Editoriale. Non è reato

Carissime lettrici e carissimi lettori,

ci sarebbe da ridere. Il condizionale è d’obbligo. Per non disperare. Secondo me lo capirebbero, come si dice, anche le bambine e i bambini, soprattutto quelli e quelle di oggi, scaltri/e di mondo attraverso i media dedicati e accessibilissimi.

Cominciamo dalla cosiddetta e super pubblicizzata carta dal nome accattivante Dedicata a te. Il dono fatto dal Governo alle cittadine e ai cittadini più poveri/e per vivere meglio è pari a un credito mensile di 382,00 euro. Fin qui, diciamo, potrebbe andar bene, seppure vedremo che non è proprio così.
Per rientrare nella lista decisa dal Governo bisogna avere i requisiti richiesti: un nucleo di almeno tre persone con un reddito annuo (da Isee) fino a 15.000,00 euro. Escluse, quindi, le persone singole, due anziani, famiglie con un genitore o genitrice (vedovi per esempio!) con un figlio o una figlia convivente. Non basta. Non essendo i fondi sufficienti tra le/i presunti aventi diritto si sono fatti due elenchi (confesso di non saperne il criterio di compilazione). Vediamo in particolare. Questa cifra accreditata sulla carta dedicata (da andare a prendere all’ufficio postale dopo essere avvisati, forse via mail o, forse, telefono!) non si può spendere a piacere. Qui secondo me sta la parte più ridicola e raccapricciante. Su questa somma decretata dal Governo viene messa, dallo stesso, la lista di ciò che può essere acquistato. È lecito il miele, ma è vietata la marmellata. Obbligato il pesce fresco, ma non quello surgelato, che pure costerebbe di meno. Una lista precisa, pubblicata e commentata.

Non è forse terribilmente ridicola la sentenza dei palpeggiamenti a tempo emessa a favore (e non contro) un bidello della scuola romana di cinema e regia intitolata a Roberto Rossellini? Già, la studentessa, diciassettenne e minorenne, mentre saliva le scale della scuola ha sentito come un peso sul fondoschiena e una mano si è intrufolata nei suoi slip. Non è reato ha sentenziato il giudice. Lo sarebbe stato solo se si fosse soffermato più a lungo, un po’ di più, almeno oltre i dieci brevissimi (?!) secondi. «Un palpeggiamento, se dura pochi secondi, non costituisce reato — scrive Fanpage —. È quanto ha stabilito il tribunale di Roma assolvendo un collaboratore scolastico dall’accusa di violenza sessuale per aver infilato le mani nelle mutande di una studentessa minorenne, per il quale il pm aveva chiesto una condanna a 3 anni e sei mesi. I giudici hanno riconosciuto che il fatto è avvenuto, ma poiché la molestia è durata «una manciata di secondi, senza alcun indugio di toccamento. Si è trattato di una manovra maldestra ma priva di concupiscenza. Uno scherzo, insomma, un’interazione innocente fra un uomo ultrasessantenne e una ragazza nemmeno maggiorenne. La sentenza – continua il quotidiano — arriva a pochi giorni dalla notizia della denuncia di stupro nei confronti di Leonardo Apache La Russa e dalle dichiarazioni del padre, il presidente del Senato Ignazio La Russa, che non solo ha assolto preventivamente il figlio assicurandone l’innocenza, ma ha anche messo in dubbio la credibilità della donna che l’ha denunciato, sottolineando il suo consumo di cocaina».
E’ vero: «Queste due notizie hanno in comune la stessa tendenza a sminuire la violenza sessuale, nel primo caso stabilendo una sorta di durata minima per riconoscerla come tale, nel secondo caso innescando, ancora prima che inizi il processo vero e proprio, la consuetudine della vittimizzazione secondaria. La vittimizzazione secondaria, spiega il Consiglio d’Europa, non si verifica come diretta conseguenza dell’atto criminale, ma attraverso la risposta di istituzioni e individui alla vittima, ad esempio colpevolizzandola della violenza subita o obbligandola a incontri reiterati col suo aggressore (come avviene in molti casi di maltrattamenti in famiglia, a volte con esiti fatali). L’Italia ha un grosso problema con la vittimizzazione secondaria, riconosciuto anche dalla commissione di esperte del Consiglio d’Europa sull’applicazione della Convenzione di Istanbul e dalla commissione d’inchiesta parlamentare sui femminicidi. In molti casi, sono proprio le sentenze di tribunale a farsi promotrici di questo atteggiamento, motivo per cui l’Italia è stata anche condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2021 per le affermazioni colpevolizzanti, moralizzatrici e veicolanti di stereotipi sessisti in una sentenza di assoluzione di una violenza sessuale di gruppo risalente a 6 anni prima…E come ogni volta, quando si ha la percezione che la soglia è stata superata, si individua il cattivo di turno: quel particolare giudice che ha emesso la sentenza, quel particolare giornalista che ha scritto l’articolo offensivo. Senza rendersi conto che quel giudice e quel giornalista sono il prodotto di una società che non ha ancora accettato il principio di una legge che ha adottato ormai più di dieci anni fa, ovvero che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione» (Jennifer Guerra).

