Si chiude con quest’ultimo articolo la serie sulla mostra permanente “La metà dell’arte”, a Tivoli, nel palazzo della Procura della Repubblica, curata da me per Toponomastica femminile, nell’ambito di un progetto finalizzato alla sensibilizzazione sul tema del contrasto alla violenza. Ringrazio Mauro Zennaro per la realizzazione grafica dei pannelli che hanno illustrato sedici protagoniste dell’arte del Novecento: sedici donne coraggiose, che hanno lottato per emergere in un mondo dominato dai loro colleghi maschi, rivendicando caparbiamente il loro posto e impegnandosi anche in campi più ardui, di solito inaccessibili a mani femminili. La violenza sulle donne si combatte anche così, rendendo giustizia all’operato delle donne.
E mi piace chiudere con una delle artiste che prediligo, per aver abbattuto uno stereotipo, quello della bellezza femminile, resistente da secoli, e con l’unica artista dell’800 presente in mostra, antesignana della pittura astratta.
Alice Neel (Gladwyne, Pennsylvania, 1900 – New York, 1984)
Fin da piccola Alice voleva essere un’artista, anche se al suo tempo le aspettative per una donna erano poche. Studiò alla Philadelphia School of Design for Women, ricevendo menzioni d’onore. Laureatasi, sposò nel 1925 un pittore cubano e si trasferì a L’Avana, dove nel movimento Vanguardia, un insieme di giovani scrittori e scrittrici, artisti/e e musicisti/e, sviluppò la sua coscienza politica e l’impegno per l’uguaglianza. Nel 1927 la coppia tornò a vivere a New York. La tragica morte della figlia Santillana per difterite a undici mesi e il ritorno a Cuba del marito, che aveva portato con sé l’altra figlia Isabelle, fecero vacillare il suo equilibrio psichico. Dopo un tentativo di suicidio, fu ricoverata in ospedale, dove, confortata dalla pittura, continuava a dipingere. Dimessa, tornò a New York, vivendo in povertà, ma, lavorando a programmi governativi, cominciava ad avere riconoscimenti.
Il suo stile realistico, in un periodo in cui dominava l’astrattismo, ne ritardò il successo; i suoi soggetti erano tratti dal mondo che frequentava: artisti/e, intellettuali e leader politici del Partito Comunista, ritratti con un uso espressionista di linee e colori.
Il 1930 fu un periodo della sua vita tra i più produttivi, perché fu allora che cominciò a dipingere i suoi primi nudi femminili, che lei riteneva avessero sempre rappresentato nell’arte occidentale una donna vulnerabile, anonima, passiva. I suoi nudi femminili invece sfidano i modelli stereotipati delle donne, e liberi da questa ideologia prevalente acquistano un’identità e un potere nuovi.

Uno dei primi ritratti di nudo femminile è quello della sua amica Ethel V. Ashton: la donna vi compare accovacciata, mentre guarda lo spettatore direttamente negli occhi. Neel disse di questo ritratto: «Si sta quasi scusando per vivere. E guarda tutti i mobili che deve portare sempre con sé». Con i mobili l’artista si riferiva alle sue cosce pesanti, alla pancia gonfia e ai seni penduli. Il dipinto non piacque e Ethel stessa, quando lo vide, fu colta da un impeto di rabbia. Non era lusinghiero per la forma femminile, tuttavia, l’obiettivo di Neel non era quello di dipingere il corpo femminile in modo idealistico, voleva dipingerlo in modo veritiero e onesto, e che fosse lo specchio dell’anima.


Il suo lavoro ha glorificato la sovversione e la sessualità, raffigurando scene stravaganti di amanti e nudi, come un acquerello che ha realizzato nel 1935, Alice Neel e John Rothschild in the Bathroom, che mostrava la coppia nuda che fa pipì. O Joe Gould, che dipinse nel 1933 con più peni, per rappresentare il suo ego gonfiato.


Nel 1943 perse il lavoro alla Works Progress Administration e l’artista, si ritrovò col sussidio di disoccupazione a mantenere i suoi due figli, nati da altri amanti.

Verso la metà degli anni ’60, molte delle sue amiche erano rimaste incinte, e questo le diede ispirazione a dipingere una serie di donne nude in stato di gravidanza. I ritratti evidenziano in modo veritiero, invece di nasconderli, i cambiamenti fisici e le ansie emotive che coesistono con questo particolare stato della donna.
Quando le fu chiesto perché dipingesse nudi in gravidanza, Neel rispose:

«La gravidanza è una parte molto importante della vita ed è stata trascurata. Sento come soggetto che è perfettamente legittimo. Inoltre, plasticamente, è molto eccitante, ma i pittori moderni lo hanno evitato perché le donne sono sempre state trattate come oggetti sessuali. Una donna incinta, invece, non è in vendita». I suoi nudi femminili hanno fatto crollare la dicotomia che polarizza le donne nella casta Madonna o nello spettro della puttana, poiché i ritratti erano di donne comuni che si vedono intorno a noi tutti i giorni, ma non nell’arte.

Verso la fine degli anni ’60 fu il movimento delle donne ad attirare l’attenzione sul lavoro di Neel, che diventò un’icona per le femministe.
Per la copertina della rivista Time, nel 1970, le fu commissionato un ritratto dell’attivista femminista Kate Millett, che si rifiutò di posare per Neel; di conseguenza, la copertina della rivista si basò su una sua fotografia. In questo dipinto Kate Millett guarda direttamente lo spettatore e il suo sguardo trasmette un senso di imponente fiducia.

