Carissime lettrici e carissimi lettori,
c’è da ridere. Si, ve lo assicuro. C’è di che farsi una bella, corroborante risata. Dopo tanto soffrire, dopo tanto dolore. Tra guerre, omicidi, spesso per motivi futili, femminicidi, processi in catene (e guinzaglio, che poi farebbe anche ridere, per non piangere di rabbia), morti sul lavoro (è ancora più pesante e meno ridicolo il fatto che sia appena passato il 1° maggio), suicidi e violenze nelle carceri, dove il concetto di base dovrebbe ruotare intorno a quello di rieducazione. Ingiustizie varie ed eventuali, mettiamocele, insieme agli immancabili dispiaceri personali. Tutte cose che ci fanno soffrire, molto. E noi, diciamocelo, siamo stanche e stanchi di tutto questo. Vogliamo rilassarci. Ne abbiamo bisogno e diritto. Vogliamo ridere, di una risata liberatoria. Diciamo così. E poi, pensandoci bene, il detto non affermava: «una risata ci seppellirà»? Più serio e impegnativo di così!
Materiale per ridere ne abbiamo. Ce lo fornisce persino il governo. Ci viene da ridere se un ministro, quello stesso che ha fermato il treno su cui viaggiava, nella cittadina dove si trova anche il secondo aeroporto di Roma (sempre di trasporti si tratta!), dopo aver parlato delle razze (esistono ancora!) e del pericolo (!) della cosiddetta sostituzione etnica, secondo cui gli e le italiane nel giro di poco tempo diventeranno tutte e tutti di pelle scura (più o meno) e di credo musulmano (che poi non è della maggioranza dell’immigrazione totale nel nostro paese), ha parlato di vino e per difendere senza dubbi il tormentone autarchico del made in Italy, ha detto: «Il vino è un prodotto fondamentale, può essere assunto in maniera equilibrata e moderata, rispetto a qualsiasi abuso siamo contrari, ma va difesa la possibilità di non stigmatizzare un prodotto che non fa male assunto con moderazione, anzi fa bene». Così ha detto il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare. Qualche sospetto ci coglie: che, per esempio, il ministro abbia, forse, le sue personali ragioni per dire, seppure in modo un pochino sconclusionato, che l’alcol non fa male, anzi, fa bene!
Un quotidiano racconta una storia che si riallaccia a un’altra sortita dello stesso ministro, che stavolta ha scelto un accostamento, per noi un po’ azzardato, tra l’alcol, non solo quello del vino, e lo sport: «Qualche anno fa – scrive il giornale – spopolava sul web un video arrivato dalla Norvegia che testimoniava una partita di “Drunk Football “. Poche e semplici regole: i calciatori devono essere ubriachi e il gol viene convalidato solo dopo verifica del tasso alcolico, che deve essere superiore a 1. Chissà se aveva in mente qualcosa del genere — si era domandato il giornalista — il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, quando, intervenendo in collegamento al Festival del Trentodoc ha annunciato che per rispondere a chi “tenta di criminalizzare il consumo di vino” vuole elevarne la promozione, “abbinando il consumo di vino al benessere fisico con gli eventi sportivi”. Da mesi il governo Meloni, ben conscio dell’importanza del settore per l’economia italiana – conclude—, si è lanciato in una difesa a 360 gradi del vino e dei suoi benefici per la salute. La letteratura scientifica autorevole però è concorde nel sostenere che il bere alcolici anche in maniera moderata può essere fonte di rischio per la salute. Un bicchiere di vino non è certo da criminalizzare, ma Lollobrigida è andato oltre: il consumo di alcool accostato al benessere fisico di uno sportivo». La frase incriminata eccola qui: «Per rendere più chiaro il concetto, eleviamo la promozione, abbinando il consumo di vino al benessere fisico con gli eventi sportivi».
Altrove lo stesso ministro ha continuato ripetendo l’elogio della bevanda di Bacco made in Italy: «non è dannoso, questo va chiarito anche a coloro invece che tentano di demonizzarlo… paradossalmente questo assurdo bisogna segnalarlo e bisogna dire che con moderazione un popolo come il nostro ha del benessere, una delle prerogative principali in termini formativi. La nostra longevità parla per noi. Se un popolo vive più di altri l’alimentazione qualcosa c’entrerà. Ma non lo dico io — assicura meticolosamente — lo dico con tutta l’umiltà del caso, dopo averlo chiesto però al nostro ministro della salute, ai nostri nutrizionisti centrati sull’alimentazione. Da qualche migliaio di anni ci accompagnano alcuni prodotti. Possibile che qualcuno, con le etichette allarmistiche, vuole e deve demonizzare quello che produciamo? Io credo che sia sbagliato. L’Europa qui assume un ruolo fondamentale». Fortunatamente con questo chiude, anche per la fatica di un italiano farraginoso o che io, mea culpa, non comprendo a fondo.