Poi un pugno allo stomaco: del giornalismo italiano, del giornalismo in genere, dei machi indomabili, dell’umanità in generale. I fatti si sono svolti durante la telecronaca della finale (!) dei Mondiali del trampolino femminile sincronizzato andata in onda su Rai Play2. Leonardo Leonarduzzi, giornalista della redazione sport, e il suo collaboratore tecnico Massimo Mazzucchi si sono lasciati andare a una serie di squallide battute sessiste e razziste (le olandesi sarebbero tutte grasse? Per citare la più leggera). Li hanno ascoltati alcuni utenti e hanno denunciato le frasi sui social, spiegando come i riferimenti fatti in telecronaca non erano semplici chiacchiere per ingannare il tempo tra un’esecuzione e l’altra come dichiarato in seguito dal giornalista. Un (o una?) utente che si voleva godere in pace la gara in diretta streaming e, con sorpresa e orrore ha ascoltato la serie di ripugnanze, ha scritto una pec alla Rai. Imbarazzati da tante voci, in azienda hanno, così, deciso un cambio con Nicola Sangiorgio e l’ex campione di tuffi Oscar Bertone. Il succo della conversazione tra i due? Osservazioni sui corpi delle atlete, confronti tra loro (peso, altezza ecc). Differenze, anzi parallelismi, tra nazionalità delle partecipanti e poi orribili, oscene osservazioni sessiste, disgustose e inimmaginabili (almeno per la parte buona dell’umanità) che qui non intendiamo riportare. Che ci si aspetta da chi (Leonarduzzi) non è estraneo a boutade forti e disgustose? Sul proprio profilo social scrisse gli auguri di buon compleanno (in tedesco) ad Adolf Hitler per il cento ventinovesimo anniversario. Era il 2018, il giornalista fu costretto a scusarsi.

Invece, c’è giornalismo alto e nobile. La notizia ci è arrivata a metà mattinata, una notizia triste, di quelle che ci lasciano orfani e orfane di qualcosa di grande: la morte, praticamente improvvisa, di Andrea Purgatori, a settanta anni. Ci tocca questa scomparsa, con forza, perché Purgatori era il simbolo di quello che viene chiamato giornalismo d’inchiesta, accantonato dalla nuova riforma dell’azienda radiotelevisiva di Stato, la Rai. Il sogno del giornalista Purgatori era proprio quello di fondare una scuola (con tutta la forza di questo nome) sul e per il giornalismo d’inchiesta, che sa scavare, indagare, cercare nei fatti di cronaca per farne affiorare la o le verità, spesso temute dal potere.
Purgatori ha salutato per sempre questo mondo in una data importante per la Storia di questo Paese. Ottanta anni fa, gli alleati, nelle assurdità della guerra, bombardarono e mitragliarono il quartiere romano di San Lorenzo (che mi ha dato i natali, in un giorno di questo luglio di tanti anni fa!). Il quartiere della Storia, quella scritta da Elsa Morante, che presto si tradurrà in un film. La storia minima del piccolo Useppe confrontato nella sua sofferenza con l’immensità catastrofica della guerra, mondiale. Dopo ottanta anni da quel giorno, seppure ogni anno sia stato ricordato, il quartiere di quella guerra mondiale, ha di nuovo celebrato i suoi morti creati tra i palazzi a terra di quel giorno. A ricordare la Storia è venuta la più alta carica dello Stato, il Presidente Sergio Mattarella che, davanti all’affascinante monumento con la lunga striscia di nomi delle donne e degli uomini scomparsi quel giorno, ha parlato di un altro morto nella stessa data, in una via di Palermo, ucciso dalla mafia perché, come il suo amico Falcone, «si era messo in testa il sogno di sconfiggerla».

