Editoriale. Liberté, egalité, fraternité, sororité

Carissime lettrici e carissimi lettori,
«blasfemo», «offensivo per tutti i cristiani». Lo spettacolo per l’inaugurazione delle Olimpiadi di Parigi non ha convinto le destre, anzi le ha trovate nettamente contrarie. In Francia, ma non meno in Italia dove il vicepresidente del consiglio si dichiara indignato e un onorevole (Nicola Procaccini) si chiede con sarcasmo: «Mi è piaciuta molto la cerimonia del Gay Pride. Sapete quando è prevista quella delle Olimpiadi?». Per non parlare del commento della nostrana ministra della famiglia e delle pari opportunità che si richiama all’”escludente” e al “divisorio” per dire ciò che è stato rappresentato. Per noi risulterebbe proprio il contrario. Ma ormai il mondo qui si usa leggerlo alla rovescia.

La Francia, quella che sta dalla parte del direttore artistico della cerimonia, Thomas Jolly (44 anni), risponde in un altro modo risuonando con il citato regista che aveva promesso “audacia”, come poi è avvenuto, tanta da far dividere (politicamente) davvero nettamente il pubblico. «In Francia abbiamo il diritto di amarci come vogliamo, con chi vogliamo, in Francia abbiamo il diritto di credere e di non credere. In Francia abbiamo tanti diritti — ha fatto sapere a chi lo ha contestato — queste erano idee repubblicane, di inclusione, benevolenza, generosità e solidarietà». Così ha detto spiegando la sua opera.

Nonostante l’ingovernabile pioggia, Parigi ha ripetuto, come ai tempi del Bataclan, di nuovo il suo motto latino: Parigi fluctuat nec mergitur, fluttua, ma non affonda. Come hanno fatto gli atleti e le atlete, gli artisti e le artiste che hanno sfilato e ballato sulla Senna nonostante il diluvio, nonostante fossero tutte e tutti bagnati, come si dice, fino al midollo, come anche tanta parte degli spettatori e spettatrici,compreso il nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

Ma quella scena, la più contestata delle altre, sarà stata davvero una trasposizione de L’ultima cena leonardiana o, invece, un rimando a un’opera di due secoli più avanti, Festin des dieux , di Jan Harmensz van Bijlert, un artista del diciassettesimo secolo, ora esposta ad Avignone? Rappresenta un’allegra festa sull’Olimpo, con Bacco e Dioniso. Allora non ci sarebbe più blasfemia? Nessuno/a dovrebbe più sentirsi offeso/a? Sembra proprio che non sia così o che non avrebbero capito bene, perché le polemiche, a Olimpiade 2024 ormai aperta e già qualche medaglia guadagnata, continuano. Si è parlato di «ritratto vitale e trasgressivo della Francia». Sicuramente ci sono stati punti di dubbio valore e più vicini al cliché e al kitsch, ma questa Olimpiade ha saputo portare la cerimonia iniziale fuori dallo stadio («una zona comfort», è stato detto), come fino a questo momento era sempre stato per l’inaugurazione dei giochi. E già questo è una trasgressione!

Ma la più malvista, più che contestata ancora (si può dire?!), è stata la cantante Aya Nakamura, originaria del Mali e davvero letteralmente odiata dalla estrema destra francese. «Siamo a Parigi, non al mercato di Bamako» era scritto qualche mese fa su uno striscione di un gruppo di estrema destra. «E’ una cantante che non parla francese» aveva rinforzato l’idea razzista Marie Le Pen. Eppure, l’artista ha venduto più di un milione di copie con l’album intitolato proprio a suo nome: Nakamura.
Ma la Francia va oltre. «La Francia — è stato scritto — è anche il paese che per primo ha abolito il reato di blasfemia, e la laicità è sacra, e dove il matrimonio per tutti esiste da quasi dieci anni e le unioni civili da più di venti». E noi aggiungiamo che la Francia è anche il Paese dove un Presidente, che non è certo di sinistra, prende coscienza di una sconfitta e azzarda le elezioni immediate per far capire alla popolazione che l’estrema destra è pericolosa. I francesi e le francesi lo capiscono e votano di conseguenza. Che è anche il Paese dove la legalizzazione dell’aborto è percepita talmente come una legge e un diritto da entrare nella Costituzione, segno che in questa terra d’oltralpe i diritti civili (come pure le pensioni) non sono così facili da essere toccati. Qui da noi, il vicepremier lo dovrebbe sapere, i diritti, invece, si stanno svuotando dall’interno, soprattutto l’aborto (ma ce ne sono tanti altri), come in un’implosione . E non si sente in giro troppo rumore. 

