Carissime lettrici e carissimi lettori,
settembre ci saluta. Il meteo ci dice che non è arrivato ancora il momento dell’addio al caldo di questa estate. I ricordi ci portano, almeno a noi di una “diversa” età, all’ansia della vigilia del primo giorno di scuola che, tanto tempo fa, scattava identico, sincronico, per tutte le classi, in tutte le regioni italiane, e persino in contemporanea alle scuole paritarie, il primo giorno di ottobre. Il cuore, inevitabilmente, come in un effetto «salivazione alla Pavlov», ci fa cantare in testa la quartina dei versi gucciniani dedicati al mese: «Non so se tutti hanno capito, ottobre, la tua grande bellezza: nei tini grassi come pance piene prepari mosto e ebbrezza, prepari mosto e ebbrezza… Lungo i miei monti, come uccelli tristi fuggono nubi pazze, lungo i miei monti colorati in rame fumano nubi basse, fumano nubi basse…». Inesorabilmente seguiamo il poeta e capiamo che «La mano di tarocchi che non sai mai giocare, che non sai mai giocare» ci tocca personalmente.
Ci ha portato a riflettere settembre, che per ora muore. Sulla vita e sulla morte, sulla violenza, sulle vittime, soprattutto ancora donne, oppresse due volte, ostaggi di possesso e di cattiveria senza scuse, che invece ricadono loro addosso. Non è più un’emergenza, un evento forte apparso improvvisamente, ma è un’esigenza sociale che esige una trasformazione culturale radicale.
La morte ci è arrivata anche attraverso una parola: laico. Lo è stato un funerale, quello di Giorgio Napolitano (1925-2023) Presidente, l’undicesimo e il primo ad essere rieletto (nel 2013, a 87 anni, il più anziano d’Europa) della nostra Repubblica nata dalla resistenza, dalle macerie della Seconda guerra mondiale e dalla fine del periodo di dittatura fascista.
Cosa si considera laico? Chi è e cosa rappresenta una persona laica? Iniziamo sempre dalla definizione, spesso non univoca, che ci propone il vocabolario. L’origine della parola è tardo latina, laĭcu(m), ma ancor prima è greca, laikós, vale a dire del popolo (in greco laòs), con il significato anche di profano. Un termine, dunque, che esiste in concomitanza con l’aspetto, la condizione religiosa. Infatti, il primo significato addirittura, e per certi versi, inaspettatamente, riguarda la religione. Laico/laica è colui o colei che non appartiene al clero, pur essendo credente. È laico/a un prete laico, una suora laica o chiunque non abbia ricevuto gli ordini sacerdotali. Un secondo significato riguarda chi si ispira a concezioni di autonomia rispetto all’autorità ecclesiastica; chi si conforma ai caratteri del laicismo. Allora abbiamo uno Stato laico, una cultura laica, una Scuola laica, non confessionale, dei partiti politici di ispirazione laica e, soprattutto, un pensiero che non segue rigidamente una ideologia. Il quarto significato riguarda il giornalismo e sta a indicare ciò che non appartiene a una data istituzione: questo è il caso – con un esempio riportato sempre dal vocabolario – dei componenti laici del Consiglio Superiore della Magistratura, quelli nominati dal Parlamento in seduta comune e non dai magistrati. Una persona si dice, comunemente, laica quando riconosce l’eguaglianza di tutte le confessioni religiose, senza concedere particolari privilegi o riconoscimento ad alcuna di esse, e afferma la propria autonomia rispetto al potere ecclesiastico.
Per il Presidente Napolitano abbiamo sentito parlare di “funerale laico”, quello celebrato, alla Camera dei deputati, martedì 26 settembre.