Solo che con questi enunciati sul vino il ministro si pone in contraddizione con un altro ministro della nostra “Repubblica”, quello delle Infrastrutture (e ci risiamo con i treni, ferrovie, ponti, ecc.) che ha dato un giro di vite al tasso alcolico che deve essere presente nel sangue per chi si mette al volante: in sostanza neppure un bicchiere. E potrebbe non avere tutti i torti.
Ma un’altra corroborante risata (riso amaro, direi, calcando il titolo di un vecchio e sempre bellissimo film) riguarda un’altra boutade, sempre dello stesso ministro dell’Agricoltura e di quel che ne segue: «I poveri mangiano meglio dei ricchi». Si sarebbe riferito alla cosiddetta “dieta mediterranea” come poi aveva chiarito, e a questo punto supponiamo che volesse intendere che bevono anche meglio? Non credo, perché un buon vino, o altra bevanda anche non alcolica ma di qualità, costa molto di più di una di media o pessima fattura.
Ci viene da ridere quando lo stesso (ahinoi) ministro proclama il desiderio di “ispirare” l’obbligo («andrebbero imposti», ha detto) ai ristoranti, a tutti i ristoranti, di servire nel menù il formaggio, anche questo rigorosamente nostrano (coincide con autarchico?!): «Nel menù dei ristoranti potrebbe essere obbligatorio avere un piatto dedicato ai nostri formaggi». È questa la proposta — lo annunciava un quotidiano romano — di Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste. L’idea sarebbe quella di valorizzare questo prodotto e far crescere ulteriormente la filiera ricalcando un po’ il modello francese. Questo lo ha dichiarato lo stesso ministro nell’intervista rilasciata al Gambero Rosso in occasione del salone internazionale Vinitaly di Verona. Ma poco dopo, puntualmente, è arrivata la “correzione” con una parziale retromarcia sulla proposta: «Non c’è alcuna imposizione intesa come obbligo di legge, ma sollecitazione a valorizzare i nostri eccellenti formaggi, – ha candidamente affermato — il confronto con le associazioni di categoria dei ristoratori è d’accordo su questo tema e in piena sintonia lavoriamo alla valorizzazione dei nostri prodotti. — ci ha tenuto a precisare — Sono convinto che valorizzando e promuovendo il nostro formaggio come piatto specifico, sarà il mercato a convincere i nostri ristoratori a utilizzarlo di più nei loro menu. L’aumento di valore — ha concluso — produrrebbe, ovviamente, un effetto positivo su tutta la filiera». Insomma, un’operazione di convincimento occulto e imposizione trasversale? Può fare questo un governo? Si mostra ridicolo. E sorvoliamo di nuovo sul fatto dell’etnie e delle “sostituzioni etniche”. Pensavamo di fermarci lì.
Ci sarebbe, sempre per ilarità, anche la trovata del voto nominale, vale a dire quello che dovrebbe essere dato scrivendo sulla scheda elettorale, per le prossime e imminenti Europee di giugno, “solo” il nome proprio, senza il cognome, del/della candidata/o che si presenta. Hanno spiegato che è una maniera per essere più popolare, vale a dire più vicino al popolo! Il popolo, che poi sarebbe l’“attore” primario della democrazia secondo la sua originale derivazione linguistica e politica dell’antica Grecia: il governo del popolo (dal greco antico: δῆμος, démos, “popolo” e κράτος, krátos, “potere”). In questo modo se ne deduce un’opinione molto basica (populista). Si ridicolizza il concetto, appunto. Altro che under-dog. La proposta ha creato emulazione (anche della sua ilarità?!) e un altro candidato ha suggerito ai suoi elettori e alle sue elettrici di scrivere “semplicemente” sulla scheda: Generale. Forse per sentirsi unico.
Non è ridicola e non fa ridere assolutamente, invece, la questione che riguarda le persone, ragazze e ragazzi, diversamente abili che dovrebbero essere allontanate/i dalle aule scolastiche frequentate da coetanee e coetanei, cosiddetti/e normali (di cui tratta anche una nostra collaboratrice, docente di sostegno, molto più competente del generale in materia). Anche in questo caso abbiamo assistito al solito passo indietro, alla sistematica affermazione di non aver detto proprio così, un’accusa ulteriore a chi ha scritto e ha commentato questa infelice trovata. Ricordiamoci della sempre maggiore limitazione della libertà di stampa!