Ma guardiamo alle donne. A noi donne che questa Olimpiade di Parigi ha celebrato nella sua cerimonia di apertura e reso “paritarie” nel numero delle atlete praticamente vicino al 50% della presenza totale. 

Dieci statue dorate di donna sono state poste lungo la Senna, nei luoghi più significativi della città. Dieci donne celebrate all’inaugurazione di questi Giochi Olimpici 2024 per ricordare che le donne hanno contribuito alla Storia della Francia, protagoniste della Storia, della cultura e dello sport di questo paese. Sono nomi femminili importanti «che hanno messo in evidenza come le donne abbiano profondamente influenzato il domani della filosofia, dell’esplorazione, della letteratura e dello sport». Da Jeanne Barret, che è stata la prima donna a compiere il giro del mondo, ad Alice Guy, pioniera del cinema, riconosciuta come la prima realizzatrice di una fiction. Per la filosofia c’è Simone De Beauvoir, un’icona del femminismo, insieme alla filosofa e scrittrice Simone Weil. Sempre la letteratura è stata rappresentata da Christine de Pizan (di origini veneziane!). Poi Paulette Nardal che è stata, per buona pace di qualsiasi razzismo, la prima studente nera iscritta alla Sorbonne o Giselle Halimi, una militante che è stata una figura fondamentale per la legalizzazione dell’aborto. Tra le dieci statue dorate c’era poi anche quella di Olimpe de Gouges, femminista anche lei. Come Louise Michel che è stata una figura emblematica della Commune di Parigi. 

Le statue dorate rappresentanti queste donne rimarranno molto probabilmente come istallazioni permanenti nello spazio pubblico cittadino «per ricordare e per celebrare il contributo delle donne nella Storia francese». Ma anche per supplire a Parigi quel divario, purtroppo esempio non isolato, tra il numero delle statue maschili, ben 280, rispetto alle 40 dedicate in città alle donne. Comunque, a nostro parere, già avanti rispetto alla situazione nostrana.

Per “rituffarci” alla sera dell’inaugurazione, come dimenticare che è stata una donna “non bianca”, Axelle Saint-Cirel, classe 1995, nata a Parigi , ma con origini di Guadalupe, a cantare l’inno nazionale. Grande vocalista, jazzista e mezzosoprano, Axelle Saint-Cirel ha interpretato la Marseillaise «aggiungendo un tocco solenne ed emotivo a questa cerimonia».
Tanta solidarietà tra donne, a Olimpiadi aperte. Abbiamo visto e letto di vincitrici che hanno consolato altre partecipanti che non erano riuscite a salire sul podio, altre, come una stupenda nuotatrice nei 100 farfalla, Torri Huske (a Tokio aveva perso proprio per un centesimo di secondo la medaglia di bronzo) ha fatto salire sul podio con lei Gretchen Walsh che era arrivata con quattro centesimi di secondi in meno. L’atleta, che ha detto di essere molto maturata dalla sua precedente esperienza olimpionica, ha pensato che poche frazioni di secondi non facciano l’annullamento effettivo e morale della medaglia, e ha portato la collega di gara con lei sul podio abbracciandola sorridente. 

Poi qualche amarezza, purtroppo, c’è. Come quel brutto episodio che ha riguardato la giovane nuotatrice italiana Benedetta Pilato che a 19 anni è arrivata alle Olimpiadi di Parigi non vincendo, seppure per un centesimo di secondo. Pilato è stata intervistata e alla sua risposta: «è stato il più bel giorno della mia vita, per questo piango di gioia» è partita una disgustosa raffica di derisioni e insulti da parte di altre atlete, anche italiane! Noi vogliamo però ricordare solo le belle azioni di…sororité, proprio quella annunciata dallo spettacolo di apertura lungo la Senna, nel cuore della città.

Altra brutta cosa quella che riguarda la partecipazione dell’atleta algerina Imane Khelif che era stata esclusa ai mondiali di boxe per non aver superato il cosiddetto gender test che misura il livello di testosterone nel sangue. Oggi, alle Olimpiadi di Parigi, Khelif si trova invece a gareggiare (insieme alla sua collega Lin Yu-Ting) portando lo sguardo del mondo sulla condizione delle donne transgender, seppure loro non lo siano secondo la scienza. La sfida ci ha riguardato da vicino perché Khelif la giocherà con (bruttissimo parlare di “contro” riguardo allo sport!) l’italiana Angela Carini. Da qui si è scatenata la polemica che, al solito, è diventato un mero pretesto di prese di posizione (politiche, partitiche?) che hanno avvelenato il clima, nonostante le due atlete, l’algerina e la cinese abbiano gareggiato tranquillamente sui ring al femminile durante le Olimpiadi a Tokyo 2021.