Allora per trovare forza, aria più fresca di questa assurda calura estiva, dimentica dei disastri che abbiamo causato all’universo, ci rifugiamo, come fosse la casa materna, in Alda Merini (1931-2009). Lei è capace di consolare, di dare coraggio con i versi che le vengono sulla pagina dalle ferite del suo cuore. In queste due poesie c’è la sua biografia, ma anche un messaggio che è un viatico per l’esistenza.

Sono nata il ventuno a primavera

Sono nata il ventuno a primavera
ma non sapevo che nascere folle,
aprire le zolle
potesse scatenar tempesta.
Così Proserpina lieve
vede piovere sulle erbe,
sui grossi frumenti gentili
e piange sempre la sera.
Forse è la sua preghiera.

Sono sempre rimasta fedele
alla mia meraviglia:
mi meraviglio
di un peccato impunito
e della grazia inattesa.

Quelle come me

Quelle come me regalano sogni, anche a costo di rimanerne prive.
Quelle come me donano l’anima,
perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto.
Quelle come me tendono la mano ed aiutano a rialzarsi,
pur correndo il rischio di cadere a loro volta.
Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro.
Quelle come me cercano un senso all’esistere e, quando lo trovano,
tentano d’insegnarlo a chi sta solo sopravvivendo.
Quelle come me quando amano, amano per sempre.
e quando smettono d’amare è solo perché
piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita.
Quelle come me inseguono un sogno
quello di essere amate per ciò che sono
e non per ciò che si vorrebbe fossero.
Quelle come me girano il mondo alla ricerca di quei valori che, ormai,
sono caduti nel dimenticatoio dell’anima.
Quelle come me vorrebbero cambiare,
ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo.
Quelle come me urlano in silenzio,
perché la loro voce non si confonda con le lacrime.
Quelle come me sono quelle cui tu riesci sempre a spezzare il cuore,
perché sai che ti lasceranno andare, senza chiederti nulla.
Quelle come me amano troppo, pur sapendo che, in cambio,
non riceveranno altro che briciole.
Quelle come me si cibano di quel poco e su di esso,
purtroppo, fondano la loro esistenza.
Quelle come me passano inosservate,
ma sono le uniche che ti ameranno davvero.
Quelle come me sono quelle che, nell’autunno della tua vita,
rimpiangerai per tutto ciò che avrebbero potuto darti
e che tu non hai voluto…

Buona lettura a tutte e a tutti e la nostra partecipazione d’affetto a Patrick Zaki  per la sua libertà e per Bologna che aspetta il suo ex studente e cittadino!

Apriamo la rassegna degli articoli di questo numero con la storia di una donna libera e affascinante, dalla vita avventurosa, un’esploratrice attratta «dall’animale metamorfico e libero per eccellenza: la farfalla…». Leggeremo di lei in A caccia di farfalle con Margaret Fountaine.

Allarghiamo lo sguardo al conflitto alle porte dell’Unione Europea con un articolo, Il girlwashing della Nato. Un appello femminista, che abbiamo deciso di condividere perché mette in luce un aspetto poco noto della organizzazione internazionale militare e continuiamo con Wangari Maathai. Nobel per la pace, «a riconoscimento del valore del suo approccio olistico all’ambientalismo e allo sviluppo sostenibile» con una grande attenzione ai diritti umani e alla democrazia.