Di nuovo si è detto che il discorso è stato ingiustamente estrapolato da uno più generale in cui era contenuto. Ma le parole, seppure volant, sono inchiodate da uno scritto, perché sono state pronunciate e sono state registrate: «La scuola dovrebbe essere come lo sport — ha detto e scritto il generale Vannacci —, dove si mettono insieme le persone con prestazioni simili. Credo che classi con caratteristiche separate aiuterebbero i ragazzi con grandi potenzialità a esprimersi al massimo, e anche quelli con più difficoltà verrebbero aiutati in modo peculiare. Un disabile non lo metterei di certo a correre con uno che fa il record dei 100 metri. Gli puoi far fare una lezione insieme, per spirito di appartenenza, ma poi ha bisogno di un aiuto specifico. Non sono un esperto di disabilità, ma sono convinto che la scuola debba essere dura e selettiva, perché così sarà poi la vita». Più chiaro di così?! No, vogliamo dire al Generale che anche nell’esercito, che lui rivendica come “suo”, esistono, per motivazioni disparate, persone disabili, che non potranno più gareggiare nella competizione. Visto che parlava di… velocità! E poi aggiungerei che la scomparsa delle classi differenziate è approvata da decenni e come altri diritti civili, è una conquista a cui non si può e non si deve rinunciare.
Ancora di più non ci viene da ridere e sentiamo tutta la portata tragica di quello che è accaduto al Beccaria il carcere minorile di Milano. Tredici agenti sono stati arrestati e otto sospesi. Le accuse sono davvero brutte. Sia perché la violenza si è riversata su dei ragazzi (vi ricordate le parole del presidente Mattarella sugli studenti e studentesse colpite/i a Pisa dai manganelli delle forze dell’ordine?), ma che succeda in un’istituzione delicata come il carcere minorile è davvero agghiacciante perché quei ragazzi sono lì perché hanno percorso strade sbagliate e lì dovrebbero imparare a camminare su quelle giuste. La violenza appartiene alle loro strade non a quelle che dovrebbero essere mostrate loro per non andare più in carcere. Ecco il flash di un episodio accaduto a marzo: «Un quindicenne, che precedentemente aveva procurato tagli alle braccia, sarebbe stato prelevato dalla sua cella da quattro agenti, e poi trascinato per le scale, tirando anche il suo braccio sanguinante. Due di loro avrebbero spinto il ragazzo contro il muro, colpendolo ripetutamente alla testa e al torace fino a farlo cadere a terra, dove uno degli agenti avrebbe continuato a colpirlo. Le immagini tratte dal sistema di videosorveglianza ricostruiscono dettagliatamente le fasi delle presunte violenze, mostrando che gli agenti erano in abiti civili mentre si vede il detenuto opporsi all’accompagnamento e presentare lesioni sanguinanti al braccio sinistro» (La7). E purtroppo le violenze non si sono fermate al quindicenne e sono state davvero tante, pesanti, su tante persone, impaurite e quindi reticenti a parlare. Secondo l’accusa, un gruppo di agenti avrebbe abusato fisicamente e psicologicamente di almeno 12 detenuti minorenni. I maltrattamenti sarebbero cominciati nel 2022 e sarebbero stati compiuti soprattutto nelle stanze senza telecamere, per esempio nelle celle di isolamento oppure nell’ufficio del “capoposto”, il responsabile del turno di guardia, in modo che non ci fossero prove. Nell’ordinanza con cui ha disposto le misure cautelari contro gli agenti arrestati, la giudice per le indagini preliminari del tribunale di Milano Stefania Donadeo ha scritto che all’interno del carcere ci sarebbe un «sistema consolidato di violenze reiterate, vessazioni, punizioni corporali, umiliazioni e pestaggi di gruppo» compiuti dagli agenti ai danni dei detenuti minorenni.
Una dolce notizia per regalarci non una risata ma un sorriso. Forse sarà stato un caso. É successo in Cina, più precisamente nella Riserva naturale degli animali selvatici di Shendiaoshan a Weihai.
Un elefante ha dato prova, almeno da come appare, di un gesto di gentilezza nei confronti di un piccolo visitatore. Nel video si vede Shanmai – che tradotto vuole dire Montagna — raccogliere con la proboscide, delicatamente, una piccola scarpina e, con garbo, restituirla al bambino che l’aveva fatta cadere nel recinto. Insomma: dai non umani ci arriva una speranza, un gesto di gentilezza!
Due donne, due poete, le leggiamo oggi, per celebrare il lavoro, per riflettere, seppure a posteriori della festa del 1° Maggio, sulle ingiustizie, soprattutto quelle che toccano le donne, la loro libertà di amare, sia un figlio/a o un uomo. Una americana, Maya Angelou (1928-2014) e l’altra milanese doc, Alda Merini, ci raccontano le storie personali snodate attraverso i loro versi reclamando riposo e amore.
