Una donna contiene in sé tante donne e Olga Resnevič Signorelli non fa eccezione. È stata una brillante medica, una raffinata traduttrice e scrittrice, un’appassionata amante dell’arte, un’amica generosa per molte persone. La sua biografia ricca di eventi, esperienze e incontri ha attraversato il Novecento con intensità e profondità e, al tempo stesso, semplicità e leggerezza, marcando la storia culturale romana e nazionale in modo poco appariscente ma significativo. Il cuore domestico di questa straordinaria esistenza è stato, dal 1910 e per diversi anni, un appartamento in via XX settembre, al civico 68, dove sarebbe bello fosse collocata una targa commemorativa in suo ricordo.

Olga Resnevič era nata nel 1883 in Lettonia, «il Paese più profumato d’Europa» come ha scritto nelle sue Memorie. La natura e le sue cicliche trasformazioni accompagnarono come amiche fedeli i suoi anni di infanzia e adolescenza.

Nella casa dei suoi genitori, in campagna, Olga bambina annusava i profumi degli alberi da frutta che si mescolavano con quelli degli abeti e delle betulle del bosco vicino. I mesi invernali avevano giornate brevi e lunghe notti, la neve seppelliva tutto e avvolgeva il tempo in «un silenzio di tomba». I racconti delle favole animavano quei rigidi inverni e la piccola Olga popolava con la fantasia «il teatro astratto» delle fiabe fatto di belve feroci, foreste inestricabili e castelli d’ambra sui fondali marini. Amava le favole e il loro ricordo l’accompagnò per tutta la vita; con l’età però quei mondi fatati lasciarono posto alla grande narrativa russa, un tesoro per lei prezioso da cui non si separò mai e che, giunta in Italia, contribuì a far conoscere.
Se la Lettonia fu il suo Paese di origine, l’Italia divenne la sua seconda patria. Olga vi giunse all’inizio del XX secolo quando era ancora una studentessa della facoltà di medicina dell’Università di Berna. Il suo primo viaggio italiano fu a Siena, alla ricerca della figura di Santa Caterina della quale ammirava la capacità di dialogo coi potenti della Terra. Ma era Roma la città che Olga desiderava conoscere, con le sue antichità e il suo straordinario passato.

Vi si trasferì nel 1906 decidendo di proseguire qui gli studi ‒ si laureò nel 1908 ‒ e di convivere con il dottor Angelo Signorelli, conosciuto durante il soggiorno senese; a lui si legò come «compagna di una stessa strada, per una stessa meta», con lui condivise la professione medica, l’amore per la cultura e lo sguardo attento e benevolo verso gli esseri umani, fossero pazienti o persone amiche. All’inizio Roma fu per Olga una delusione. Nei centri medici vedeva arrivare piccoli e grandi malati di malaria più somiglianti «a scheletri che a uomini vivi». Erano le popolazioni dell’Agro romano, realtà umane così diverse da quella vagheggiate studiando sui libri la storia antica dell’impero. Concependo la professione medica come una missione verso tutte le persone sofferenti, si mise presto in contatto con persone simili a lei per autonomia intellettuale e professionale e mosse dalla stessa compassione umana.

Sibilla Aleramo, per esempio, che Olga ricorda con i «capelli leggermente brizzolati, tirati indietro, fermati in un nodo sulla nuca, […] la fronte spaziosa. Nessun gioiello adornava il suo collo, né le sue mani. Un lieve sorriso illuminava di bontà e gentilezza il suo bel volto. Fui presa da immediata simpatia e fiducia». La simpatia, evidentemente reciproca, portò Sibilla a coinvolgere la nuova amica lettone nelle spedizioni domenicali per portare aiuti alla popolazione dell’Agro romano. Con loro lo scrittore Giovanni Cena, il professore d’igiene Angelo Celli e la moglie Anna Fraentzel, alcuni giovani dottori e docenti. Distribuivano medicinali, soprattutto chinino per la malaria, acido acetilsalicilico e olio di fegato di merluzzo; le maestre e i maestri avevano gli abbecedari per insegnare a leggere a bambine e bambini ma anche a quelle persone adulte che ne manifestassero il desiderio.
La campagna romana e il mondo contadino così povero suscitarono in Olga emozioni profonde: «Dopo essere rimasta nella capanna per visitare due donne capii che cos’è l’aria d’inferno su questa terra». Al tempo stesso restò colpita dal contrasto fra le condizioni misere di quelle povere comunità e la pulizia fisica e la gentilezza delle persone in cui trovava «le tracce dell’antica civiltà». Sempre sull’onda dello slancio emotivo e professionale verso chi soffre, Olga conobbe un’altra straordinaria donna, Nadine Helbig, principessa russa giunta a Roma nella seconda metà dell’800, dotata di una formazione musicale notevole e di altrettanta generosità e benevolenza umana miste a capacità organizzative. Il contrasto all’analfabetismo, la lotta contro la prostituzione e la piaga dell’alcolismo, l’assistenza alle persone malate e indigenti, ai carcerati, alle bambine e ai bambini poveri animavano lo spirito e le giornate di Madame Helbig che nel 1899 diede vita a un ambulatorio infantile in via Morosini a Trastevere, tutto finanziato a sue spese. Alla ricerca di medici capaci e appassionati, Nadine vide in Olga sia le doti professionali che quelle umane e le chiese di lavorare nell’ambulatorio. Il loro fu un rapporto professionale, culturale e umano molto profondo, centrale nell’esistenza di Olga che in Nadine trovò il calore di «un cantuccio di casa».