Di nuovo (e dico menomale!) mi trovo d’accordo con Giulio Cecchettin, il padre di Giulia, la ragazza uccisa perché aveva scelto di dire di no alla sua relazione, e per la quale avevamo deciso di fare rumoreIn questi giorni di noia estiva si è parlato, fin troppo, di un dialogo che si è svolto nel parlatorio del carcere di Verona tra i genitori e il figlio, l’assassino di Giulia. Non si è dato retta alle parole di Gino Cecchettin, che non smette di rispondere, a domande riguardanti il fidanzato della figlia, che lui pensa solo a Giulia e a cercare, in suo nome, di portare messaggi costruttivi per le altre donne. E infatti sta nascendo, sarà pronta per l’autunno, la Fondazione a nome di Giulia pensata dal padre Gino per attuare un’educazione permanente dei giovani e delle giovani sulla diversità di genere, sul rispetto reciproco, sulla capacità, conseguenziale, di accettare la fine di un rapporto, da qualunque parte della coppia avvenga. Il resto non gli interessa. Per questo, pur nella costatazione dell’orrore ascoltato, di parole di “normalizzazione” dell’atto, di un padre verso il figlio assassino e femminicida, la pubblicazione del colloquio (e la fuoriuscita dal carcere della notizia) sa tanto di voyerismo e di violazione della legge. Chiaramente l’accaduto, il contenuto di ciò che è stato detto, ci riempie di amarezza, ma qui dovrebbe entrare in scena la deontologia professionale di chi è giornalista. Ben diversa la difesa della libertà di stampa messa in discussione dai commenti, purtroppo fatti da alte cariche dello Stato, ai fatti gravi di Torino, dove una persona, giornalista, è stata pestata a calci, pugni e minacciata perché stava riprendendo scene rimandanti al fascismo (dunque incostituzionali?!) da parte di un gruppo di estrema destra. Anche in questo caso l’ironia, sinceramente malsana e fuori posto, della seconda carica dello Stato, è arrivata puntuale, ma davvero inopportuna e in palese opposizione alla richiesta di scioglimento del gruppo certo non moderato e inneggiante vecchi regimi. E che dire dell’esclusione della Stampa italiana a Pechino da parte di Palazzo Chigi?

Disumana, molto disumana la decisione di abbattere l’orsa Kj1 (il nome è sempre una sigla: una lettera e un numero per denominare una vita!). Aveva tre cuccioli e viveva sulle montagne del Trentino. Le associazioni animaliste non l’hanno potuta nemmeno difendere perché la guardia forestale, proprio per evitare polemiche che fermassero l’esecuzione, ha attuato subito, entro una manciata di ore, il decreto, firmato dalla provincia. Altrove, ma già possiamo spostarci nel nostrano Abruzzo,gli orsi non sono così malvisti e le persone si sanno rapportare con loro, rispettando anche le femmine che stanno proteggendo i cuccioli. Ho visto su un social anche una scena deliziosa, forse accaduta negli Usa: il traffico fermo e un’orsa con il suo piccolo che hanno attraversato indisturbati e protetti, la strada. Anche dal rapporto con gli animali si misura la civiltà!

Parlando di queste Olimpiadi di Parigi e dell’inusuale (e super contestata) cerimonia di apertura mi è sembrato giusto e simpatico riascoltare con voi lhymneà l’amour, la canzone dell’immensa Edith Piaf (che scrisse insieme a Marguerite Monnot) splendidamente eseguita lungo la Senna la sera del 16 luglio dalla non francese (seppure francofona perché di Toronto) e bravissima Céline Dion. Bello ascoltare tutte e due le versioni, di Piaf e di Dion, due grandi artiste, due voci femminili “regalate” al mondo.

https://www.youtube.com/watch?v=3IcrcWD-4es

https://www.google.com/search?client=safari&rls=en&q=ymne+a+l%27amour+cantato+da+Edit+Piaf&ie=UTF-8&oe=UTF-8

Il cielo sopra di noi può accasciarsi
E la terra può sgretolarsi
Poco m’importa se tu m’ami
Me ne infischio di tutto il mondo
Fintanto che l’amore inonderà i miei mattini
Fintanto che il mio corpo tremerà sotto le tue mani
Poco m’importa dei problemi
Amore mio poiché tu m’ami

