Quanti e quante italiane sanno quali diritti comporta la cittadinanza europea?
Quanti e quante docenti conoscono il funzionamento e le competenze degli organi dell’Unione Europea? Come si fa a formare all’educazione civica europea, insegnando a diventare cittadini e cittadine attive? Quanto è corretta l’informazione giornalistica italiana sull’Unione? E quanto sono corretti i nostri e le nostre politiche quando fanno dell’Unione Europea il capro espiatorio di quasi tutti i problemi italiani? Si riesce a fare informazione sull’Unione senza essere giudicati propagandistici?
A queste e tante altre domande ha provato a dare risposte convincenti il 7 ottobre scorso il primo incontro del Corso online di Educazione civica europea in ottica di Genere, a cura della Società italiana delle storiche e di Archivia, con la lezione della professoressa Giuliana Laschi, che insegna Storia internazionale dell’età contemporanea e Storia dell’integrazione europea ed è docente dell’Università di Bologna presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali. L’incontro, introdotto da Rosanna De Longis della Società italiana delle storiche, aveva per titolo L’Unione europea: dal presente alle sfide future.

Questo corso, che si articolerà in 6 lezioni e 2 laboratori, intercetta un bisogno di formazione delle e dei docenti sui temi collegati all’Unione Europea, inserendosi nella nuova disciplina trasversale e interdisciplinare Educazione civica introdotta con la legge del 20 agosto 2019 ed entrata in vigore nell’anno scolastico 2020/2021. Sulle finalità di questa legge, sul curriculum di educazione civica e sul percorso travagliato di questa disciplina rinvio al mio articolo pubblicato su Vitamine vaganti L’Educazione civica come motore di cambiamento nella scuola. L’originalità di questo corso consiste nell’affrontare un tema spesso trascurato o “mal-trattato” nelle nostre scuole, quello dell’Unione Europea, spesso chiamata impropriamente Europa, inserendolo all’interno dell’educazione civica e perseguendo nel contempo l’obiettivo numero n. 5 dell’Agenda 2030 dell’Onu: la parità di genere.
La Prof.ssa Laschi si dedica da 20 anni all’attività didattica di Terza missione destinata a chi si occupa di politica, giornalismo, funzione pubblica e a studenti e docenti di ogni ordine e grado per rinforzare la conoscenza di questa organizzazione sovranazionale e intergovernativa a ogni livello. È referente scientifica di Punto Europa, Campus Forlivese dell’Università di Bologna, riconosciuto come Centro di eccellenza Jean Monnet.
Laschi nella sua lezione ha ricordato che sui temi dell’Unione Europea occorre uno sguardo interdisciplinare: non solo quello della storia, ma quello giuridico, politico e di relazioni internazionali. Tra le discipline non è stata citata la geopolitica, che in questi tempi di guerra ha avuto grande visibilità nei media e che, a mio parere, può contribuire ad allargare lo sguardo sui conflitti tra le potenze e sul ruolo dell’Unione Europea. La relatrice si è soffermata su un dato di fatto fondamentale: la maggior parte dei cittadini e delle cittadine europee non sanno in che cosa consista la cittadinanza europea, prevista dal Trattato di Maastricht, e quali diritti (e doveri) preveda. Il limite di questa cittadinanza è che è possibile ottenerla solo se si ha già una cittadinanza di uno degli Stati membri dell’Unione.
Eppure i diritti collegati allo status di cittadina/o europeo presuppongono forme di cittadinanza attiva che potrebbero portare notevoli miglioramenti agli atti e alle politiche comunitarie. L’ignoranza sull’Unione, sui suoi organi e le loro competenze, sulle sue politiche, viene rilevata ogni anno dall’Eurobarometro che registra il penultimo posto dell’Italia riguardo alla conoscenza dell’Ue, prima della Romania. L’euroscetticismo in quello che fu uno dei sei Paesi fondatori della Comunità Europea è molto forte e tende a fare dell’Unione il capro espiatorio di tutti i mali italiani; d’altro canto, quando l’Unione Europea è chiamata a difendersi dalle accuse che le sono mosse, spesso infondate, lo fa in modo propagandistico, tecnicistico, autoreferenziale e poco efficace.
