Spesso parlando di primati delle donne il nostro pensiero va a quelle pioniere che nel corso dei secoli, se non dei millenni, hanno intrapreso una attività, una professione, un percorso artistico o politico fino ad allora di esclusivo appannaggio del sesso maschile. Donne che con coraggio hanno sfidato tabù e pregiudizi e con la loro intelligenza e determinazione si sono imposte nello scenario della Storia.
Ad altre donne è toccata la sorte di essere primatiste ma questa volta per eventi tragici, come ad esempio Maria Luisa Mangano che, in Sicilia, fu la prima donna condannata al rogo dal Tribunale dell’Inquisizione. Originaria di Avola, nel Siracusano, fu condannata perché accusata di adulterio. Prima di essere uccisa fu torturata. Lucia Evelina Ofelia Sarzi fu, invece, la prima donna arrestata dal regime fascista il 25 luglio del 1943. Era nata l’8 novembre del 1920 ad Acquanegra sul Chiese, in provincia di Mantova, da Francesco e da Linda Bozzi, due artisti girovaghi. Oltre che cantante e attrice fu una partigiana e militante comunista. Fu definita: «la meticolosa tessitrice di rapporti e legami nelle pianure del Nord Italia». Chi l’ha conosciuta ricorda che la sera cantava brani dalla Tosca di Puccini e poi si sedeva sul palco e ad alta voce leggeva Il Capitale di Marx. La compagnia teatrale Sarzi venne quindi messa all’indice dalla censura fascista. Lucia fu arrestata a Casalbellotto, in provincia di Cremona, qualche settimana dopo l’uccisione dei fratelli Cervi e tradotta al carcere di Reggio Emilia dove rimarrà fino alla metà del 1946. Soleva dire: «A me basta che mi dicano che sono stata partigiana. Se poi vogliono aggiungere che sono stata la staffetta dei fratelli Cervi, tra le tante cose che ho fatto, per me è la gratificazione più grande». È morta a Modena il 19 febbraio del 1968. Soltanto due giorni prima era stato proiettato a Reggio Emilia, in prima nazionale, il film I sette fratelli Cervi che raccontava anche i suoi atti coraggiosi.
Alma Vivoda, il cui vero nome era Amabile, è stata la prima donna italiana caduta durante la Resistenza antifascista. Il suo nome da clandestina era Maria. Nata il 23 maggio del 1911 a Chiampore di Muggia, in provincia di Trieste, fu una delle dirigenti più attive dell’organizzazione “Donne antifasciste”. Promuoveva la diffusione della stampa clandestina e curava la redazione del foglio La nuova donna, che aveva fondato vendendo i suoi pochi oggetti di valore e comprando una vecchia macchina da scrivere. La polizia fascista aveva posto sulla sua testa una taglia di diecimila lire. Il 28 giugno del 1943, come racconta la sua compagna Pierina Chinchio, fu ferita alla testa dal carabiniere Antonio Di Lauro. Trasportata in ospedale spirò dopo poche ore. Il giorno successivo alla sua morte un battaglione autonomo della Resistenza ne prese il nome. Dopo la Liberazione, ad Alma sono stati intitolati un circolo culturale nel borgo di Santa Barbara e una via a Chiampore. Nel 1971, nel luogo dove fu colpita a morte, è stato eretto un monumento per ricordarla ma il carabiniere che la ferì a morte è stato insignito nel 1958 della medaglia di bronzo al valore militare per quell’azione.
Francesca De Giovanni, nome di battaglia Edera, fu una partigiana nata il 17 luglio del 1923 a Monterenzio, in provincia di Bologna, in seno ad una famiglia di antifascisti. Sin da piccola aiutava il padre mugnaio nel lavoro e studiò fino alla quarta elementare. Ancora ragazzina andò a servizio presso una ricca famiglia bolognese. Dopo la morte della madre iniziò la sua attività di propaganda antifascista. Venne catturata ed incarcerata a Bologna; la torturarono per un giorno intero ma non si lasciò sfuggire alcuna informazione e non diede ai suoi carnefici la soddisfazione di versare una lacrima. Venne fucilata il 1° aprile del 1944 insieme a cinque compagni e divenne così la prima donna fucilata dai fascisti. È sepolta nel Monumento-ossario ai Caduti partigiani della Certosa di Bologna; è ricordata nel Sacrario di Piazza Nettuno e nel Monumento alle Cadute partigiane a Villa Spada. Sempre a Bologna una strada e una scuola d’infanzia sono a lei intitolate e nel suo paese natale una via porta il suo nome.
Riguardo a quali siano le prime donne vittime delle mafie è difficile stabilirlo con certezza poiché resta sempre il dubbio che la mano assassina di quelle organizzazioni abbia colpito anche prima di quante vengono definite e ricordate come le prime uccise. Comunque, la prima donna vittima della ‘ndrangheta dovrebbe risalire al 1899 e si chiamava Francesca Sidari. Fu uccisa a San Luca, in provincia di Reggio Calabria. Era la moglie di Stefano Crea che aveva testimoniato contro Giuseppe Musolino, conosciuto come il Brigante Musolino. La prima vittima della mafia si ritiene invece sia stata Emanuela Sansone, uccisa a Palermo il 27 dicembre del 1896 a soli diciassette anni, dagli esponenti della mafia locale per ritorsione nei confronti della madre Giuseppa Di Sano. Giuseppa era una piccola commerciante di generi alimentari e i mafiosi sospettarono che fosse stata proprio lei a denunciarli per fabbricazione e spaccio di banconote false. Dopo la morte della figlia, coraggiosamente decise di collaborare con la giustizia.
La prima presunta vittima della camorra risale a tempi più recenti. Si chiamava Filomena Morlando e venne uccisa il 17 dicembre 1980 a Giugliano, in provincia di Napoli. Era un’insegnante di venticinque anni e morì a pochi passi dalla sua abitazione in un conflitto a fuoco tra bande rivali camorristiche. Fu presa come scudo umano per salvare la vita di un boss. Dopo la morte, la beffa: insinuarono che era stata uccisa per motivi passionali. A Giugliano una via è stata a lei intitolata e una lapide commemorativa sul luogo del delitto così la ricorda: «La mano sporca criminale, distruttiva e bestiale della camorra ha cancellato i tuoi sorrisi ed i tuoi sogni strappando la tua giovane vita a chi ti amava. L’indifferenza umana e l’omertà ti hanno fatto precipitare nell’oscuro oblio delle coscienze ma tu sei tornata a vivere nel segno della giustizia. Ora che il tuo sorriso è diventato nostro e i tuoi sogni vivono in tutti noi, la camorra non ha futuro. Per sempre nel ricordo della tua famiglia e di chi ti porta nel cuore, a Mena Morlando, vittima innocente della camorra, la famiglia e i ragazzi di “Contro le mafie” posero».
L’ultimo triste primato che vogliamo ricordare è quello di Emanuela Loi, la prima poliziotta, agente di scorta del giudice Paolo Borsellino, uccisa dalla mafia nel 1992 a Palermo. La sua storia è ben nota e le strade a suo nome sono tante in tutta Italia e soprattutto nelle due isole: Sardegna e Sicilia. La prima le diede la luce e la seconda la morte, ma entrambe ne onorano la memoria con diffuse intitolazioni.
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Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) nel corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzo, Le Ricamatrici, Donne disobbedienti e Il labirinto delle perdute.