I percorsi di genere, attraverso città, musei e gallerie, o inseguendo un filone tematico, mirano alla ricerca di figure femminili, personaggi storici, mitologici, sante ed eroine che vi hanno lasciato traccia.
Seguiremo le orme lasciate dalle presenze femminili ospitate a Roma nel museo di Palazzo Massimo, dove tra i suoi quattro piani si incontrano alcuni tra i maggiori capolavori dell’intera produzione artistica del mondo romano: sculture, rilievi, affreschi, mosaici, stucchi e sarcofagi, provenienti dagli scavi effettuati a Roma e nel territorio circostante a partire dal 1870.
Palazzo Massimo alle Terme è la principale delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano, assieme al Museo delle Terme di Diocleziano, a Palazzo Altemps e alla Crypta Balbi.
Sito nel rione Esquilino, nei pressi della stazione Termini, deve il suo nome ai vecchi proprietari, i principi Massimo. Svolse la funzione di collegio d’istruzione fino al 1960; acquistato e restaurato dallo Stato italiano, è stato inaugurato come sede museale nel 1998.

L’esposizione si articola nei quattro piani del palazzo. Nel piano interrato si trovano la Sezione Oreficeria e la Sezione Numismatica. Eccezionale interesse riveste il corredo funerario della bambina di Grottarossa, esposto integralmente assieme alla piccola mummia e alla sua bambola. Il rito dell’imbalsamazione, sebbene conosciuto a Roma, trova qui l’unica documentazione nota: è la mummia di una bambina di circa otto anni, risalente al II secolo d.C. circa, ritrovata sulla via Cassia all’interno del suo sarcofago. La pietà dei genitori volle ornarla con una collana in oro e zaffiri, due orecchini d’oro e un anello con castone aureo sul quale è incisa una vittoria alata, indici dell’elevata posizione economica della famiglia. Nel sarcofago a farle compagnia è stata trovata una bambola in avorio alta 16,5 cm con braccia e gambe articolate, snodabile come una moderna Barbie, e ancora vasetti di ambra e amuleti.

Nelle sale del piano terra sono esposti splendidi originali greci rinvenuti a Roma, capolavori della statuaria antica dall’età repubblicana all’epoca della dinastia Giulio-Claudia e la ritrattistica coeva.
Niobide morente (originale greco, 440-430 a.C.) di autore sconosciuto, trovata negli Horti Sallustiani, raffigura una giovane donna che, colpita a morte alle spalle da una freccia, cade in ginocchio tentando di estrarla. Vi si può identificare una delle figlie di Niobe, la mitica regina madre di sette figli che osò vantarsi di essere più prolifica di Latona e per questo fu punita da Apollo e Artemide con l’uccisione dei suoi figli e delle sue figlie. La fanciulla morente ha la testa rovesciata all’indietro, con gli occhi spalancati rivolti verso l’alto e la bocca dischiusa a emettere un gemito di sofferenza.
Interessantissima a Palazzo Massimo è la ritrattistica, i numerosissimi esemplari, anche originali, che ci sono giunti, hanno permesso una valutazione molto approfondita di questo genere artistico. Volti di uomini e donne sbucano dal passato: persone comuni, imperatori, atleti, soldati, divinità.
Nella galleria di ritratti femminili troviamo ritratti di ignote donne, anziane o giovani, un ritratto di Saffo, due ritratti dell’imperatrice Livia, un ritratto di Agrippina minore, uno di una principessa Giulio-Claudia, altri personaggi femminili dell’età degli imperatori Flavi e Antonini (Crispina, Plotina, Faustina minore …) e infine personaggi femminili del II-IV sec. d.C.

In base a numerose repliche che ritraggono la celebre poetessa di Lesbo con la stessa pettinatura, si crede che questo splendido ritratto immortali le sembianze di Saffo (612-580 a.C.). Questa testa, in marmo bigio morato, proveniente dal Museo Kircheriano (Wunderkammer) è forse una replica moderna del XVI o XVIII secolo, ma potrebbe anche essere una scultura antica rilavorata e rilucidata: la poeta, dai lineamenti regolari e una bocca carnosa, ha i capelli raccolti in una elaborata acconciatura, quasi una cuffia, mentre due boccoli le pendono ai lati del volto.
La grande varietà di ritratti femminili, presenti a Palazzo Massimo, ci permette di approfondire la nostra conoscenza della moda femminile di acconciare i capelli. Le donne romane in epoca repubblicana coprivano il capo con veli o mantelli, quando uscivano di casa; ma in epoca imperiale tolsero il velo e adornarono le chiome in vario modo: acconciavano i capelli in complicatissimi riccioli, o lunghe trecce, innalzate sulla sommità della testa come delle torri, il tutto ornato con diademi, coroncine e spilloni, o rinforzato da capelli posticci.