A differenza di quello religioso, «il funerale laico non prevede alcun tipo di rituale predefinito. Il discorso è completamente opposto per quanto riguarda le esequie di Stato, che invece sono organizzate secondo un rituale preciso che prevede che il feretro sia contornato da sei carabinieri in uniforme e che venga accolto e salutato – quindi all’inizio e alla fine della cerimonia – con onori militari. Ai funerali di Stato partecipa poi almeno un rappresentante del governo e viene fatta un’orazione commemorativa ufficiale. Non solo: quella giornata viene anche dichiarato il lutto pubblico nazionale o locale, secondo come indicato da Palazzo Chigi e le bandiere degli edifici pubblici sono poste a mezz’asta».
Ma quello che è stato un diritto per un Presidente della Repubblica (funerali laici li hanno avuti in precedenza: Enrico Berlinguer, Pietro Ingrao, Nilde Iotti, Dario Fo, Mario Monicelli, Marco Pannella e Stefano Rodotà, tra molte e molti altri) dovrebbe essere un diritto di tutte e tutti quelli/e che volessero fare per sé o per un proprio familiare, questa scelta. C’è un decreto, ma non tutti i Comuni si sono adeguati e non hanno uno spazio messo a disposizione di chi opta per questa preferenza.
«La legge che detta le norme sui funerali in Italia è il Dpr (Decreto del presidente della Repubblica) 285/90: un regolamento di polizia mortuaria che delega anche ai Comuni la stesura delle norme locali per disciplinare la questione. Il decreto è stato più volte aggiornato e superato da nuovi provvedimenti come il Dpr del 14 gennaio 1997 che ha introdotto, tra le altre, un’importante novità per i servizi mortuari: tra i requisiti minimi previsti, stabilisce che in ogni città debba esserci una sala dedicata al rito. Molti Comuni non hanno però applicato il Dpr e non hanno messo a disposizione spazi per le commemorazioni civili, privi di simboli religiosi, un luogo permanente e abbastanza capiente per l’addio a un proprio caro/a. Per rimediare a questa mancanza sono stati avanzati tentativi legislativi, ma senza successo: le proposte non sono mai diventate legge. O i momenti collettivi di commiato sono stati organizzati in casa, nella sala dedicata ai familiari e agli amici in attesa della cremazione della salma, o accanto alla tomba» (La Repubblica). Per concludere questo discorso, guardando la mappa pubblicata dall’Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti), le sale sono, pochissime, concentrate tutte al nord e al centro. Una sola è in Puglia, stessa cosa in Calabria e in Sardegna. In Sicilia, come in tutto il resto del meridione, nessuna! E pensare che nascere e morire sono i momenti obbligati per tutti e tutte…
In mezzo, tra la nascita e la morte, c’è la vita. Durante la vita c’è chi emigra, anche a costo di morire, spesso in mare. C’è chi, succede spesso a una donna, si innamora dell’uomo sbagliato che si rivela come un padrone in potere di decidere tutto della vita della compagna e non solo di lei, ma anche dei figli e figlie, che appartengono ad entrambi, e persino di una suocera, come è successo nell’ultimo triplice omicidio piemontese di mercoledì scorso.
Per il Consiglio d’Europa i dati riguardanti l’Italia preoccupano: troppe le vittime di femminicidio (oltre 80 le donne uccise dall’inizio dell’anno), troppe anche le archiviazioni e le misure cautelari. I tribunali spesso sono lentissimi: ci sono casi, accaduti nel 2015, che ancora non hanno una sentenza definitiva. Insomma, le donne sono vittime che non vengono credute. Se poi diamo uno sguardo alla comunicazione che riguarda questo tipo di violenza è davvero scoraggiante. Si giustifica sempre in qualche modo il carnefice, mettendo il punto su una malattia, su un fallimento o difficoltà sociale o lavorativa, se non giustificandolo per una gelosia, non giudicandola per quello che è, vale a dire possesso, ma come un eccesso di amore. Il caso accaduto a Pantelleria, che ha tutto l’aspetto della premeditazione, ha portato purtroppo parecchie persone a giudicare anche la vittima, per leggerezza e per abbandono del tetto coniugale che sa di retrocessione violenta al passato, quando si giudicava reato e solo per la donna. Poi un quotidiano, La Stampa, ha pubblicato, dando la notizia dell’ingegnere che ha ucciso la moglie, il figlio e la suocera (non certo è un raptus!) la fotografia del matrimonio dove carnefice e vittima si guardavano sorridenti e sereni! Ma per dimostrare cosa?