Grazie alle origini lettoni, fin dall’inizio della vita romana Olga si era trovata a rivestire un ruolo importante nella comunità russa a Roma; frequentando il salotto letterario di Madame Helbig a Villa Lante sul Gianicolo, ebbe modo di entrare in un mondo ancora più cosmopolita. Forse furono quelle serate colte a suggerirle di fare altrettanto nella sua abitazione di via XX Settembre.
Gli stimoli intellettuali servivano a Olga come l’aria per respirare. Le sembrava opaco lo scenario della cultura italiana, sentiva la mancanza degli scambi culturali sulla narrativa e sulla poesia russa, che considerava una fonte di salvezza contro la nostalgia per la sua terra di origine, il «mal di paese» come lo definiva lei. La Lettonia restava nel profondo del suo cuore e così le poteva succedere di commuoversi avvertendo per caso, passeggiando nel Foro romano, il profumo mai dimenticato di una giovane betulla «dall’inconfondibile brillante tronco di raso bianco», capace di rievocare «il rinverdirsi dei boschi, il canto degli usignoli». Per lei fu quindi un’esperienza unica l’arrivo a Roma dei Balletti Russi di Djagilev. Olga divenne nel 1916 medica della compagnia, partecipò alla vita del gruppo, frequentò i ballerini e le ballerine, il coreografo Massine, le maestranze, si legò soprattutto a Natalia Goncharova e Michail Larionov, costumisti e scenografi per Djagilev, con i quali strinse un’amicizia profonda e duratura.

Il nome di Olga Signorelli è legato in maniera indissolubile anche a quello di Eleonora Duse. La partecipazione inaspettata della “divina” attrice a uno dei mercoledì musicali nell’abitazione in via XX Settembre, nel 1915, segnò la nascita di un rapporto profondo tra due donne intelligenti, sensibili e colte.

Ritratto di Eleonora Duse
Come lei, Eleonora Duse «amava molto la Russia e i russi […] gente dal cuore caldo, dall’anima dritta». Da questa comunanza culturale, spirituale e umana nacque in Olga l’idea di commemorare la morte di Eleonora, nel 1924, scrivendo la biografia dell’amica, pubblicata alcuni anni dopo. «Fu il simbolo di un’atmosfera umana […] la padrona di un’oasi» qual era il suo salotto letterario: così la ricordò Prezzolini nel 1973, subito dopo la morte, rammentando anche la sua «voce calma, lenta, cadenzata, gesti ieratici nelle sue espressioni spesso originali in un italiano domato ma qualche volta disobbediente». Olga fu una brava medica, una raffinata intellettuale, uno spirito curioso, una donna emancipata capace di incarnare un femminismo concreto e non teorico. Come ha ricordato la professoressa Daniela Rizzi dell’Università Ca’ Foscari, Olga Resnevič «faceva proprie – senza farne una bandiera ‒ idee di uguaglianza di diritti a livello giuridico e sociale», mettendo in pratica «un modello comportamentale che consisteva nell’assumere responsabilità e doveri “maschili” nella vita pubblica e privata».
Fu probabilmente con questo spirito che accettò di dirigere il Dispensario antitubercolare della Capitale subentrando al compagno Angelo partito volontario per la Prima guerra mondiale. Per lei gli anni del conflitto significarono molto impegno, lavoro e grandi responsabilità; fu anche l’inizio di un percorso autonomo che la portò, nel dopoguerra, a lasciare la professione medica e a dedicarsi completamente alla letteratura, al lavoro di traduzione dei grandi autori russi, al teatro e alla danza.
L’interesse per l’arte teatrale, alimentato all’inizio dalla frequentazione con Duse, crebbe nel corso degli anni. Olga conobbe Stanislavskij, strinse amicizia con Gordon Craig e con il regista Tairov, divenne sincera amica del coreografo e ballerino Aurel Milloss. Fu lui a introdurla nel mondo del balletto e della danza moderna, nuova passione che si aggiunse alle molte altre coltivate lungo tutta la vita. Perché, come scrisse ad Angelo nel 1930, «siamo immutabili dal principio alla fine della nostra esistenza, e lo scopo nostro è […] di non distaccarsi dalle radici, ma di allungarsi da esse verso il cielo e verso una maggiore luce».
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Articolo di Barbara Belotti

Dopo aver insegnato per oltre trent’anni Storia dell’arte nella scuola superiore, si occupa ora di storia, cultura e didattica di genere e scrive sui temi della toponomastica femminile per diverse testate e pubblicazioni. Fa parte del Comitato scientifico della Rete per la parità e della Commissione Consultiva Toponomastica del Comune di Roma.