Andrei fino in capo al mondo
Mi farei tingere di biondo
Se tu me lo chiedessi
Andrei a staccare la luna
Andrei a rubare la fortuna
Se tu me lo chiedessi
Rinnegherei la mia patria
Rinnegherei i miei amici
Se tu me lo chiedessi
Si potrà anche ridere di me
Io farei non importa cosa
Se tu me lo chiedessi

Se un giorno la vita ti ghermisse a me
Se tu morissi trovandoti lontano da me
Poco importa se tu m’ami
Perché anch’io morirei
Noi avremo per noi l’eternità
Nell’azzurro di tutta l’immensità
Nel cielo, niente più problemi
Amore mio lo credi quando si ama
Dio riunisce quelli che si amano.

(Traduzione a cura di Ermanno Tassi)

Buona lettura a tutte e a tutti.

P.S. Prima di chiudere questo editoriale vorrei salutare una donna importante nella Storia dei diritti e nella lotta alle ingiustizie sociali. Giovedì se ne è andata, a 68 anni, Lella Maiocco, importante per le sue iniziative sindacali a Genova, che le aveva dato i natali, e a Roma dove ha avuto un ruolo importante nel sistema bibliotecario della città. Dopo un saluto personale e affettuoso per la gentilezza e il garbo che mi ha sempre personalmente dedicato, grazie Lella per esserci stata.

Questa settimana presentiamo figure femminili particolarmente interessanti: in campo musicale, per Calendaria 2024, Clara Wieck Schumann, celeberrima pianista e compositrice e Elke Mascha Blankenburg, direttrice d’orchestra, instancabile studiosa e divulgatrice delle musiche delle compositrici, cui si deve la fondazione del circolo culturale Donne in Musica; in campo scientifico, Liliana Ragusa Gilli. Poliedrica matematica italiana, «docente, traduttrice, formatrice nei corsi di aggiornamento per docenti, scrittrice anche in collaborazione con altri/e matematici/che, organizzatrice di mostre, didatta infaticabile»; in campo letterario, per Femminismo/femminismi l’Intervista a Giuliana Misserville ci presenterà una delle fondatrici della società italiana delle letterate che si occupa di critica letteraria femminista e narrativa fantastica.
Meno famose, ma altrettanto meritevoli di essere conosciute, le donne descritte in Memorie d’artista. Cento anni dopo. Seconda parte, quelle raccontate in Vite intrecciate, fili di speranza. Parte prima e la benefattrice ricordata nell’ Antonietta Biffi day, a Milano
Tutte da scoprire le fondatrici dell’associazione valdostana Piccole Donnoleautrici di un progetto di Biblioteca diffusa da imitare in altre Regioni, insieme a quelle studiate dalle e dagli studenti autori del progetto vincitore di un Premio del nostro Concorso “Sulle vie della parità” raccontato dall’autrice di Itinerari, canzoni, caviardage, ritratti: così si riscopre il femminile.

Per la nostra serie “Altra Verso” andremo nella città il cui nome significa “tutto porto” con Viaggio nel profondo Sud. Palermo.
I consigli di lettura di questo numero sono, per “Flash-back”, Il destino in una vocale e la recensione di Alexis o il trattato della lotta vana di Marguerite Yourcenar, un breve testo profondo, struggente e attualissimo, anche in relazione alla polemica della cerimonia di apertura delle Olimpiadi, in cui l’autrice del capolavoro Memorie di Adriano si conferma anticonformista e indifferente alla morale del tempo.
Tempi difficili per l’Unione europea e in particolare per la nazione che per molto tempo ne è stata considerata la locomotiva. Ne parliamo recensendo La Germania senza qualità. Il numero 6 di Limes.
Chiudiamo, come sempre, con la ricetta della cucina vegana della settimana: Pane di lenticchie, «una variante sfiziosa e proteica del pane», augurando a tutte e tutti Buon appetito.
S.M.

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Articolo di Giusi Sammartino

Laureata in Lingua e letteratura russa, ha insegnato nei licei romani. Collabora con Synergasia onlus, per interpretariato e mediazione linguistica. Come giornalista ha scritto su La Repubblica e su Il Messaggero. Ha scritto L’interpretazione del dolore. Storie di rifugiati e di interpretiSiamo qui. Storie e successi di donne migranti e curato il numero monografico di “Affari Sociali Internazionali” su I nuovi scenari socio-linguistici in Italia.

2 commenti

  1. Gentilissima Giusi, sei grande e speciale nei tuoi commenti, non ho superlativi che possano lodare il tuo merito: pensiero chiaro, completo, inequivocabile. GRAZIE.

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