Sabato 6 aprile è stata una di quelle giornate romane primaverili, quando dopo un acquazzone il sole splende più forte di prima, e mentre nella periferie si manifestava nel nome di Simone per tutti quelli che giustamente non vogliono che nessuno sia lasciato indietro, e altri contro-manifestavano in nome di defunte ideologie liberticide, calpestando il pane, dall’altra parte della città nel quartiere Ostiense sedici squadre di calcetto si sfidavano in un torneo durato tutto il giorno.
Si è tenuta infatti la seconda edizione della Phoenix Cup, una manifestazione che ha riunito squadre LGBT o semplicemente gay friendly provenienti da tutta Italia e anche dall’estero. Erano presenti una squadra da Lione e un’altra da Barcellona, ognuna col proprio piccolo stuolo di tifosi e tifose al seguito. Il torneo si è aperto con un minuto di silenzio in memoria di Francesco Amendolagine, giovane portiere e giocatore di pallamano morto tragicamente nel sonno qualche giorno prima, fratello di uno dei nostri giocatori.
La maggior parte delle squadre presenti sono l’emanazione di associazioni che da sempre lottano per i diritti LGBT e l’inclusione sociale come Outsport qui a Roma o gli Omphalos di Perugia o i Toret di Torino. Il torneo suddiviso in una fase a quattro gironi composti da quattro squadre e poi a partire dagli ottavi da una fase ad eliminazione diretta ne ha viste davvero di tutti i colori e non solo quelli rainbow che andavano a rappresentare.
C’erano squadre molto forti e organizzate come i Soccer Milano, o i padroni di casa e organizzatori del torneo i Phoenix, e i vincitori del torneo i Bugs Bologna e squadre quasi improvvisate, simpatiche mine vaganti come la terza squadra degli Outsport, le Lollipop, per la quale ho giocato anch’io in prima persona sulla fascia sinistra. La prima partita è stata “molto equilibrata” abbiamo perso solo 17 a 0, ma poi ci siamo ripresi festeggiando ogni goal come una finale vinta, perdendo la seconda partita per “soli” 9 a1 e addirittura riuscendo a vincere la terza partita per 4 a 2, per poi schiantarci agli ottavi perdendo con la seconda squadra dei padroni di casa per 7 a 0.
Ma perché vi racconto di questi risultati? Li racconto per mostrare lo spirito del torneo, fondato su una ricetta semplice: una piccola e sana dose di competizione e una grossa manciata di fair-play. La parola chiave del torneo è stata l’inclusione, che si è concretizzata nell’unire persone più allenate e persone meno allenate, giovani e non. Senza badare al genere, all’orientamento sessuale dei giocatori e delle giocatrici che hanno partecipato. Femmine e maschi, ragazzi e ragazze transessuali, insieme per un fine più alto quello di rendere il calcio uno sport per tutti e tutte.
Purtroppo, spesso questo sport è stato il coacervo, il terreno di coltura di tutti gli stereotipi di genere possibili: da bambini bisognava essere dei “maschi alfa” per essere dei bravi giocatori, altrimenti si era delle femminucce, e si sa loro non possono giocare a calcio non è nella loro “natura”. Ebbene questo torneo è stata la dimostrazione dell’infondatezza di certe affermazioni, della rottura di ogni schema precostituito, e non solo di quelli tattici, contro ogni pregiudizio, tutti insieme maschi, femmine, transessuali, etero e omosessuali, per dare un calcio agli stereotipi e a tutti i tipi di discriminazione.
Articolo di Antonio Clemente
Docente di Italiano, storia e geografia, appassionato di Linguistica e Didattica, laureato magistrale in Letteratura italiana, Filologia moderna e Linguistica. Ho una seconda Laurea magistrale in Scienze dell’informazione, della Comunicazione e dell’Editoria. Cofondatore di Vitaminevaganti e Responsabile del progetto editoriale di Vitamineperleggere.
A ragion di cronaca c’erano anche etero …
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