La fine di settembre rimanda anche a un episodio di guerra, ma anche di libertà. Il 27 settembre del 1943 i napoletani, e soprattutto le donne napoletane, combatterono, improvvisandosi militari e affiancando i militari, le Quattro giornate di Napoli immortalate nell’indimenticabile film (1962) diretto da Nanni Loy e vincitore dell’Oscar. Quattro giorni, dal 27 al 30 settembre, di rabbia, per la stanchezza della guerra che aveva colpito con violenza la città, e di voglia di libertà che fecero di Napoli la prima città liberata dai tedeschi, permettendo agli Alleati di entrare facilmente il giorno dopo, il 1° ottobre 1943. Quattro giornate che valsero ai suoi e alle sue valorose cittadine una cascata di medaglie al valore.
Prima di chiudere un saluto doveroso all’orsa F36, chiamata con una sigla, processata, incarcerata, condannata a morte e poi…graziata, ma ora morta davvero, uccisa o no lo diranno poi.
Maram al-Masri è una scrittrice e poeta siriana. A lei dedichiamo il nostro spazio poetico “di consolazione” di oggi. La nostra amica Ester Rizzo così la descrive, narrando con altrettanta poesia la sua vita di poeta: «Nella Siria martoriata c’è una città che si chiama Lattakia. Una città di mare, vicina all’isola di Cipro: lì il 2 agosto del 1962 è nata Maram Al-Masri e lì ha vissuto i suoi primi vent’anni. Studia a Damasco, poi in Inghilterra. Si sposa giovanissima e con il marito è costretta a fuggire a Parigi, in quanto oppositrice del regime di Assad[…].La poesia di Maram è un inno alla bellezza che sopravvive al di là degli orrori, della guerra, della violenza nelle piccole cose…Oggi il dolore di Maram è quello del suo popolo, decimato in pochi anni. I siriani da venti milioni sono diventati undici milioni. Quelli che hanno deciso di restare nella loro terra affrontano ogni giorno fame, prigione e torture da parte del regime, e le bombe dell’ISIS. A loro Maram dedica la raccolta di poesie Arriva nuda la libertà, del 2014: «La Siria per me… è una donna violentata tutte le notti da un vecchio mostro / violata / imprigionata / costretta a sposarsi. / La Siria per me / è l’umanità afflitta / è una bella donna che canta l’inno della Libertà / ma le tagliano la gola. / È l’arcobaleno del popolo / che si staglierà dopo i fulmini e le tempeste».
Ho scelto di questa splendida poeta, insieme a Sara Marsico, che collabora sempre a questo editoriale, una poesia forte ma allegra, femminilissima che ho sentito come vessillo dell’essere donna, in ogni età. Perché anche le donne hanno partecipato e fatto la Storia con potenza e magistrale fierezza.
Io sono eterna
Non sono giovane, e non sarò mai vecchia.
Appartengo ad una tribù di donne che possiedono
il riso delle bambine e il ghigno insolente delle vecchie,
capelli lunghi e liberi, e occhi antichi come la Terra,
dove la bellezza interiore non finisce.
Sorelle di uomini che hanno lo spirito del lupo e dell’aquila,
gioiosi folletti che non hanno mai smesso di giocare.
Esseri che attraversano il tempo, in costante movimento,
ardenti di curiosità.
Non ho e non avrò mai l’età che indicano i documenti,
perché non sono giovane e non sarò mai vecchia.
Io sono eterna.
Buona lettura a tutte e a tutti.
