La Procura della Repubblica del Tribunale di Tivoli accoglie l’esposizione permanente di Toponomastica femminile dal titolo La metà dell’arte: pittrici, scultrici, fotografe, street artist del Novecento. Si tratta della seconda mostra presente nel palazzo della Procura intitolato a Francesca Morvillo, la magistrata uccisa nell’attentato di Capaci del 23 maggio 1992 insieme al marito Giovanni Falcone e agli uomini della scorta, dopo che nel 2019 è stata realizzata l’esposizione Le Rose spezzate, dedicata alle magistrate e ai magistrati caduti nell’adempimento del loro lavoro.

La mostra La metà dell’arte: pittrici, scultrici, fotografe, street artist del Novecento è parte significativa di un più ampio percorso di sensibilizzazione sui temi della violenza di genere realizzato da Toponomastica femminile all’interno del palazzo della Procura.

Pensata dalla sostituta procuratrice dottoressa Arianna Armanini, voluta dal procuratore della Repubblica dottor Francesco Menditto, sostenuta dal presidente del Consiglio Regionale del Lazio onorevole Marco Vincenzi, l’esposizione è curata da Livia Capasso e da Mauro Zennaro per Toponomastica femminile.

I sedici pannelli sono dedicati ad alcune protagoniste dimenticate dell’arte del XX secolo che, per formazione e provenienza, appartengono ad aree geografiche diverse e a differenti correnti artistiche.

Si va da Georgiana Houghton, unica pittrice ottocentesca della mostra, la cui arte anticipa di decenni sia le ricerche non figurative di maestri astrattisti come Kandinskij o Mondrian sia la tecnica dell’automatismo creativo del movimento Surrealista, alla street artist afgana Shamsia Hassani che, nelle sue opere, dipinge figure di donne nascoste dal burqa per denunciare la condizione femminile nel suo Paese.

Quattro i pannelli dedicati alle artiste italiane: l’aerofuturista Olga Biglieri, l’astrattista Carla Accardi, Ketty La Rocca, antesignana nel campo della Body Art e delle espressioni artistiche basate su performance, installazioni e videotape, e l’architetta Lina Bo Bardi.

I tratti che accomunano le artiste presenti in mostra sono la tenacia nel superare le barriere culturali e i pregiudizi sociali che ostacolavano la loro personale affermazione e l’eccezionale rapidità con cui la notorietà raggiunta si è spenta e il ricordo affievolito. Condannate a essere considerate artiste di rango minore, condannate a essere presto dimenticate, la loro è una sorta di violenza di genere perpetrata con azioni non sanguinose ma altrettanto prevaricatrici e spietate.



I sedici pannelli della mostra di Toponomastica femminile sono stati collocati, per decisione della sostituta procuratrice Armanini in accordo col procuratore Menditto, nel corridoio del primo piano. dove si trova la stanza in cui vengono ascoltate le vittime di violenza. Qui le magistrate e i magistrati, e tutto il personale che si occupa di questi delitti, raccolgono le prime parole delle donne che cercano di uscire dal gorgo di violenza, silenzio e omertà che spesso le circonda. Sistemarli su quelle pareti fa parte di un’azione integrata nella lotta alla violenza di genere in cui l’ascolto, l’attenzione e i procedimenti giudiziari si intrecciano ai percorsi culturali.
L’obiettivo della Procura di Tivoli è questo: se nell’arte le donne hanno saputo trasformarsi da figure passive ‒ modelle e muse ispiratrici ‒ in ideatrici e autrici di bellezza, allora anche per le donne che nelle stanze della Procura denunciano violenze e soprusi c’è la possibilità di un riscatto, la speranza di poter agire e non più subire.

La mostra La metà dell’arte: pittrici, scultrici, fotografe, street artist del Novecento è stata inaugurata il 7 luglio; nello stesso giorno gli organi di stampa hanno dato la notizia dell’incredibile sentenza assolutoria nei confronti di un uomo che, accusato di stupro, sarebbe stato “indotto a osare” tanto dalle azioni e dai gesti della sua vittima. Alla luce di tanto scempio, le strategie di lotta alla violenza di genere messe in atto dalla Procura di Tivoli appaiono ancora più virtuose e innovative, una vera ancora di salvezza per le vittime. La Procura si dimostra non solo vicina alle donne, ma anche aperta al territorio, alla cittadinanza e alle sue forme organizzative: le scuole che già da tempo visitano la mostra Le Rose spezzate, ora potranno vedere anche i pannelli dell’esposizione La metà dell’arte: pittrici, scultrici, fotografe, street artist del Novecento che rientra in un più ampio progetto realizzato da Toponomastica femminile, con il convinto sostegno del procuratore Menditto e della sostituta Procuratrice Armanini, in altri spazi del palazzo.

Infatti in un’area verde lungo la rampa che conduce all’ingresso dell’edificio è stata collocata una panchina rossa, rossa come il sangue di una donna uccisa dalla violenza maschile, simbolo di una vita che non è più. La Procura è un posto significativo in cui inserire una panchina rossa, è un punto nevralgico della lotta al femminicidio e a ogni forma di violenza contro le donne, è il luogo della denuncia e della possibilità di cambiamento, dove spezzare la solitudine e il silenzio che avvolgono le numerose e dolorose storie femminili, dove può avvenire una rinascita.

Accanto alla panchina rossa sono state messe a terra quattro piante di gelsomini che, intrecciando i loro tralci tra le fessure delle doghe, “invadono” lo spazio che un corpo femminile, offeso e “cancellato” dalla mano di un uomo, avrebbe potuto occupare; dietro lo schienale un albero di melograno, dai tempi più antichi simbolo di abbondanza e fertilità i cui frutti, dall’interno rosso, rimandano da sempre all’energia vitale e alla passione. La scelta di porre una pianta da frutto vicino alla panchina che ricorda una vittima di femminicidio vuole essere una restituzione simbolica della forma di vita sottratta violentemente alla comunità. L’albero da frutto crescerà negli anni, sarà bello ma sarà anche utile, così come lo sono le donne: belle, vitali, energiche e utili alle realtà in cui vivono e operano.

Se la panchina rossa può essere solo guardata dalla scalea d’ingresso, in un cortile interno del palazzo, accanto ad alberi di ulivo, Toponomastica femminile ha collocato cinque panchine sulle quali potranno sedersi i magistrati, le magistrate e tutto il personale degli uffici della Procura durante una breve pausa dagli impegni di lavoro.

Le persone che si accomoderanno sulle panchine per bere un caffè saranno accolte da una targa apposta sullo schienale e potranno leggere una frase di Alda Merini: «Non cerco qualcuno che mi curi, voglio qualcuno che non mi ferisca più». La frase, decisa e assertiva con i suoi «non cerco» e «voglio», sarà un’occasione ulteriore di riflessione sulla violenza di genere e sul cammino che tutte e tutti noi siamo chiamati a intraprendere perché questa dolorosa piaga sociale possa essere definitivamente curata.

***
Fotografie di Linda Zennaro
***
Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.
Questi sono i miracoli che avvengono quando le istituzioni sono guidate dalle persone giuste. Grazie a chi ha ideato la bella mostra, a chi l’ha voluta in Pretura.
"Mi piace""Mi piace"