’autrice di questo approfondimento testimonierà che su moltissime altre donne è caduto l’oblio.
L’oblio su quanto hanno realizzato le donne è una caratteristica che la nostra rivista non manca di sottolineare e che ha riguardato anche una figura interessantissima, ricordata in occasione dell’anniversario della morte, Juana Romani, da modella a pittrice. Un’altra attività completamente obliata è descritta ne Le donne del libro. Presenze e testimonianze in età moderna, in cui scoprirete il ruolo fondamentale delle monache e delle lettrici del Rinascimento.

Continuano le nostre serie: per Calendaria 2023 leggerete di Toni Morrison. Nobel per la letteratura, di cui è ricordato il potente discorso sulla violenza del linguaggio, mentre, per La targa che non c’è Via Corsini n° 12. La casa di Maria Signorelli incontrerete un’artista originale dal talento precocissimo.

Per Stereotipi e pregiudizi consigliamo la lettura di Catcalling tra lacune normative e cultura sessista che indaga su un comportamento che il nostro Paese tende a minimizzare «e che invece nasconde quell’asimmetria dei rapporti uomo/donna che sfocia in vera e propria manifestazione della violenza di genere e della mascolinità tossica».

Un’ altra lettura vivamente consigliata è Il mistero gravidanza, che affronta tematiche «più che mai attuali e piene di spunti per dibattiti costruttivi sulla narrazione attorno alla gravidanza e alla questione della natalità».

Le recensioni di questo numero sono due. La prima, Vietato studiare, vietato insegnare, riguarda alcuni libri che si inseriscono «in quel filone di ricerca storiografica che, dalla metà degli anni Novanta, ha corretto il mito degli ʻitaliani brava genteʼ, tali in quanto sarebbero stati in gran parte immuni dalla deriva razzista del regime. Fu veramente così? E quanto vi contribuirono la scuola e l’educazione?». La seconda, La parola alle etnie nomadi. Una mostra al Mucem di Marsiglia descrive la mostra Barvalo, dedicata ai circa 12 milioni di persone tradizionalmente nomadi presenti oggi in Europa, ricordandoci che, contrariamente a quanto crede la maggioranza delle persone, «tali popolazioni sono partite dal Nord dell’India intorno all’VIII secolo d.C. e che, attraversando la Persia e l’Anatolia, sono arrivate a Istanbul da cui, tra XI e XV secolo, si sono diffuse in tutta Europa».

«Il cibo è una forma di linguaggio che indica un arricchimento dal punto di vista intellettuale e un’assoluta necessità per la sopravvivenza, espressione importante per la realtà umana tanto da costituire la propria ragione di vita».
Economia e stili alimentari nell’Europa medievale e rinascimentale è la nuova puntata, che si apre con questa riflessione, della serie sull’alimentazione nello spazio e nel tempo. Da questo approfondimento alla ricetta della settimana il passo è breve: La cucina vegana. Strudel di legumi sarà un’ottima opportunità per chi gradualmente si sta avvicinando a un modo di mangiare più sostenibile e rispettoso degli animali e dell’ambiente.
SM

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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

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