«Viaggiare, si sa, ci getta a capofitto in situazioni in cui non avremmo mai pensato di trovarci» ed è il modo migliore per conoscere culture diverse e aprire la nostra mente. In questo numero facciamo un viaggio virtuale in diversi luoghi del mondo e del nostro Paese. Partiamo da un viaggio in bicicletta, raccontato in un libro da Patrizia Zambon: La strada non finisce a Capo Nord, per poi spostarci in Canada, in un paesino dell’Ontario, per incontrare la donna di Calendaria 2023, Alice Laidlaw Munro. Nobel per la letteratura, «Maestra del racconto breve contemporaneo». Andiamo in Iran, con Una gita a Kashan, la città delle rose, il bellissimo racconto dell’autrice della nostra serie Italiano Lingua altra e successivamente in Turchia con la recensione de Il Gran Turco, il numero di agosto 2023 di Limes. Dalla terra di Erdogan voliamo in Scozia, alla scoperta di «una perla un po’ nascosta, che necessita di pazienza e buone gambe per poter rivelare tutta la sua bellezza»: Glasgow, la città insospettabile. Lasciando la terra ferma conosciamo «La Dama del mare» nel bel racconto biografico dell’autrice di Per mari e oceani con Anita Conti, «una delle figure scientifiche e umane più appassionanti del secolo scorso…esploratrice, oceanografa, viaggiatrice, etnologa, ecologista, fotografa, giornalista e scrittrice», un’appassionata della vita da cui non si può non restare affascinate/i.
Rientriamo in Italia, a Napoli, dove, per Le grandi assenti, incontriamo Maria Palliggiano, pittrice sfortunata, dalla vita intensa e troppo breve, che, come riferisce l’autrice, «condivise il proprio destino con altre sue coetanee intellettuali o artiste partenopee, vite parallele soffocate dalle barriere imposte loro da famiglie, amici, colleghi, compagni di partito, istituzioni, società civile». Dalla città delle Quattro Giornate, ci spostiamo a Roma, che ha dato i natali a una grande scrittrice. Un anno fa la scrittrice Rosetta Loy ci ha lasciato è l’articolo che ne celebra l’anniversario della scomparsa, avvenuta il primo ottobre 2022. Restiamo a Roma con C’era una volta il bar di Vezio, la recensione del libro di Maria Arcidiacono che descrive con ironia il protagonista di «un pezzo della storia della via italiana al socialismo, [come] corollario della via romana al comunismo» e quella del suo bar. Sempre a Roma, lo scorso aprile, c’è stata la cerimonia di premiazione del X concorso Sulle vie della parità e oggi con Scuole dell’infanzia sulle vie della parità vi raccontiamo i progetti di due di queste scuole, appartenenti all’istituto comprensivo “Il Principe” di San Casciano in Val di Pesa. Risalendo la penisola incontriamo Imola, città natale di Argentina Bonetti Altobelli, raccontata in una nuova puntata della serie Storia di Resistenze e Resistenti. Una donna che ha resistito senza fare scalpore, con fermezza e determinazione, al fascismo.
«La nudità comincia dal viso, l’oscenità con la parola», dichiarava Simone de Beauvoir, ricordandoci quanto il potere delle parole non vada sottovalutato. Le parole possono essere violenza e violenza è anche non comprendere nel proprio linguaggio alcune parole o usarle in una forma dispregiativa». Con questa importante riflessione incontriamo, per la rubrica Tesi vaganti, la bella scrittura dell’autrice di Nuovi processi di educazione di genere, una carrellata sui testi scolastici e non solo attenti alla parità di genere e a un linguaggio rispettoso e non ostile, una delle linee-guida della nostra rivista.
Un altro ritorno a cui diamo il benvenuto è quello della Fantascienza al femminile, raccontata dalla nostra esperta con Davanti al dolore degli altri. La fantascienza di Enrica Zunic’, un articolo come sempre denso di informazioni e pensieri profondi.
Ci salutiamo, come amiamo fare, con un’altra squisita ricetta della serie La cucina vegana. Risotto alle erbe aromatiche, «tutte benefiche per la salute, in quanto apportano vitamine e sali minerali» e tanta sapidità ai piatti.
Buon appetito a tutte e tutti.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