A tale proposito la Prof.ssa Laschi ha creato e supervisiona il Progetto educativo per le scuole «Educazione alla cittadinanza europea», che coinvolge studenti universitari e docenti delle scuole, riconosciuto best practice dalla Commissione Europea. Gli studenti sono formati e vanno nelle scuole a raccontare che cos’è l’Unione Europea e quali strumenti di cittadinanza attiva prevede, riscuotendo un buon successo, come spesso accade quando sono persone giovani e che stanno ancora studiando a tenere lezioni ai loro fratelli e alle loro sorelle minori, anche se non sempre trovano la collaborazione dei e delle docenti, che, come spesso accade con gli esperti e le esperte esterne, ne approfittano per allontanarsi dall’aula, senza comprendere che compito dell’insegnante è imparare sempre.
Per fortuna non con tutte e tutti è così: alcuni/e insegnanti sono molto collaborative e richiedono la formazione propria prima di quella dei loro e delle loro studenti. Questo è l’atteggiamento migliore, perché consente di dare continuità a questi interventi spot. Riprendere con le classi in aula quanto ascoltato e appreso, sia subito dopo l’incontro che in occasione di avvenimenti che riguardano le politiche e le istituzioni europee, abitua le giovani generazioni a interessarsi a queste questioni e a essere davvero e non solo a parole cittadini e cittadine europee.
Il secondo punto su cui la docente si è soffermata riguarda lo scarso entusiasmo e la insufficiente competenza dei e delle nostre docenti sull’Unione Europea e quindi la grande richiesta di formazione. Essendo stata nella scuola per moltissimi anni, non posso che confermare questo dato. Le tematiche europee spesso trovano nelle e negli studenti degli atteggiamenti fondati su una cattiva conoscenza appresa dai media e in famiglia, ma non è certo con gli opuscoli propagandistici, spesso dispendiosi, pubblicati dall’Ue che si combatte questa cattiva conoscenza.
La Prof.ssa Laschi, dopo avere velocemente descritto organi e principali politiche dell’Unione, ha fornito utili suggerimenti per rivalutare, laddove si può, l’immagine dell’organizzazione sovranazionale di cui facciamo parte, ricordando che essa rappresenta il maggior blocco commerciale del mondo, il principale esportatore di merci e servizi a livello mondiale ed è mercato di esportazione per 130 Paesi. Ha molto insistito sul concetto di condivisione, più che di limitazione della sovranità degli Stati, richiamando i Padri e le Madri del sogno europeo, per controbattere alle obiezioni dei sovranisti; ha ricordato che l’Ue è un’organizzazione sovranazionale e intergovernativa sui generis, un caso unico nel mondo.
La relazione di Laschi non ha mancato di mettere in luce la crisi in cui dagli anni ‘90 si trova l’Unione Europea, una crisi prima politica e poi economica, che è emersa in tutta la sua gravità per l’assenza di un progetto politico condiviso, per il riemergere di quei nazionalismi che i Padri e le Madri federaliste volevano combattere con la sua creazione, per una politica migratoria inadeguata e per l’assenza di una Costituzione.
Una politica della paura e l’ideologia del Muro, il riemergere di una forte identità nazionale e la critica economica a una politica monetaria neoliberista (messi molto bene in luce dai due libri di Yanis Varoufakis, I deboli sono destinati a soffrire? e Adulti nella stanza n.d.r.) hanno fatto perdere di vista il progetto iniziale di quella che dal 1992 è l’Unione Europea. Secondo la docente di Storia contemporanea dell’Università di Bologna occorre ripensare il progetto di integrazione, combattendo la diffusa convinzione che la pace seguita alla costituzione dell’Unione sia stata dovuta alla Nato, mentre la costruzione della pace è il frutto di un lavoro quotidiano; ha ricordato la bellissima esperienza dell’Erasmus, creatura d’origine italiana che si deve a una donna e la forte sensibilità sulla parità di genere che da moltissimo tempo contraddistingue l’organizzazione sovranazionale di cui siamo cittadini e cittadine, oltre al modello di Welfare europeo che, pure nelle sue diverse articolazioni nei diversi Stati, è unico al mondo.