Lavoro di donna
Ho dei bambini cui badare
vestiti da rattoppare
pavimenti da lavare
cibo da comprare
poi, il pollo da friggere
il bambino da asciugare
un reggimento da sfamare
il giardino da curare
ho camicie da stirare
i bimbetti da vestire
la canna da tagliare
e questa baracca da ripulire
dare un’occhiata agli ammalati
e raccogliere cotone.
Risplendi su di me, sole
bagnami, pioggia
posatevi dolcemente, gocce di rugiada
e rinfrescate ancora questa fronte.
Tempesta, spazzami via di qui
con una raffica di vento
lasciami fluttuare nel cielo
affinché possa riposare.
Cadete morbidi, fiocchi di neve
copritemi di bianco
freddi baci ghiacciati
lasciatemi riposare questa notte
Sole, pioggia, curva del cielo
montagne, oceani, foglie e pietre
bagliori di stelle, barlume di luna:
siete tutto quello che io posso dire mio.
Maya Angelou
Il Grembiule
Oddio il mio grembiule
guarda come mi torno indietro
era una bobina di anima
ogni giorno un filo d’amore
ogni giorno quelle ore che mi massacravano
io ogni giorno non ridevo mai
e la sera tornavo così stanca
e vedevo mio marito che mi guardava
e io mi giravo dall’altra parte
ma il mio grembiule era pieno di rose
erano tutti i baci che avrei dato a lui
invece di quello sporco lavoro
non hanno voluto pagarmi
né il grembiule e neanche la vita
perché ero una donna che non poteva sognare
ero una volgare operaia
che in un giorno qualsiasi
e chissà perché
aveva perso di vista il suo grembiule
per pensare soltanto a lui.
Alda Merini
Buona lettura a tutte e a tutti e auguri a Marco Pannella che ci ha dato l’impulso ad approvare tante nostre conquiste civili. Era nato il 2 maggio 1930. Auguri ancora!
Apriamo la rassegna degli articoli di questo numero con Il controllo dei corpi, una riflessione su che cosa significhi davvero essere Pro Life. Continuiamo con L’Europa merita di meglio, un controcanto fondato sulla pluriennale esperienza di una docente di sostegno alle dichiarazioni recenti del generale Vannacci sulla necessità di istituire classi differenziali per le persone diversamente abili.
Continuiamo con le nostre serie. Per “La targa che non c’è” Passeggiata di Ripetta n° 17/a. La casa in cui morì la pittrice Deiva De Angelis prosegue il racconto della vita e delle opere di una grande artista sfortunata. Per “Flash-back” leggeremo Una storia come tante, in cui molte persone si riconosceranno. Per Calendaria 2024 incontreremo due figure eccezionali nel campo della musica: Nadia Boulanger, musicista, insegnante, direttrice, donna e Billie Holiday. La mia Lady, per sempre.
La Sezione “Matematica” ci presenta Libera Trevisani Levi-Civita. Matematica Italiana, filantropa. Per H-Demica avremo l’occasione di approfondire Il teatro ermafrodita di Emma Dante, «un superamento dell’opposizione tra i due generi», mentre il sesto incontro di Sguardi sulle differenze ci parlerà di creatività, attraverso l’analisi di un film. La penultima puntata di “Credito alle donne” ci farà incontrare Bina Agarwal, pioniera del femminismo ambientalista, (molto diverso dall’ecofemminismo) che riflette sulle disuguaglianze di genere in economia politica.
Le figlie di Saffo dell’attivista e critica letteraria americana Selby Wynn Schwartz è la recensione che vi proponiamo questa settimana.
Il Wrestling femminile ci introduce a questo sport che per troppo tempo è stato ritenuto appannaggio esclusivo del genere maschile. Come sempre ci accompagna nel cammino il Report di aprile di Toponomastica femminile, che non si limita a elencare le tante iniziative della nostra associazione, ma coglie sempre l’occasione di raccontarci figure femminili che hanno lasciato un segno nella storia.
Chiudiamo come sempre con la ricetta vegana, questa volta dolce e gustosissima: Tiramisù vegano, augurando a tutte e tutti Buon appetito, condividendo con voi tutte e tutti la gioia di avere visto in collegamento col Palco del Concerto del Primo Maggio la grande ambientalista Jane Goodall e un richiamo all’economista premio Nobel Goldin in un intervento della presentatrice. Per dirla con Bob Dylan, The Times They’re A Changin.
SM
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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpreti; Siamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.
