La narrazione tossica del femminicidio

La lingua e la cultura sono sempre in perenne divenire e la lingua spesso viene utilizzata per tramandare concetti culturali che ovviamente mutano con lo scorrere del tempo.
Questo chiaro e sintetico concetto, nella nostra nazione, pare essere ignorato in tanti campi ma quello su cui focalizzeremo la nostra attenzione è relativo ai “fatti” inerenti la violenza subita dalle donne spesso sfociati in femminicidi.
Esiste una sorta di “narrazione tossica” quando la cronaca ci racconta o ci informa di queste terribili notizie, come bene spiega la sociologa Graziella Priulla nel suo saggio Parole tossiche: storie di ordinario sessismo: «Le parole non sono strumenti inerti ma definiscono l’orizzonte nel quale viviamo, noi siamo le parole che usiamo, la lingua ci fa dire le parole cui la società l’ha abituata. Può essere usata per rispettare o disumanizzare e stimolare comportamenti civili o incivili. Bisogna prestare attenzione perché è il mezzo privilegiato attraverso cui costruiamo i significati».
Leggendo i titoli di tanti giornali o ascoltando le notizie, ci si rende conto di come una delle piaghe peggiori che permea il “giornalismo nostrano” sia proprio il linguaggio utilizzato nel riportare le notizie di femminicidio o di violenza contro le donne.
Le parole usate, molte, troppe volte nell’ultimo decennio, tendono a sminuire se non a giustificare quegli atti. Nel tempo ho diligentemente preso appunti e sono in grado di elencarne una serie da condividere con lettrici e lettori.

Uccide la moglie che lo aveva tradito.
Colto da raptus uccide la compagna.
Femminicidio nel lodigiano: era una prostituta.
Prima dell’omicidio della fidanzata aveva dichiarato: farò di tutto per riaverti.
È stato un omicidio passionale.
La ragazza stuprata era ubriaca.
La ragazza stuprata è stata ingenua.
Tutti i vicini di casa testimoniano che l’assassino era un padre attento e premuroso.
La vittima indossava abiti succinti.
La vittima indossava la minigonna.
Il fidanzato assassino è ritenuto da tutti una persona per bene.
In un attimo di follia ha ucciso la propria compagna.
Il presunto stupratore ha dichiarato di avere avuto rapporti sessuali ma la vittima era consenziente.
L’assassino ha agito d’impulso quando ha visto la ex moglie con un altro uomo.
L’assassino ha dichiarato che la fidanzata voleva interrompere la relazione.
La vittima si trovava nel parco a notte tarda.
La moglie aveva deciso di divorziare e il marito ha avuto un crollo emotivo e l’ha strangolata.
La moglie lo minacciava di voler abbandonare il tetto coniugale e lui, colto da raptus, l’ha accoltellata.
L’assassino non sopportava l’idea che la sua ex moglie avesse un altro uomo.
L’uomo, accecato dalla gelosia, ha ucciso la moglie a martellate.
La vittima dello stupro aveva assunto sostanze stupefacenti.
Il branco si difende affermando che le due ragazze volevano fare sesso di gruppo.
L’assassino è uno stimato professionista.
Lo stupratore è stato dichiarato incapace di intendere e di volere.
La vittima dello stupro aveva avuto una relazione precedente con lo stupratore.
Il marito era ossessionato dalle continue richieste di denaro della moglie e l’ha soffocata con un cuscino.
La ragazza, stuprata per un’intera notte da un gruppo di amici, aveva accettato di recarsi con loro a una festa in un casolare di campagna.
L’assassino ha dichiarato che la moglie voleva lasciarlo e portare con sé i figli.
L’ha uccisa perché aveva avviato la pratica di separazione.
La donna ritrovata cadavere nelle campagne dell’entroterra siciliano aveva accettato un passaggio in auto da uno sconosciuto.
La vittima ritrovata in un fosso lungo l’argine del Po, non indossava biancheria intima. Molto probabilmente si tratta di una prostituta extracomunitaria.
L’assassino esasperato dai continui litigi con la moglie l’ha uccisa con un colpo di pistola alla testa.
L’assassino probabilmente soffriva di gravi disturbi psichici.
La vittima aveva avuto una relazione con un ex detenuto.
Il presunto assassino si è sempre dichiarato innocente e vittima di un complotto dell’amante della moglie.
Un eccesso di passione l’ha spinto a commettere l’omicidio della fidanzata.
L’ha uccisa per troppo amore.
Soccombe alla gelosia e uccide la fidanzata.
I vicini di casa hanno dichiarato che lui era un marito affettuoso e premuroso.
Non sopportava l’idea del divorzio e l’ha uccisa con un colpo di fucile.
La ex moglie aveva da tempo una relazione extraconiugale e lui le ha tagliato la gola.

Sono queste le frasi che, spesso, raccontano le violenze.
Questa narrazione tende, non solo a giustificare l’eliminazione fisica della donna, ma anche ad attribuire la colpa del comportamento dell’assassino o dello stupratore alla vittima.
Donna vittima della violenza fisica e vittima delle parole.
Parole pesanti come macigni che non vogliamo più né leggere né ascoltare.

***

Articolo di Ester Rizzo

Laureata in Giurisprudenza e specializzata presso l’Ist. Sup. di Giornalismo di Palermo, è docente al CUSCA (Centro Universitario Socio Culturale Adulti) nel corso di Letteratura al femminile. Collabora con varie testate on line, tra cui Malgradotutto e Dol’s. Ha curato il volume Le Mille: i primati delle donne ed è autrice di Camicette bianche. Oltre l’otto marzoLe Ricamatrici, Donne disobbedienti Il labirinto delle perdute.

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