L’imperatrice Livia, in questo ritratto, si concede un grosso boccolo sulla fronte, poche onde sui lati e trecce raccolte dietro la nuca. Niente di troppo elaborato; le donne dell’epoca si adeguarono, ma alla sua morte si scatenarono: ricciolini a ciocche pendenti, o che incorniciano il viso, anellini e fasce che spuntano tra le onde, rotoli di trecce che scendono sul collo, o trecce avvolte dietro la nuca e tanti riccioli inamidati davanti a mo’ di cappello, o ancora boccoli allineati perfettamente con giri precisi. Livia Drusilla Claudia (Roma, 58 a.C.–29 d.C.), fu la seconda moglie dell’Imperatore Augusto e visse negli anni della trasformazione di Roma da Repubblica a Impero.
Rappresentò per le matrone romane un modello di dedizione ai valori tradizionali. Certamente fu una grande figura storica. In una società conservatrice e maschilista Livia seppe affermarsi come personaggio pubblico, gestendo una propria sfera d’influenza riconosciuta e pretendendo il riconoscimento della sua presenza imperiale accanto al consorte. Al primo piano di Palazzo Massimo sono esposti altri celebri capolavori della statuaria, tutti di età imperiale e Flavia

Afrodite accovacciata era una scultura bronzea di Doidalsa, databile al 250 a.C. circa e oggi nota solo da copie di epoca romana, tra cui la migliore è considerata quella marmorea senza braccia nel Museo di Palazzo Massimo. Altre copie sono al Louvre, al British Museum e agli Uffizi. Doidalsa rappresentò Afrodite in una posa originalissima, accovacciata sulle ginocchia, mentre si prepara a ricevere l’acqua del bagno sacro, sviluppando l’idea dell’Afrodite Cnidia di Prassitele. La diversa inclinazione delle gambe, la schiena piegata, la testa ruotata con grazia verso sinistra, mostrano la dea in un atteggiamento umanizzato, lontano dalle atmosfere di idealizzazione ultraterrena delle opere del precedente periodo classico, e più rispondente al clima culturale dell’Ellenismo.

La Fanciulla di Anzio è stata rinvenuta nella Villa Imperiale, detta di Nerone, ad Anzio, a seguito di una mareggiata nel 1878. La statua raffigura una fanciulla rivolta verso sinistra, mentre avanza vestita di chitone e imation, che porta arrotolato, per non inciampare. Appoggiandosi sulla gamba sinistra, sostiene un vassoio, verso il quale tende lo sguardo, contenente degli oggetti votivi: un rotolo semiaperto, un ramo d’alloro e un oggetto del quale rimangono solo due piedi a forma di zampa di leone. Potrebbe trattarsi di una sacerdotessa, ma è più probabile che si tratti di una giovane fanciulla che si appresta a partecipare a un rito sacro.
Al secondo piano pareti affrescate e mosaici pavimentali documentano la decorazione domestica di prestigiose residenze romane.



Il giardino dipinto della Villa di Livia a Prima Porta, databile intorno al 30-20 a.C. ricopriva le pareti di una sala semi-sotterranea nella Villa suburbana dell’imperatrice Livia. Il grande sito archeologico fu rinvenuto nel 1863 sulla via Flaminia.
L’affresco, appartenente al secondo stile, presenta con colori e dettagli straordinari una varietà di piante e di uccelli naturalisticamente riprodotti. Numerose sono le specie botaniche individuate: in primo piano, il pino domestico, la quercia, l’abete rosso; oltre un recinto marmoreo crescono meli cotogni, melograni, mirti, oleandri, palme da datteri, corbezzoli, allori, viburni, lecci, bossi, cipressi, edera e acanto. Nel prato sotto gli alberi fioriscono rose, papaveri, crisantemi e camomilla, mentre nei vialetti in primo piano si alternano felci, violette e iris.
Le specie vegetali sono 23 e quelle avicole ben 69. Ma la verosimiglianza dei dettagli non deve trarci in inganno, questo non è un giardino reale, bensì un luogo incantato: infatti vi si possono trovare specie che non fioriscono nello stesso periodo dell’anno. In seguito ai danni della seconda guerra mondiale si decise per il distacco degli affreschi, un’operazione che fu eseguita, nel 1951-1952, a cura dell’Istituto superiore per la conservazione e il restauro (Icr); da allora sono conservati nel Museo nazionale romano, oggi nella sezione di palazzo Massimo alle Terme.
In copertina: Palazzo Massimo alle Terme, facciata.
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Articolo di Livia Capasso

Laureata in Lettere moderne a indirizzo storico-artistico, ha insegnato Storia dell’arte nei licei fino al pensionamento. Accostatasi a tematiche femministe, è tra le fondatrici dell’associazione Toponomastica femminile.