Per la serie Rileggere i classici. Il primo Novecento. Parte seconda ci farà scoprire quanto sessismo è presente nella descrizione di alcune figure femminili di Pirandello e Svevo, mentre per Italiane incontreremo ‘A Signora”, come era chiamata dai napoletani la grande Matilde Serao, in Una vita per le parole, una vita in redazione.
Nella ricorrenza della sua scomparsa, il 25 luglio del 2018, ricordiamo un’altra grande scrittrice, Clara Sereni, l’ultimista, creatrice di nuove parole, più adatte ai cambiamenti del mondo. Un’altra ricorrenza che cade in questa settimana è quella del Progetto Essere è tessere, occasione per incontrare la più grande artista sarda del xx secolo, nell’articolo Per le vie di Aggius con Maria Lai.

Ci sono genealogie femminili feconde nel campo della scrittura. Margaret Collier, una voce da riscoprire, per la serie Le storie, è la bellissima scoperta di una scrittrice inglese, poco conosciuta in Italia, di cui era nipote Joyce Lussu.

Cambiamo argomento e parliamo di Approccio di genere alla salute delle atlete e degli atleti, un excursus sulla medicina di genere applicata allo sport, che deve tanto agli studi e alle proposte femministe.
Anche la Purple Economy deve molto al pensiero femminista. In questo numero un articolo introduttivo ce la descriverà nelle sue linee essenziali.

Ci spostiamo in Puglia, nel Salento, per conoscere, attraverso il racconto di una nostra collaboratrice, la potenza e la bellezza di Sherocco, il Festival delle teorie queer.

Come ogni settimana, in questa estate torrida segnata dal cambiamento climatico, consigliamo alcuni libri, fuori dai circuiti della grande distribuzione, che possano tenerci compagnia nelle ore di relax. Cominciamo da Ballata per galline vecchie di Elisa Genghini, un inno ai vantaggi che può avere per le donne l’invecchiare, ben descritto in Vecchie? No, libere! e continuiamo con Streuse, la recensione del libro di Marinella Fiume che ha lo stesso titolo, un viaggio tra «donne libere dalle regole, che pretendono di esistere, di essere visibili, che rompono lacci e catene con cui spesso il genere femminile viene incatenato» e la cui punizione sarà l’oblio.

Chiudiamo con un articolo della serie Storia dell’alimentazione: Ieri e oggi. L’esordio e l’incremento dell’industria alimentare, che, dopo aver messo in luce il ruolo delle donne in questo settore, ci esorta a diventare consumatori e consumatrici critiche e consapevoli, per monitorare la sostenibilità ambientale e la responsabilità sociale degli attori di questa industria preziosa.
SM

***

Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

3 commenti

  1. La saggezza di una giornalista. Quella di razza. Fa polemica.Poi suscita un pizzico di rabbi.Provoca. E non per sentito dire.Cita persone, fatti,trasmissioni E quando ha la sensazione che il lettore sia fortemente indignato e si chiede: ” Perché mi sono lasciato sfuggire queste notizie?”lo tranquillizza . Sfoglia la memoria e vcita una poesia dolce. Come quella della Merini. Magia del giornalismo.

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    1. Mi fai sempre rileggere con occhi particolari quello che ho scritto per indicarmi i punti focali del discorso. Ripeto, una lezione ogni volta. Poi in me un parallelismo con una grande del nostro teatro che ho avuto il grande onore di avere amica, di essere sua amica per quel che potevo. Parlo della mia cara Piera Degli Esposti. Ogni sabato aspettavo la sua telefonata e mi diceva, indicava punto dopo punto le cose che le erano apparse considerevoli. Poi Piera mi parlava della poesia finale e mi diceva che la consolata! Nel cuore si mischiano affetti. Grazie ancora una volta Luciano

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