Non basta aver previsto l’elezione del Parlamento europeo a suffragio universale dal 1978 per definire democratica l’Unione, un Parlamento europeo che ha avuto un ruolo puramente consultivo per molto tempo e che oggi condivide la funzione legislativa con il Consiglio dei Ministri e può sollecitare il potere di proposta della Commissione. Perché l’Unione Europea sia davvero democratica occorre un grande dibattito di fondo, che ripensi le finalità dell’integrazione e che sia portato avanti non dai governi, come fino ad ora è stato, in modo tecnico e con un linguaggio lontano dai popoli, ma dai suoi cittadini e dalle sue cittadine.
Per fare questo è necessario un lavoro capillare di formazione nella società e nelle scuole, che possa essere condotto sull’esempio del Progetto ideato dalla Prof.ssa Laschi, con studenti universitari/e formati/e sia sulle istituzioni europee e il processo di integrazione, sia sulla capacità di parlare in pubblico, diversificando il proprio linguaggio a seconda dei destinatari, sia svolgendo attività di animazione, evitando il tecnicismo che ha caratterizzato per molti decenni l’informazione su quella che oggi si chiama Unione Europea. Questo con l’obiettivo finale di costruire un’identità europea condivisa, una cultura comune fondata su una profonda conoscenza reciproca fra europei/e che renda concreta la cittadinanza dell’Unione, che altrimenti corre il rischio di essere svuotata di senso.
Durante il dibattito una docente iscritta al corso ha sottolineato, tra le cause della scarsa conoscenza sull’Unione Europea da parte delle classi, la mancanza dell’insegnamento del diritto in molte scuole e significativamente nei due Licei per antonomasia, classico e scientifico. Trovo che questa osservazione colga nel segno, anche se ritengo che, anche alla luce delle Linee guida della nuova disciplina di Educazione civica, le conoscenze relative all’Unione come ad ogni altro tema dovrebbero essere condivise da tutte e tutti i docenti, che prima di essere professori e professoresse, sono cittadini e cittadine europee.
Tra le tante cose positive da ricordare sulle politiche europee, mi piace sottolineare qui l’implementazione della metodologia Clil (Content language integrated learning) nelle nostre scuole, dove l’inglese è utilizzato come lingua franca per veicolare contenuti delle diverse discipline. Mi sono specializzata con grande entusiasmo in questo insegnamento con una tesi che riguardava proprio l’Unione Europea e la cittadinanza attiva dal titolo: From the Ventotene Manifesto towards the United States of Europe/ The European Union and its policies: put your knowledge into action.
Devo all’Unione Europea l’opportunità di avere appreso una metodologia che ha cambiato il mio modo di insegnare e valutare e che ha incontrato il favore delle e degli studenti che ho coinvolto su queste tematiche, imparando a renderle interessanti attraverso una metodologia student-focused. Purtroppo sia la tematica che ho scelto che la metodologia che ho imparato hanno incontrato nei colleghi e nelle colleghe, salvo rare eccezioni, il disinteresse generale.
Le parole di Laschi mi hanno fatto riflettere sull’importanza di una conoscenza e di una cultura condivise che anche su questo punto sono mancate. Responsabilità della cosiddetta Europa o delle politiche italiane dell’istruzione?
Dopo l’incontro con Laschi ho finalmente trovato la risposta.
Per chi volesse saperne di più sui due enti che hanno organizzato questo corso: http://www.societadellestoriche.it https://www.archiviaabcd.it
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Articolo di Sara Marsico

Ama definirsi un’escursionista con la e minuscola e una Camminatrice con la c maiuscola. Docente per passione da poco in pensione, è stata presidente dell’Osservatorio contro le mafie nel sud Milano e referente di Toponomastica femminile nella sua scuola. Scrive di donne, Costituzione e cammini.