Nel 1978 ha dipinto Margaret Evans Pregnant: la donna è seduta su una sedia verticale che la costringe a esporre ancora di più la sua pancia gravida, punto centrale della tela. Proprio dietro la sedia è stato posizionato uno specchio che permette allo spettatore di vedere la parte posteriore della testa e del collo di Margaret. La vista dal retro, però, non somiglia per niente al suo ritratto frontale. Qualche critico ha suggerito che l’immagine potrebbe essere “un misterioso doppio del soggetto e dell’artista, presagio dell’età avanzata”.


Neel si è dipinta nel suo ottantesimo anno di vita, seduta su una sedia nel suo studio, completamente nuda. Porta gli occhiali e tiene il pennello nella mano destra; ha i capelli bianchi, e la testa girata verso lo spettatore, i seni cadenti, le pieghe nella pelle e la pancia prominente: tutto indica la sua vecchiaia. Ancora una volta nel suo ultimo dipinto, ha sfidato le norme sociali di ciò che era accettabile da raffigurare nell’arte.
La morte la colse nel suo appartamento di New York City, a causa di un cancro al colon.
Georgiana Houghton (Las Palmas de Gran Canaria nel 1814 – Londra, 1884)
Nata alle Canarie, Georgiana si trasferì presto a Londra, dove poi ha trascorso tutta la sua vita: è stata una pioniera dell’arte spiritista e sviluppò abilità anche come medium dopo aver frequentato la sua prima seduta spiritica nel 1859. Le sue prime opere raffiguravano fiori e frutti estremamente stilizzati, in seguito il suo stile divenne completamente astratto, ritraendo non più oggetti, ma un’esperienza spirituale. Realizzò i suoi primi disegni medianici nel 1861. Per il decennio successivo, sotto la guida di uno spirito chiamato Lenny seguito da maestri pittori e settanta Arcangeli, ha prodotto oltre 155 straordinari disegni di spiriti ad acquerello, dichiarando sul retro delle stesse opere che la sua mano era guidata da vari spiriti.
La Londra vittoriana era un contesto caratterizzato dall’ascesa di tutta una serie di credenze sovrannaturali. Lo Spiritualismo, che elabora un metodo per comunicare con i defunti nel corso di sedute condotte da medium, si diffuse in Inghilterra negli anni Cinquanta del XIX secolo e in breve tempo influenzò la cultura artistica e letteraria. Affascinata dallo Spiritualismo, Houghton era convinta che le permetteva di mantenere un contatto più stretto con Dio, e che “amici invisibili” di nome Tiziano e Tiepolo la guidassero nella composizione delle sue seducenti tele.


Negli anni Sessanta e Settanta del XIX secolo l’artista tradusse il suo furore religioso nei “disegni di spiriti”, una serie di multiformi opere astratte su carta. Houghton sosteneva di poter entrare in contatto con guide spirituali che abitano un regno al di là del mondo fisico. Durante questi incontri sovrannaturali, documentava le istruzioni ricevute, realizzando acquerelli astratti e peculiari disegni a matita con la scrittura automatica.


In The Flower of William Stringer, del 1866, linee spiraliformi e rette scorrono sulla pagina come onde rosse, color seppia e azzurre.

The Spiritual Crown of Annie Mary Howitt Watts, del 1867, è composto di riccioli ritmicamente stratificati di bianco, arancio e rosso mirtillo. L’intenzione di Houghton, come afferma nella sua autobiografia, è quella di «mostrare […] la Luce ora effusa sull’umanità grazie al ristabilito potere della comunione con l’invisibile». In Inghilterra furono le donne a intraprendere questo tipo di arte: insieme a Georgiana Houghton anche Anna Howitt Watts ed Elizabeth Wilkinson, seguite da Barbara Honywood, Catherine Berry e Alice Pery, dimostrarono che in Inghilterra erano le donne a guidare il campo dell’arte ispirata dallo spirito.
La tecnica di processo automatico sarebbe stata rivisitata in seguito anche dall’artista svedese Hilma af Klint e, dal 1919 in poi, dai surrealisti.
Man mano che la sua produzione andava avanti, le sue immagini acquistano maggiore complessità, ricchezza di colori e dettagli: vortici intrecciati di colori audaci e forme fluide formano una stratificazione astratta e armoniosa, “fili aggrovigliati di lana colorata”, come li definì il Daily News.

Nell’Ottocento, e soprattutto nell’Inghilterra vittoriana, l’astrazione era ancora sconosciuta, da qui la perplessità con cui i suoi dipinti furono accolti dalla critica. Per raggiungere un pubblico più ampio, Georgiana organizzò da sola una mostra personale, nel 1871 presso la New British Gallery a Londra, che fu un fallimento e molti visitatori rimasero scioccati dalle inedite forme astratte.
La maggior parte dei suoi dipinti sono andati perduti. Dei quarantasei sopravvissuti la maggior parte sono nelle raccolte di società spiritualiste, circa trentacinque sono volati in Australia e conservati dalla Victorian Spiritualist Union a Melbourne. Nonostante che abbia anticipato di almeno quarant’anni Kandinsky, Malevich, Kupka e Mondrian, è sorprendente che sia stata ampiamente ignorata dagli storici dell’arte per oltre un secolo. La sua riscoperta ha rivelato che l’astrazione non nasce, come recitano tutti i testi scolastici, nel 1910 con il primo acquarello astratto di Kandinsky, ma almeno quarant’anni prima, dalle intuizioni di un’artista semisconosciuta e oggi finalmente riportata alla luce.
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.